E’ un’assolata domenica di luglio. Il sole e la luce non mi feriscono più, li vivo in pace. Li amava Roberto, mio marito, un sentire lasciatomi in eredità. Un tempo non era così. Alla fine gli incontri umani finiscono col contaminarci, impariamo uno altro sguardo sul mondo, diverso dal nostro. In vacanza in Calabria, la terra delle sue radici, alle 7 del mattino Roberto apriva la finestra sfregandosi con allegria il petto nudo… ah il sole, faceva lui inebriato come un organo di senso, ed io a fargli eco.. mio Dio, neanche a quest’ora del mattino riesco a difendermi dal sole. Mi alzavo a volte alle 5 per scoprirne la magia, per abituarmici piano piano. Guardavo sorgere l’alba sull’acqua di Villapiana Lido, dalla casa di Villapiana Paese affacciata sul golfo. Alla mia sinistra le colline scendevano dolcemente sull’acqua, uno sguardo sul verde, senza cemento. Ora mi fanno compagnia in una foto appiccicata sul frigo.
Questa calda domenica a Mestre è mitigata dai giardini-un po’ orti che abbracciano le nostre case a schiera: vivo al Bachmann, lo chiamiamo affettuosamente così, col vecchio nome del toponimo austriaco, non vogliamo perderne l’antico spirito dei vecchi cortili di una volta, dove i piatti pronti camminano quasi da soli fra una casa e l’altra.
Oggi si direbbe un “quasi co-housing”, o condominio solidale, un modo di vivere provvidenziale quando qualcuno perde colpi, per un po’ o per sempre. Oggi è il turno della mia vecchia madre 89enne, la cui casa è accanto alla mia, ho scavato una trincea a forza di camminare avanti-indietro.
Canta Guccini “I vecchi subiscon le ingiurie degli anni,
non sanno distinguere il vero dai sogni,
i vecchi non sanno, nel loro pensiero,
distinguer nei sogni il falso dal vero…”
E’ così per mia madre, è spesso disorientata, pian piano perde le proprie radici terrene per farle germogliare altrove, almeno è quello che mi piace pensare.
Fatto sta che stamane ha dato un morso sul braccio al badante. La vita ce l’ha portato maschio, ma con le donne sarebbe lo stesso. Si ritiene autonoma, ma non lo è, non del tutto, ritiene ogni aiuto un’invasione, chiama la polizia per chiedere “giustizia”. Vuole girare sola per Mestre, ogni tanto ci riesce, cade, si fa male.. e così l’autonomia la perde davvero. E molto altro. Ci fossero ancora i manicomi ce ne sarebbe abbastanza per ricoverarla e così mi dico “meno male che non ci sono”, perché tutto porterebbe ad istituzionalizzarla. Non sempre, spesso, ma tutto ci condurrebbe là, dal medico di famiglia in su…se non avessimo fatto l’esperienza con mia sorella negli anni ’60.
Oggi ne abbiamo l’esperienza, sappiamo almeno cosa non è d’aiuto. Costringerla all’immobilità, contenerla con farmaci avrebbe un monte di effetti collaterali e non spegnerebbe subitanee iniziative.. sarebbe un’inutile crudeltà. Ed oggi come far coincidere amore, cura, umanità, civiltà?
Con quale sguardo guardare mia madre? Come vivere in modo creativo, vitale tutto questo? Ho imparato a dare un ritmo alle giornate ed alla settimana, mantenendo le sue antiche abitudini ed introducendone di nuove. E se “nell’iniziativa” brucia qualche pentola.. pazienza. Non si perdona forse ai bambini quando fanno i tarzan sulle tende o tagliuzzano bambole e tessuti? Ho imparato a guardare mia madre in questo modo e ad indicare questo “sguardo riabilitante” a quanti le stanno intorno a vario titolo, non è sempre facile ma ce la si fa.
Ai vecchi non si perdona facilmente, ci si angoscia per i “non senso”, per il loro bene si cerca di contenerli in ogni modo, oppure li si ricovera in luoghi sicuri “ahimè”. Non ci sono ricette, solo sguardi con cui guardare, quasi nessuno sguardo è “in divenire”, bisogna aguzzarlo, imparare a vedere.
