La risposta non può essere “Sorvegliare e Punire”. Non lo può essere in generale, come nello specifico, soprattutto, per quanto riguarda il mondo della psichiatria.
Eppure, mi sembra che, posti di fronte a domande sempre più pressanti, sempre più complesse – domande che partono dalla base, dalle persone che vivono sofferenza, disagio, povertà, precarietà, isolamento, stigma, abbandono, reclusione, e anche violenza, i decisori, le Autorità collegate al potere (ma anche alle responsabilità operative!) del mondo politico, amministrativo, gestionale, medico, rispondano spesso nel modo più “semplice”, più facile ma meno accettabile.
I problemi inerenti la complessità della salute mentale vengono rimossi; viene cancellata la messa in atto di tutte quelle pratiche molteplici, diversificate, multidisciplinari, certo impegnative ma più volte sperimentate come efficaci e risolutive, che possono costruire progressivi stadi migliorativi, forme di vita possibili, accettabili, dignitose, responsabili. Soffocando insomma tutte quelle pratiche che, come è stato abbondantemente dimostrato, possono realizzare un auspicato Benessere/Bene essere, dalle tante facce.
Così, in nome anche di una normalità omologante, illiberale, vengono chiuse le porte e creata una separazione netta tra un “dentro” e un “fuori”.
Un “dentro” per i malati di mente, così definiti da diagnosi oggettivanti e, ormai, anche da algoritmi predittivi, collegati a referti tecnologici, a interventi prodotti con il ricorso all’intelligenza artificiale. Un “fuori” per i cosiddetti sani.
Queste porte chiuse le vedo, le osservo nella loro concretezza, ogni volta che con il bus passo davanti al Centro di Salute Mentale, di mia competenza territoriale, dove, prima della pandemia/sindemia, trovavo i medici psichiatri di riferimento, che mi avevano in carico.
Allora si poteva contare su accesso a bassa soglia, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza lo strazio di alcuna lista d’attesa.
Oggi, le porte sbarrate, il giardino deserto, sono una metafora reale. Una metafora dolorosa della involuzione cui stiamo assistendo, noi persone con esperienza e i nostri famigliari.
Ma non ci arrendiamo. Siamo tutti coinvolti in una mobilitazione pubblica, alla quale pure danno in parte ascolto alcuni mezzi di informazione, giornali, televisioni, oltre che alcune forze politiche e sindacali. Una presenza attiva sul campo che dà voce a bisogni reali, molteplici, complessi; dà voce a domande impellenti, che chiedono giustamente risposte adeguate e immediate.
E si lotta per ottenere cure mediche e psicosociali improntate a valori e a pratiche “umane”, riferite a una “Salute Mentale di Comunità”. Mentre proclamiamo che la Salute Pubblica garantita dalla Costituzione Italiana è un bene materiale e immateriale e in quanto tale va realizzato come obiettivo prioritario inderogabile, perché riguarda tutta la cittadinanza, perché, evidentemente, siamo tutti a rischio
Senza salute, non finiremo mai di ripeterlo, siamo tutti impotenti, impossibilitati. Lo siamo tutti, i malati come i presunti sani…