Si è concluso il convegno per il trentennale dell’Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale (Unasam), tenutosi a Roma il 22 e il 23 novembre al Centro Congressi Frentani. Due giornate ricche di testimonianze, di esperienze, ma dense anche di domande, di spunti di riflessioni e di proposte per il miglioramento della qualità di vita delle persone vulnerabili e delle loro famiglie. E di preoccupazione per la frammentazione del campo e dell’urgenza per trovare terreni di incontro per ripensare alle forme organizzative, di partecipazione e di coordinamento per ricomporre il quadro delle presenze molteplici attive e distanti.
Non eravamo in molti ma sono state tante e ricche le voci che hanno animato il convegno: quelle dei familiari e degli utenti dei servizi, quelle degli operatori e delle associazioni e organizzazioni presenti sul territorio italiano, unite da un desiderio comune: la difesa dell’inviolabilità dei diritti e della dignità delle persone. “Una galassia di persone che si impegnano e che fanno fatica a trovare una rappresentanza”, ma che comunque continuano ad essere una resistenza preziosa alla disumanizzazione delle cure, come denuncia Antonello D’Elia, Presidente di Psichiatria democratica.
Due giornate intense dove il nome di Franco Basaglia è stato più volte rievocato. Un nome che è assente nelle università e nelle accademie, e che spesso viene omesso nei corsi di formazione per i futuri operatori della salute mentale. Una logica manualistica e standardizzata del bisogno che nega la memoria storica negata alle generazioni che sono nate senza i manicomi che non possono ricordare e né discriminare, e dunque scegliere. Significativo il lavoro delle associazioni e dei volontari Unasam che, in questi trent’anni, hanno saputo dare attuazione ai valori della legge 180/1978, che non consistono nell’apprendimento di una tecnica ma nel saper “essere basagliani”, e cioè nella volontà di assumere quella disposizione etica che consente di tenere sempre al centro la “persona” senza mai arretrare di fronte alle difficoltà e ai limiti della politica e dei servizi.
Benché non venga nominato Basaglia mostra quale debba essere la strada da percorrere per affrontare la contraddizione ineliminabile nella vita degli uomini e delle donne, per aprire una dialettica con l’assurdo, con la sofferenza e la fragilità che vorremmo rinchiudere nuovamente dietro a un muro.
La storia della psichiatria ha preso voce in questo convegno, attraverso gli aneddoti e i vissuti delle persone che hanno dato concretezza a quell’orizzonte del “possibile” che rappresenta la legge 180, purtroppo disattesa da politiche scellerate. Una legge che non deve essere pensata come vincente o perdente, come invita a fare Maria Grazia Giannichedda, Presidente della Fondazione Franco e Franca Basaglia, ma anzi “pensando fuori dalla logica della vittoria o della sconfitta”, perché come diceva Basaglia “questa è una logica che inganna”. Di fatto una legge non vince e non perde in sé, ma necessita di attuazione e dell’impegno di tutti.
Un impegno di cui parla anche Peppe Dell’Acqua, già direttore del DSM di Trieste, e tra i fondatori del Forum salute mentale ricordando le esperienze di quegli anni, il confronto e le riflessioni necessarie tra operatori, e con gli internati e le famiglie, per giungere a realizzare quella dimensione della cura capace di restituire la parola ai “matti”, e aprire non solo le porte del manicomio ma la mente degli uomini e delle donne, riportando la psichiatria alla sua dimensione di umanità.
La stessa umanità che invocano Eros Cosatto, Elio Pitzalis, Luca Papandrea e i tanti familiari che in questi due giorni hanno parlato del loro vissuto doloroso, spesso esacerbato dalla noncuranza dei neuropsichiatri, degli psichiatri e degli operatori, ma che invece ha trovato sostegno e possibilità di riscatto grazie alla sollecitudine e alla premura delle persone e degli operatori di Unasam; come è successo a Janila Mezzatesta che ha deciso di studiare psicologia e di mettere la sua sofferenza al servizio degli altri.