Se per i bambini muoversi nel mondo anche sciupandolo un po’ è “abilitarsi” al mondo, per gli anziani è “riabilitazione” lasciarli muovere, sciupare materiali per mantenere in vita con le vecchie abitudini anche la memoria di sè…
Mia mamma ha sempre cucito, era brava, ora non ci riesce più.. abbiamo organizzato un “laboratorio di pittura Bachmann”. Tre volte alla settimana acquerello in casa, un lavoro collettivo con altre persone che hanno bisogno di distendere un po’ l’animo con attività artistiche, o semplicemente hanno voglia di stare insieme. Un po’ di euro ciascuno per un’amica un po’ pittrice ed un po’ pedagoga che lo segue, stiamo specializzandoci, forse faremo anche una mostra. Io non partecipo, accolgo il gruppo all’inizio e lo saluto alla fine. Mia madre mette insieme le pennellate come se fossero piccoli punti cuciti, con buon gusto, ne emergono disegni belli, leggeri, tenui, un po’ disincarnati, com’è lei in questo periodo.
Gioca a carte (guidata), prega, canta. Con la ginnastica, sempre guidata, si è ripresa finora da tutte le cadute e le piccole fratture. In bici non ci va più dagli 85 anni, dall’ultima caduta in cui è andata in coma, ne ha molta nostalgia. Sulla ginnastica è brava di suo, da quando non ha più avuto la mia sorella disabile da accudire, dall’86, ha sempre fatto ginnastica, ne ha imparato l’importanza dalla figlia, alla quale non gliela facevano i servizi riabilitativi. Nel nostro territorio la riabilitazione è rimasta un concetto pressocchè astratto per il quale si investe molto poco e senza coinvolgimento con la cittadinanza: sia che si tratti di anziani, sofferenti mentali, o disabili. Così l’assistenza famigliare c’è, ma non è riabilitativa.
Mamma è incontenibile, vuole muoversi e questo la salva… finché trova accanto a se persone che ritengono il movimento importante, un modo per rimanere “in sè”.
Ma come dare finalità al suo spirito vagabondo? oltre alla spesa quotidiana. Faccio di necessità virtù, mi reco spesso al domicilio di persone a vario titolo bisognose di cure e mi viene incontro il forte senso di solidarietà di mia madre, imparato dalla povertà vissuta con dignità e da una socialità che nasce da radici famigliari e dal piacere di stare con le persone, un piacere di vita difficile da dimenticare, perdere. E’ una memoria che diventa cultura. Mamma si mette “in riga” di fronte ad una persona malata, bisognosa di cure, non ha atteggiamenti assistenziali, potrei portarla da amiche, amici e parenti… ma devo mettere insieme anche le mie frequentazioni. “Prima le persone”, ci ha sempre insegnato, “se qualcuno ha bisogno d’aiuto, si spegne la pentola e si va”. Capita che glielo ricordi quando devo uscire, basta che le dica “vado ad aiutare questo o quello” e lei si mette in riga, è il suo modo di collaborare, essermi di aiuto e di capacitarsi quando torno in ritardo, anche se non rimane mai sola. Oppure la porto con me da disabili, malati, sofferenti mentali che non vogliono uscire di casa. E’ così che sopravviviamo a giornate lunghe e difficili ed è meraviglioso e commovente vedere come mia madre ritrova la bussola, anche se non del tutto, quel tanto che basta per gustare della reciproca presenza. Ma occorre credere in lei, rimetterla nel gioco della vita.
Come dice Guccini “E il vecchio diceva, guardando lontano:
“Immagina questo coperto di grano,
immagina i frutti e immagina i fiori
e pensa alle voci e pensa ai colori”
In qualsiasi condizione le persone possono “incontrarsi” e raccontarsi. Anche mamma. Ci si conosce, nascono racconti, barzellette, memorie di tutti. Ci vorrebbe un taccuino sempre in tasca, un registratore, una macchina fotografica…
“Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”
Il mio sguardo è raramente triste come il bimbo della canzone di Guccini, vorrei un po’ d’aiuto in più, poi mi dico che non riesco a lacerare i rapporti famigliari, chi ha più “risorse” alla fine le mette…ma per far circolare risorse e aiuti per non soccombere….occorre diventare un po’ magici, giocare un po’. Metto tutto in un pentolone, come una streghetta e mi sembra di ricavarne qualche efficace magia. Così riesco ad avere una vita mia, anche se continuamente interrotta dai ritmi di mia madre, non solo da lei a dire il vero. Sono certa che quando non ci sarà più, mia madre mi mancherà, sempre che tocchi a lei prima di me, cosa non scontata. Avrò negli occhi un lavoro su me stessa, qualche scommessa mancata, ma molte di più quelle vinte, oggi che più di ieri so “cosa non è d’aiuto”. Non lo sono lacci, lacciuoli dai nomi innocui e accattivanti, né inutili medicalizzazioni di una malattia fisiologica qual’è la vecchiaia, sulla quale si costruiscono vecchie-nuove inciviltà… e busness.
Ciao, Leda Cossu
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