logo4di Luigi Benevelli.

Tre sono i testi pubblicati in queste settimane da cui ho preso spunto per alcune considerazioni nella prospettiva dell’incontro di Pistoia:

…..E tu slegalo subito di Giovanna Del Giudice, Merano, 2015-05-10

Nascita del movimento antimanicomiale umbro di Ferruccio Giacanelli, Perugia, 2014

Recovery (a cura) di Antonio Maone e Barbara D’Avanzo, Cortina, Milano, 2015

Il primo documenta con grande rigore e puntualità l’andamento della pratica delle contenzioni dei pazienti nella storia dell’assistenza psichiatrica pubblica e del dibattito più squisitamente giuridico e bioetico ad essa collegato; il secondo ricostruisce le vicende dell’assistenza psichiatrica pubblica a Perugia, in particolare quella degli anni ’60, ’70, ’80 del secolo scorso, un’esperienza pilota che si confrontò e scontrò con quella di Basaglia nella quale insieme ai tecnici, svolsero un ruolo centrale gli amministratori e la società civile locale; il terzo dà il quadro per una ridefinizione degli ambiti e degli obbiettivi del lavoro per un’assistenza psichiatrica che si rifà agli approcci della salute mentale.

Alcune premesse

Nella seconda metà del secolo scorso la riforma psichiatrica italiana è stata gestita soprattutto   dagli psichiatri che lavoravano nei manicomi pubblici, ignorata, quando non boicottata, dall’Università e maltrattata dai governi nazionali e da molti  governi locali. A differenza di quanto accaduto ad esempio nei paesi anglosassoni, pazienti/utenti singoli e organizzati hanno avuto un ruolo del tutto marginale, mentre più importante è stato quello svolto dalle associazioni di famiglie. E gli psichiatri a fronte di storie professionali e referenti culturali assai disparati, non hanno avuto a disposizione -spesso non hanno cercato- anche localmente ambiti più ampi di confronto e verifica del proprio lavoro: una condizione di isolamento, un “provincialismo” culturale degli operatori cui porre rimedio. Di qui, la forte caratterizzazione “a macchia di leopardo” del grado di implementazione dei percorsi di de- istituzionalizzazione e della riforma.

Anche oggi, per non lasciare ancora gli psichiatri da soli a fare cose che magari non sanno fare bisogna investire risorse per avere una sanità pubblica, direzioni delle Aziende Sanitarie all’altezza della sfida, amministratori locali che rispondano alle loro comunità delle loro scelte a garanzia dei diritti costituzionali, in specie del diritto alla salute, un forte associazionismo delle famiglie e degli utenti. Di qui sarà possibile finalmente comunicare e discutere “che cosa bisogna sapere per” e “come si fa a dismettere pratiche manicomialistiche, attivare uno scambio di informazioni, saperi e lavoro di formazione professionale di base e permanente che sia di facile accesso.

Così per tutte le migliaia di persone che, anche dopo la chiusura dei manicomi pubblici, continuano a subire trattamenti di tipo manicomiali stico sarà possibile un destino di vita diverso dalla coartazione, dall’abbandono nella lungodegenza: l’esperienza italiana dimostra che si può allargando la gamma di offerta di luoghi in cui abitare, garantendo una buona qualità dell’accoglienza, ponendo attenzione alla vita quotidiana, restituendo responsabilità e potere, tutto quanto è stato nel precedente tempo di vita espropriato a seguito della stigmatizzazione della condizione di “sofferente mentale”.

Note:

  • Una costante storica dell’esercizio del diritto alla salute mentale in Italia è  il tratto a macchia di leopardo delle esperienze e delle culture professionali: v. le modalità e i tempi con cui si è arrivati, manicomio per manicomio, Dsm per Dsm, a chiudere i manicomi pubblici  a più di venti anni dall’approvazione della legge 180/78.
  • Di qui la necessità di lavorare perché, dopo la stagione della de-istituzionalizzazione, il trattamento dei pazienti nei servizi  ridiventi una questione nazionale, diventi una questione europea, conquisti l’attenzione e il rispetto della politica e delle istituzioni.
  • Giacanelli parla di un “contesto della cultura professionale specialistica, sempre più rinnovata, aggiornata, modernizzata, se consideriamo moderna la fascinazione neo-scientista e psicofarmacologica ad oltranza, la sanitarizzazione a oltranza della psichiatria; il contesto legislativo che conferisce alla psichiatria il suo attuale assetto istituzionale ne definisce formalmente il mandato esplicito, che è un mandato rigorosamente sanitario: prevenire, curare, riabilitare. Però, esiste, non lo dimentichiamo, un  mandato implicito, inespresso, ma sempre pesantemente presente, che è ben altro discorso, che attiene piuttosto ai meccanismi del controllo sociale”. (Giacanelli, 2003, op. cit. p. 198)
  • Nella stagione della de-istituzionalizazione la formazione degli operatori avveniva nei luoghi di lavoro, si apprendeva nelle pratiche di gruppo; appena laureati o diplomati si cominciava a lavorare subito nei servizi manicomiali e non,; oggi invece la formazione avviene principalmente nelle Università nelle quali prevale la cultura scientifica di cui sopra
  • Per i giovani laureati trovare lavoro è difficile; il lavoro è molto spesso precario e nelle Aziende  sanitarie, fortemente gerarchizzate alle dipendenze dei manager ( a loro volta rigidamente controllati dagli amministratori regionali che li hanno nominati) non è garantita la libertà di parola e spesso nemmeno di pensiero
  • La torsione che sta assumendo l’articolazione del ssn, Regione per Regione, porta alla costituzioni di Aziende sanitarie di grandi dimensioni sovra provinciali ( si pensi alle aree metropolitane!), nelle quali  la dimensione e la voce della “rappresentanza politica” delle comunità locali finiscono con lo sparire in nome dell’efficienza e del controllo delle gestioni sempre più centralizzato.
  • Il raggiungimento dell’obbiettivo del “riuscire a fare a meno dell’Opg” lo si raggiunge riformando, anche qui, culture giuridiche, codici scritti divenuti senso comune.  La  stragrande maggioranza  dei giuristi, magistrati, sociologi, antropologi non ha maturato un atteggiamento critico nei confronti delle norme ( e dei comportamenti istituzionali ) vigenti.

Questioni:

–          È realistico porsi l’obbiettivo di costruire e far riconoscere percorsi ispirati alle culture della salute mentale e della recovery per dare una svolta alla formazione dei professionisti, o quanto meno cominciare a controbilanciare lo strapotere del “modello medico”?

–          Come restituire  visibilità e forza alla dimensione “locale” nel lavoro per la salute mentale ?

–          Quali rapporti del Forum salute mentale con le associazioni professionali e scientifiche di psichiatri, infermieri, assistenti sociali, psicologi, educatori professionali, degli operatori che si occupano delle dipendenze e delle disabilità mentali ecc.?

–          Come promuovere una indagine nazionale sui  protocolli in uso a regolamentare le contenzioni nei servizi di psichiatria?

–          Come coinvolgere avvocati, magistrati e le loro organizzazioni professionali nella critica a quello che è vigente?

–          Come promuovere  la II Conferenza nazionale per la salute mentale?

–          Cosa pensano gli operatori dei Dsm iscritti alla Cgil delle posizioni e degli obbiettivi di Forum salute mentale?

–          La Carta Cgil  dei diritti degli utenti e degli operatori (vedi) è ancora valida?

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