Una cultura della cura, quella invocata in questi due giorni, che forse può garantire ancora un futuro alla psichiatria, come afferma Giovanna Del Giudice, Presidente Conf Basaglia, e che non faccia più dire “dove metto il malato?”, ma piuttosto “come curo la persona?”, perché la soggettività non scompaia dietro al riduzionismo biologico e metodologico che destina il “paziente” all’irrecuperabilità, e perché non svanisca la possibilità di “immaginare” buone pratiche. A tal fine forse è importante e necessario che la sofferenza non sia messa unicamente nelle mani dei professionisti, dice Vito D’Anza, già direttore del DSM di Pistoia, ma che sia messa anche nelle mani dei non professionisti; d’accordo con questo anche Nerina Dirindin, dell’Associazione Salute Diritto Fondamentale che chiosa: “la salute mentale è troppo importante per lasciarla agli specialisti”. Necessario allo scopo che si continui ad allargare sempre di più i confini della salute mentale, aprendo le porte ai volontari, ai familiari, agli operatori e a tutti coloro che possono e desiderano dare il loro contributo, con quello che sanno e che riescono a fare, perché, come dice Gisella Trincas Maglione, Presidente Unasam, “se devi fare psichiatria puoi solo chiudere, ma se vuoi fare salute mentale devi aprire”.
Ma come si fa a costruire buone pratiche e a garantire la qualità della vita delle persone vulnerabili?
Costruendo comunità! Questa la risposta più invocata durante il convegno, senza dimenticare che le comunità non si edificano da sole, come sottolinea Daniela Pezzi della Caritas, ma con l’impegno delle persone e degli operatori; impegno fondamentale affinché si strutturi “una resistenza alla barbarie” delle cattive pratiche, oggi purtroppo molto diffuse.
Le buone pratiche si costruiscono anche abbandonando la psichiatria da manuale e attuando una “psichiatria di comunità”, come indica Paola Carozza, Direttrice DSM Ferrara, affinché la persona sia compresa e aiutata a partire dal contesto di vita, favorendo le sue autonomie e creando un progetto di cura personalizzato. A tal fine, serve una diversa preparazione degli operatori che non sia improntata alla standardizzazione del sintomo ma a un’interpretazione dimensionale dello stesso, contro una logica “prestazionista” e riduzionista che oggi viene fortemente imposta nella clinica.
Un sostegno al bisogno che non deve mai dimenticare i familiari, come dice Paolo Paolotti della Fondazione Di Liegro, cosicché la vita sia più sostenibile nel quotidiano. Si unisce al suo monito anche la voce di Elena Canali, responsabile Unasam Lazio, che invoca la necessità di risposte terapeutiche personalizzate e interventi di supporto ai familiari, spesso esclusi e lasciati soli, affinché il farmaco non rimanga l’unica soluzione alla mancanza di proposte terapeutiche adeguate. Contrastare la colpevolezza della psichiatria è ancora l’invito che arriva da altri psichiatri, come Massimo Casacchia della SIRP Abruzzo e Renato Ventura di Urasam di Varese, il cui monito è quello di continuare a creare una resistenza fatta di buone pratiche nel territorio.
Questo è quello che invoca anche Cinzia Migani, già responsabile dell’Area Salute Mentale dell’Istituto Minguzzi di Bologna, che rievoca un passato di esperienze e progetti che si possono ancora attuare, ma a patto che si “riesca a immaginare dei futuri altri”. Un futuro che si può pensare solo a partire dal garantire la qualità della vita delle persone vulnerabili, come afferma Claudio Cossi, Presidente di Afasop Noi insieme di Trieste e portavoce delle associazioni del Friuli Venezia, con la promozione della continuità delle cure in servizi aperti h24 e iniziative che possano assicurare il diritto all’autonomia e al lavoro.
I numeri in merito al depauperamento dei servizi sono drammatici, come mostra Fabrizio Starace, Presidente Siep. Numeri che mettono in evidenza diseguaglianze abissali tra le differenti regioni e lo stallo che i governi, le accademie e le psichiatrie hanno colpevolmente provocato. Forse bisognerà pensare, nella drammatica quotidianità che stiamo vivendo, a come uscire dalla dallo stallo.
