Ho un figlio che soffre di disturbi psichiatrici, più volte ricoverato a Napoli e fuori Napoli mediante trattamento coatto.
Purtroppo i media si occupano dei malati psichiatrici soltanto quando ci scappa il morto o si sfiora la tragedia.
Leggo, e sono allarmato, di pazienti morti legati nei reparti psichiatrici o nel corso di un Tso (trattamento sanitario obbligatorio). Negli ultimi mesi sono stati almeno tre i malati morti per ricoveri psichiatrici coatti spesso discutibili. L’otto giugno, a Sant’Arsenio in Cilento, muore in ospedale Massimiliano Malzone di Agnone, 39 anni, ricoverato dal 27 maggio, senza che i familiari l’abbiano mai potuto incontrare. Il 30 luglio, a Carmignano di Sant’Urbano, in provincia di Padova, Mauro Guerra, 33 anni, muore colpito dal proiettile sparato da un carabiniere durante un inseguimento che termina con una colluttazione, dato che il paziente si rifiuta di salire su un’ambulanza, in assenza di un’ordinanza di trattamento sanitario obbligatorio. Il 5 agosto, a Torino, muore, a 45 anni, Andrea Soldi, 120 chili. Alcuni testimoni riferiscono che i vigili urbani lo avrebbero bloccato con una ‘cravatta’, una presa che consiste nello stringere il collo da dietro tra avambraccio e bicipite. Caricato sulla lettiga cianotico, arriva morto al pronto soccorso. E Raffaele Guariniello, procuratore aggiunto a Torino, ha iscritto nel registro degli indagati i tre vigili urbani e lo psichiatra del paziente. Intanto in Emilia Romagna prende piede la cosiddetta “manovra ferrarese”, un protocollo per bloccare “pazienti in stato di agitazione”. “Bisogna essere almeno in tre: due bloccano il paziente per le braccia, il terzo operatore afferra le caviglie del paziente che viene atterrato a pancia in giù per essere ammanettato”, spiega l’infermiere professionale del 118, Damiano Zaganelli, uno degli istruttori del metodo di contenzione. La deputata del Pd Paola Boldrini propone addirittura che diventi una procedura generalizzata a livello nazionale.
A me sembra il Tso sia oramai considerato di fatto una specie di mandato di cattura, cui segue spesso, ‘la contenzione’, che significa essere legati per giorni a un letto, così come avvenuto nel 2009 con la morte del povero Francesco Mastrogiovanni, a Vallo della Lucania. E questo non per volontà delle forze dell’ordine, che hanno tutto il mio rispetto per il lavoro fondamentale e pericoloso che svolgono, ma per una deriva securitaria della salute mentale, conseguenza dello smantellamento della psichiatria territoriale e della concezione sociosanitaria del disturbo psichico. Ho letto anche che il comune di Napoli ha istituito un corso per la polizia urbana guidata dal comandante Ciro Esposito per definire le procedure per il trasferimento del paziente in crisi di agitazione psicomotoria presso i reparti ospedalieri dedicati.
