Pubblichiamo un altro degli interventi della giornata del 27 giugno a Vigheffio
Vorrei presentarmi, usando due diverse accezioni: come “Testimone di crimini di pace” e come “storica”.
Le esperienze drammatiche vissute in un lungo percorso all’interno della esperienza della sofferenza mentale mi hanno portata a conoscere la realtà del manicomio: proprio di quella istituzione totale che il pensiero e le pratiche attuate da Franco Basaglia hanno voluto “cancellare” in Italia.
Ho visto con i miei occhi in quali forme si manifesta la violenza psichiatrica sulle persone recluse: private di parola, di gesti, di possibilità, subiscono degrado, abusi fisici e farmacologi, costrizioni di ogni genere. Tutto ciò ho esperimentato sul/con il mio corpo (in Boemia e in Austria, negli anni Novanta) e ne ho ancora ben presente l’orrore.
Per questo motivo penso che la “rivoluzione” voluta e attuata da Basaglia sia una conquista fondamentale nel campo psichiatrico, medico e più in generale sociale: necessaria per promuovere forme di “umanizzazione” che ci riguardano tutti.
Ma sono consapevole che le riforme nel campo sanitario – e qui non solo la promulgazione della Legge 180, nel maggio 1978, ma anche, subito dopo, la istituzione del Servizio Sanitario Nazionale – non sarebbero state possibili in un momento storico diverso.
Infatti, almeno a partire dal secondo dopoguerra, la riflessione, davvero ardua, su “che cosa sia la follia” ha aperto al confronto critico molti intellettuali, storici, filosofi, e non solo medici e psichiatri.
Alcuni operatori hanno dato inizio a sperimentazioni innovative, così delle strutture come delle cure; e nel mondo anglosassone, come in Europa si è accentuata una sensibilizzazione della società rispetto ai problemi generati in campo medico e alle possibili risposte alternative allo status quo, allora vigente.
In Italia, negli anni Sessanta, si vive un difficile processo di modernizzazione.
Tra l’altro, si registrano forti cambiamenti dell’opinione pubblica nell’ambito specifico dei trattamenti sanitari: la gente viene coinvolta anche emotivamente, quando viene messa di fronte alla realtà, alle tante denunce di condizioni insostenibili e degradanti, in cui versano i “malati di mente” nei tanti manicomi sparsi sul territorio. I “pazzi”, puniti, torturati, rinchiusi in spazi fatiscenti, ridotti a oggetti, “pezzi” senza nome, dimenticati, invisibili: così ce li mostrano in molti drammatici servizi fotografici, filmati, narrazioni … inconfutabili documenti massmediatici …
Nonostante l’insostenibile crudeltà della condizione di tantissimi malati-reclusi; nonostante il forte vento di trasformazione che agita la società nel suo complesso; penso che la Legge 180, il 13 maggio 1978, è stata votata e promulgata dal Parlamento italiano, in un clima politico teso e drammatico, del tutto particolare: proprio perché pochi giorni dopo il “Delitto Moro” – l’assassinio di Aldo Moro.
A volte succede che anche i fatti più aberranti, alla fine, possono essere volti a esiti – almeno parzialmente e/o in minima parte – positivi (!?).
Forse ho il coraggio di sostenere questa verità scandalosa anche per quel che mi riguarda. Come donna emarginata, umiliata, derisa, oltraggiata, e malata di mente.
Essere Testimone di tante, troppe sofferenze personali, sopportate nei lunghi anni – almeno quaranta – di attraversamento del mondo psichiatrico, mi portano oggi a riconoscere nelle infinite esperienze passate, i tanti momenti non scontati di aiuto, ricevuto nel CSM e nel DSM di Trieste.
Oggi – quando ho la presunzione di dichiararmi “guarita” – parola difficile e azzardata che ho perfino paura di solo pensare (!) – ricordo lucidamente anche i piccoli gesti, le occasioni impercettibili di sostegno morale e fisico, i segni di amicizia solidale tra pari … indispensabili per superare attimi di smarrimento totale. Sono un sorriso di speranza, un paio di zoccoli di gomma, un bicchiere d’acqua, una presenza silenziosa fianco a fianco, una parola gentile e accogliente …
Posso ricordare – come più volte ho fatto anche nel contesto della Giornata di Vigheffio quando ho rilasciato una ampia intervista a due infermieri lombardi, collegati nel network in rete e nella edizione di una rivista specializzata di categoria – la presenza fondamentale, necessaria nei CSM delle molteplici figure di operatori: infermieri e operatori di vario livello, quotidianamente presenti e fisicamente vicini alle persone prese in carico, che più ancora degli psicologi e dei medici sono in grado di intervenire nel momento di necessità, proprio per la costante prolungata condivisione degli spazi e delle imprevedibili occasioni …
Io ricordo perfino la cuoca, le assistenti volontarie straniere, le giovani tirocinanti, i tutori affidatari – come i tanti familiari, madri, padri, parenti a vario titolo – come le altre persone ricoverate o afferenti …
La costruzione di una Comunità che cura, che costruisce assieme, solidale, Salute mentale, Bene Essere, deve essere un progetto assolutamente centrale.
“#180benecomune” per il rilancio della salute mentale in Italia promuove, con la campagna mediatica in corso, un processo di aggregazione indispensabile.
A cominciare – a mio avviso – da piccoli (o grandi?) passi, per coinvolgere per prime le persone sofferenti, i familiari, gli “esperti per esperienza”, gli operatori di tutti i livelli, in occasione di crescita condivisa e di dialogo e interscambio esperienziale orizzontale: ad esempio, riunioni organizzative, riunioni operative, preparazione di seminari, scelta di focus di discussione, convegni, visite di luoghi deputati, così della salute come della cura, nella/della città, nel territorio e anche in Italia e all’estero.
Di quell’invisibile movimento collettivo, in cui mi sono trovata coinvolta, sollecitata, invitata, ho un ricordo grato, perché altrimenti il mio stesso “esistere”, “essere qui ed ora”, non sarebbe possibile.
Sono una Sopravvissuta, un po’ dolorante, un po’ammaccata, ma fortunata!