Importante ostacolare la pressione della politica verso la privatizzazione dei servizi, e essenziale contrastare la spinta verso l’autonomia differenziata delle regioni come sottolinea Massimo Magnano della Comunità di Sant’Egidio di Roma. È inoltre fondamentale non arretrare di fronte alle difficoltà, ma andare avanti con quel poco, ma tanto, che resta! Questo è il desiderio di tutti i partecipanti al convegno, che hanno diffuso con le loro testimonianze quell’utopia necessaria al miglioramento e che Roberto Pezzano del Direttivo Unasam chiama “speranza realistica“, ricordando l’ottimismo della pratica di Basaglia da contrapporre al pessimismo della ragione.
Bisogna farlo per quell’umanità negata, come dice Francesca Moccia di Cittadinanzattiva, per riprenderci i diritti e dare a essi attuazione. È necessario farlo contrastando lo stigma, spesso sostenuto dall’assenza di una visione esistenziale ed etica della cura che permetta di includere la persona anziché etichettarla. Lo stigma della malattia cambia forma a seconda delle epoche e delle denominazioni diagnostiche. La “malattia mentale”, un tempo basata sul delirio, oggi prende forma come dis-regolazione emotiva, per cui l’età di insorgenza dei disturbi scende sempre di più. Alcuni bisogni non sono più riconosciuti nella loro complessità educativa, evolutiva, personale e sociale, ma vengono definiti sulla base di una diagnosi, e “trattati” spesso in un orizzonte di significatività clinica sempre più destituito di umanità. Fondamentale allo scopo la divulgazione dei valori della Riforma, di prevenzione del rischio e sostegno della fragilità anche nelle scuole, come afferma Natalia Barillari di Fondazione Libellula di Catanzaro, che aiutino i ragazzi a esercitare la capacità di accoglimento della diversità e del bisogno senza discriminazione alcuna.
Una qualità di vita invocata in questo convegno per tutte le persone, anche per i detenuti, come dice Patrizio Gonnella di Fondazione Antigone che mette in luce la criticità delle carceri e del nostro sistema di cura, dove non esiste una visione del recupero ma solo della detenzione, e che citando le parole di Cesare Beccaria ha ricordato che “i delitti è meglio prevenirli che punirli” e invitato a contrastare la tendenza della nostra società ad arrivare sempre dopo, con la terapia e la contenzione, piuttosto che intercettando in maniera preventiva il bisogno delle persone.
La necessità di continuare a opporre resistenza è giunta dalle innumerevoli voci, e che questa resistenza possa fare eco e risuonare anche all’esterno è l’appello di Carla Ferrari Aggradi, Presidente del Forum Salute Mentale, che chiama i presenti a unirsi ancora di più, a divenire saldi in questa volontà di continuare ad adoperarsi per il cambiamento, sottolineando la necessità di far giungere la voce ai giovani studenti e agli operatori, perché non si dimentichi la cultura basagliana e si continui ad andare in “direzione ostinata e contraria” rispetto alle pratiche di repressione, esclusione e discriminazione, così come ricorda il motto di Assunta Signorelli più volte citato nel corso del convegno.
Il frutto di queste due giornate sarà un documento condiviso, con le proposte di miglioramento delle pratiche per la salute mentale, che verrà sottoposto al governo dal Coordinamento Nazionale per la Salute Mentale. Il frutto di trent’anni sarà sicuramente la buona semina per il futuro, perché l’Unasam ha dimostrato che “se si vuole si può, e se si può si deve” come soleva dire Ernesto Muggia, tra i primi attivatori dell’Unione delle famiglie per la salute mentale..
Primavera non bussa, lei entra sicura. Queste sono le parole di una canzone di De André che Antonio Esposito, giornalista e ricercatore indipendente, rivolge a Gisella Trincas Maglione e alla platea alla chiusura del convegno, rievocando la potenza del sentimento amoroso, che ha la capacità di penetrare anche laddove si decide di escluderlo, magari in nome di un razionalismo scientista; quel sentimento che Unasam ha dimostrato essere capace di superare la prepotenza della politica e della psichiatria di questi ultimi 30 anni, perché più forte di qualsiasi cosa che violenta, imbavaglia, restringe, irrigidisce, opprime e nega la vita.