E il comune ha anche acquistato degli scudi particolari proprio per questo uso. Dal sito del comune di Napoli apprendo che “il corso, che si tiene presso il comando della unità operativa Vomero–Arenella di via Morghen, e che continuerà sino ad ottobre, è tenuto dal capitano Giuseppe Cortese, comandante della stessa unità, per la parte teorica, e dall’istruttore di tecniche operative del corpo, l’agente Cristiano Curti Giardina, coadiuvato dall’agente Sergio Pinelli”. Sul sito si specifica anche che “con l’adozione di questo protocollo specifico Napoli si pone all’avanguardia rispetto al resto dei Comuni d’Italia e, attraverso l’Anci sta realizzando un progetto nazionale Sisfor che coinvolgerà su tale tema tutte le forze di polizia nazionali elocali d’Italia. Il Comando di Napoli ha provveduto all’acquisto di due scudi di contenimento in materiale assorbente gli urti, forniti dalla società Defence System, leader nella produzione di attrezzature e dotazioni per le Forze di Polizia”. E l’istruttore Curti Giardina spiega che “l’utilizzo degli scudi imbottiti permette di limitare gli eventuali danni agli operatori, ma anche di contenere l’azione aggressiva di soggetti pericolosi, essendo dotati di una speciale membrana interna antitaglio e resistente alle armi da punta”. Inoltre l’agente Curti Giardina è il presidente della International police training system, che, leggo dalla brochure di questa organizzazione privata, è una “associazione internazionale formata da esperti Istruttori del settore della self defense e delle tecniche e tattiche operative, con l’obiettivo primario della formazione specialistica degli operatori di polizia, dei militari delle forze armate, degli operatori della sicurezza privata e degli istituti di vigilanza”. È lui che si deve occupare di come fare ricoverare mio figlio? Ho appreso inoltre da un articolo di Giuseppe Del Bello pubblicato da Repubblica Napoli che un paziente, denominato con il nome di fantasia di ‘Renato’, è stato trasferito in ospedale in ambulanza ammanettato nonostante la contrarietà dei medici. A questo punto la mia preoccupazione cresce e chiedo a chiunque sappia rispondermi: esistono delle procedure standard da applicare per il contenimento dei pazienti psichiatrici, o ci si regola caso per caso? Chi decide se usare scudi, manette o strumenti analoghi, magari tipo spray al peperoncino: il medico o la polizia urbana? Mio figlio ad esempio soffre di sindrome metabolica, è sovrappeso ed è diabetico, con il cuore affaticato. Chi risponde se gli succede qualcosa? È possibile che se il medico si oppone a tali misure i vigili non ne tengano conto? Sono segreti i contenuti del corso organizzato da Palazzo San Giacomo? Si possono rendere pubbliche quelle che a me sembrano vere e proprie regole di ingaggio nei confronti di persone malate e incolpevoli? Nel giugno scorso il sindaco Luigi De Magistris, l’allora direttore della Asl Napoli 1 Centro Ernesto Esposito e il capo del Dipartimento di salute mentale Fedele Maurano inaugurarono all’ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi l’Osservatorio metropolitano per la salute mentale. L’iniziativa aveva suscitato grandi speranze nei familiari di chi soffre di disturbi psichiatrici. Ma oggi chi dirige l’osservatorio ha espresso una opinione su questi fatti? È in corso un’indagine? E in ultima analisi, può essere un reato ammanettare un malato per quanto agitato?Perché la cronaca dei quotidiani napoletani e la grande stampa nazionale non ci informano su questi corsi? Riguardano solo la polizia urbana, o anche altre forze dell’ordine, o addirittura medici ed infermieri? Arriveremo a una polizia psichiatrica? Non esiste un confronto su questi argomenti? E se si, dove? Aggiungo inoltre che non concordo con Francesco Blasi del Forum Sergio Piro, che nell’articolo di Repubblica afferma, in relazione al caso di ‘Renato’, che il Tso sia sempre e comunque un fallimento della cura del disagio mentale. Al contrario ritengo come genitore che a volte tale pratica, per quanto odiosa, sia indispensabile, necessaria, e a volte addirittura benefica, quando riesca a riportare con i piedi per terra un paziente che si ritenga onnipotente. Sempre che nessuno lo leghi al letto del reparto e lo faccia stare peggio o addirittura morire. Tuttavia nessuno deve farsi male, e a me pare che affrontare i pazienti come persone pericolose, a prescindere dai casi concreti e dalle personalità specifiche, faccia più danni che altro. Mio figlio, ad esempio, è una persona totalmente innocua, capace di fare del male solamente a se stesso. Contenere un paziente, sempre come ultima scelta, deve implicare uno sforzo molto maggiore da parte di medici, infermieri, forze dell’ordine, e non deve essere un modo per semplificare una procedura sgradevole. Ammanettare un paziente e metterlo a pancia in giù, come è avvenuto con il povero Andrea Soldi a Torino, ucciso dal Tso eseguito in assenza dello psichiatra, che forse riteneva il ricovero del suo paziente una semplice operazione di polizia e non un atto terapeutico, non vorrei che avvenisse anche a Napoli. Ho sempre pensato che da come si trattano i malati, e in particolare quelli psichiatrici, si capisca il grado di civiltà di un popolo. La saluto e la ringrazio
( tratto da Iustitia.it)