di Gianluca Nicoletti
Ho fatto il test di Kimberly per valutare il mio grado di dipendenza dalla rete. Sono arrivato molto vicino ai 100 punti: il livello di guardia per cui si consiglia di «farsi vedere». Sono straconvinto di star benone, ma ho deciso di presentarmi lo stesso al Day hospital di psichiatria del Policlinico Gemelli, ho scelto, non a caso, la struttura che in questi giorni si è meritata l’onore delle cronache per aver aperto il primo sportello pubblico per i malati come me… Chi più chi meno.
Per essere sicuro di esser preso sul serio ho evitato di farmi la barba per due giorni. Mi presento all’accettazione tenendo acceso e bene in vista il mio palmare, mentre faccio la fila cambio il mio stato di Facebook e scrivo «Sto per ricoverarmi in clinica psichiatrica», per caricare meglio l’evento di significato aggiungo una mia foto dove brandisco una motosega… Mi accorgo però che, in quella saletta d’aspetto dalle pareti grigie, il numero dei giornalisti supera di gran lunga quello dei pazienti. Mentre mi avvicino al vetro dove sta un infermiere che prende le prenotazioni mi accorgo che l’operatore di un tg nazionale sta tranquillamente riprendendomi dall’altra parte dello sportello.
L’accettazione
È evidente che per lui era arrivato finalmente il pazzo di Internet che aveva aspettato per tutta la mattina. In effetti avevo fatto di tutto per sembrarlo, addirittura quando mi viene rivolta la parola continuo a digitare sul mio tastierino mentre mi qualifico: «Sono un malato di Internet e voglio essere visitato da uno psichiatra!» Mentre stanno per registrarmi esce da uno stanzino un codazzo denso di bionde reggi microfono, telecamere, taccuini, domandine, sorrisini. Una collega dall’acume volpino si sbraccia a salutarmi e vengo sgamato. Dal nulla quattro o cinque camici bianchi mi circondano sospettosi: «Ma lei è un paziente o un giornalista?». Rispondo di essere entrambe le cose, non si può? Pretendo la visita e vengo accontentato.
Federico Tonioni è un giovane psichiatra ricercatore alla Cattolica, ma anche la star indiscussa della giornata. Mi accompagna in una stanza e mi fa accomodare. Pretendo il lettino, ma mi spiega che quelli belli bianchi che vedo servono per fare le flebo ai tossici, posso anche accontentarmi della sedia. Mi ascolta con attenzione, forse ha qualche sensazione che possa prenderlo un po’ per il naso, ma non mi interrompe mentre snocciolo i miei sintomi, peraltro veri: «Ho iniziato una quindicina di anni fa. E’ stato un crescendo, ora sto attaccato al computer almeno sei ore al giorno. Quando sono in giro non mi stacco dal palmare sempre collegato. Gestisco una decina di migliaia di contatti in Facebook, sono stato per dei mesi dentro Second Life… E’ grave?»
Tonioni mi guarda dietro alla sua barbetta grigia come per dirmi «ma proprio oggi dovevi venire a farmi perdere tempo?» Infatti con cadenza regolare ogni due minuti, dei venti circa che siamo stati in quella stanza, squilla il suo telefono per una richiesta di intervista, o dichiarazione, o delucidazione. «Non avrei mai immaginato tutto questo rumore, tra un’ora ho tre televisioni che mi vogliono intervistare. Lei stia tranquillo che sta benone, non rientra in nessuna delle cinque categorie a vero rischio. A meno che mi nasconda che giochi on line o sia un consumatore compulsivo di cyber sex o pornografia…».
Smania di controllo
Naturalmente smentisco, ma chiedo quanto possa nuocermi il multitasking relazionale con i miei molteplici contatti virtuali. «Io ho una serie di pazienti che si creano profili falsi su Face book per controllare il partner. Provare ad entrare nelle fantasie delle persone è estremamente pericoloso, dal momento in cui si cede a questo meccanismo non si pensa ad altro». Nessun problema per me, ma mi specifica come la smania di controllo dell’oggetto dei nostri affetti o passioni può degenerare. Anche provare rabbia per un sms o una mail senza risposta, o litigare tra partner per una chiamata persa al cellulare può essere il primo passo verso la china della dipendenza da protesi emotiva.
Allora come si diventa cyber tossici? «Guardi io da sempre seguo in questa struttura tutte le tossicomanie, ho notato un nuovo bisogno di perdere il controllo il più velocemente possibile facendosi con mix delle sostanze più varie, questo ha una relazione secondo me con l’eccesso di controllo che esercita su di noi il sistema dei media elettronici. Non voglio con questo essere additato come il nemico di Internet, già mi si accusa di esserlo in molti blog. Non è detto che l’ipercontrollo che la rete esercita su di noi sia un male, ma ci impone di cercare un posto dove nasconderci, oggi la più efficace maniera di nascondersi è la perdita della coscienza».
Tratto da: La Stampa 04/11/2009