di Francesco (vedi articolo precedente)
Ho trent’anni e vivo nella bella città di Verona.
Diciotto mesi fa sono stato ricoverato in psichiatria, perché mangiavo e dormivo poco e facevo discorsi strani (aiutare gli altri, volersi bene, cambiare il mondo con la pace e l’empatia..); strani per chi non mi conosce, chi mi conosce sa che sono pensieri che faccio da sempre. Cercavo affetto e cercavo empatia, li ho cercati nelle persone che ritenevo più vicine (mia madre, mia zia, i miei amici di vecchia data) e che pensavo mi avrebbero meglio compreso. La risposta è stata un TSO, trentacinque giorni di ricovero forzato presso il SPDC dell’Ospedale civile maggiore, l’umiliazione punitiva della contenzione (sono stato legato al letto) e dosi equine di psicofarmaci. Non ho mai neppure pensato a un atto violento, né contro me stesso né contro gli altri; prima del ricovero mi sentivo, e lo dicevo, la piuma di Pavone preferita nelle mani del Buddha. La diagnosi finale (disturbo bipolare, viva l’originalità) e il lavaggio del cervello di più di un mese, ben supportato da (quasi) tutte le persone care, convinte certo in buona fede di aiutarmi, mi ha squalificato come persona. I dottori si riempivano la bocca con la mia “malattia”, quasi si potesse vedere, toccare e sconfiggere come un duellante in carne e ossa, ma ne sapevano davvero troppo poco per decidere così arbitrariamente della mia vita e a me appariva chiaro che non c’era una versione di me col disturbo e una versione senza. Io sono proprio fatto così da sempre, piaccia o non piaccia: leggo, studio, penso e scrivo molto, sono logorroico e chili e chili di pasticche non sono riuscite a levarmi di testa che un altro mondo è non solo possibile, ma necessario e doveroso.
In questo anno e mezzo chiaramente ho acquisito una sempre migliore consapevolezza del mio “male”: ho fatto psicoterapia, ho letto diversi libri e articoli sull’argomento, ho pubblicato grazie a uno psichiatra romano (“riluttante” come si autodefinisce) alcune pagine sulla mia esperienza, ho cercato inutilmente un rapporto orizzontale coi miei vecchi “curanti”, ho imparato a conoscermi meglio.
Poco più di un mese fa, a Firenze, mi sono trovato in una brutta situazione di deprivazione di sonno e di scarso rispetto e fiducia da parte dei miei cari, che sarebbe lungo spiegare. Una notte mi sono auto-ricoverato, ho accettato gli odiosi farmaci e la mattina seguente i medici fiorentini mi hanno ascoltato, parlato e infine dimesso con una lettera che pareva quasi di raccomandazione.
Per cui, grande è stato il mio stupore quando, pochi giorni dopo, mi sono ritrovato ricoverato, contro il mio volere e contro, apparentemente, ogni logica presso lo stesso reparto psichiatrico veronese. A nulla è valso il mio precedente ricovero (se non come stigma indelebile), non i terapeuti che hanno scavato nel mio passato, non le mie letture, non il mio auto-ricovero toscano, non la mia instancabile ricerca di risposte. Sono entrato in reparto quindici giorni fa, dopo i primi giorni mi è stato disposto un TSO solamente perché mettevo in discussione la valenza terapeutica del luogo. Il funzionamento della cura psichiatrica offerta (terapia = farmaci e solo farmaci), il rapporto minimale coi medici (più propensi ad ascoltarsi che ad ascoltare), la santa pazienza degli infermieri (preziosissimi cardini della struttura, malpagati, sfruttati e spesso demansionati), nonché la mancanza di una tutela reale, legale e tangibile del malato… ci sarebbe da scriverne un libro ed è proprio quello che ho intenzione di fare. Ho pensato che io ho studiato, approfondito, riflettuto, ho una buona parlantina e ho quindi gli strumenti per uscirne integro, ma sui volti dei miei compagni di sventura, nelle loro parole, nelle terribili fasce che li legano crudelmente ai letti, leggo la frustrazione, l’incomprensione, la sofferenza, lo stigma di anni e anni di lavaggio del cervello e di marchette delle aziende farmaceutiche, decisamente troppo potenti per un qualsiasi Stato di diritto. Ogni cosa ha i suoi tempi, tuttavia.
La mia priorità, adesso, è rimettere piede fuori da questo scrigno di dolore e sofferenza con la stessa dignità con cui sono entrato, soprattutto perché la mia fidanzata è venuta apposta dalla Russia per stare con me e da 10 giorni deve invece sobbarcarsi questa situazione assurda e incredibile. Sto scrivendo dal bagno del reparto, dal mio portatile – parafrasando il Dostoevskij con quel misto di serio e faceto con cui amo tanto condire la mia scrittura, potrei titolare questi scritti: Memorie dal cesso di un SPDC.
Se ho capito correttamente, un TSO viene disposto da due medici e ratificato da un vicario del sindaco e da un giudice tutelare (che però svolgono un ruolo puramente notarile, di ratifica appunto). Ai miei occhi questo procedimento legale contiene in sé un potere piuttosto rilevante, soprattutto perché mi priva della mia libertà, mi separa dagli affetti e, non da meno, mi squalifica come persona – purtroppo o per fortuna, ribadisco questo concetto per me centrale, non esiste un Francesco con la mania bipolare e un Francesco senza, esiste solo Francesco coi suoi pregi e i suoi difetti, e, se non reco danno a me stesso o agli altri, mi piacerebbe che questo venisse riconosciuto, o almeno tollerato. La domanda che mi martella la mente è conseguente ed è semplice e terribile: ma a me chi mi tutela? Cioè, chi tutela il me-cittadino accettante tutte le terapie, socialmente accettabile, posato e moderato rispetto all’eventuale abuso di un medico?
(luglio 2015)
2 Comments
caro francesco, ti giunga tutta la mia vicinanza virtuale per quanto stai passando.. ho la tua età, una gran voglia di migliorare come te il mondo e leggere che – nonostante una Rivoluzione basagliana – le cose non sono più di tanto cambiate, beh..mi fa sentire piccola e inutile. Tieni duro
ti sono vicino Francesco. a me la terapia non funziona purtroppo e dovrò urgentemente ricoverarmi. memorie di dostoevskji io l’ho trovato geniale e complimenti a te per averlo citato.