trento-taglio-del-nastro-leggera1di Giovanni Rossi

Normalità vuole che il taglio del nastro consenta di entrare in un edificio nuovo, che viene ufficialmente inaugurato.

Il taglio del nastro segna nello spazio il tempo. C’è un prima ed un dopo.

Prima non si poteva entrare.

Dopo si potrà entrare.

Normalità e salute mentale a volte non combinano tra di loro.

E così può accadere che il taglio del nastro certifichi la possibilità di uscire, liberamente, da un edificio. E che questa apertura verso l’esterno contribuisca ad accrescere il tasso di salute mentale di una comunità.

In Italia vi sono porte chiuse.

Sono quelle dei reparti di psichiatria degli ospedali (in sigla SPDC).

Non dappertutto.

Infatti in alcune città d’Italia, gli SPDC sono aperti. Fanno parte del club degli SPDC no restraint. Mantova appartiene a questo club, avendo da sempre un reparto di psichiatria con le porte aperte, ed avendo superato i mezzi di contenzione meccanica dal 1990.

Da oggi il SPDC di Trento fa parte di questo club.

Alle 12 ospiti, familiari ed operatori hanno tagliato il nastro ed aperto le porte.

Da oggi la regolazione degli ingressi e delle uscite sarà affidata alla relazione tra ospiti ed operatori. Alla alleanza terapeutica ed alla fiducia reciproca. Come dicono a Trento, al “fareassieme”.

Nella rete dei servizi di salute mentale, cresciuti in tutta Italia, dentro alla cornice della legge 180, vi è quasi sempre un buco nero, costituito dal “repartino psichiatrico”.

Lì cessano i buoni proposti della cura senza custodia e la coazione restrittiva della libertà di movimento è la regola.

Come se il controllo del movimento si trasferisse nel controllo del cervello.

Naturalmente questo buco nero ha un ‘effetto dirompente, anzi due.

La persona che subisce questo trattamento apprenderà le regole di una relazione costrittiva. la subalternità susciterà rabbia e aggressività. E andrà sempre peggio di ricovero in ricovero.

Inoltre anche quando sarà in cura nei servizi territoriali e riabilitativi, vivrà come una spada di Damocle la possibilità del ricovero “coatto”. Con una limitazione grande della potenzialità di miglioramento ed autonomia.

Nè sarà utile una contrapposizione, cui spesso cedono gli operatori, tra servizi buoni (il centro territoriale) e servizi cattivi (il reparto) perchè non farà che mantenere la scissione psichica, spesso alla base della malattia.

Per questo aprire le porte di un SPDC comporta un lavoro collettivo. Di infermieri e medici. Di operatori ospedalieri e territoriali. Di professionisti e volontari. Di istituzioni sanitarie e sociali. Occorrono tanto tecniche specifiche che un’opinione pubblica informata e consenziente.

Possiamo dire che aprire una porta dipende per il 50% dai professionisti e per un 50% dal contesto sociale.

Possiamo dire che un lavoro corale della città ha portato Trento ad aprire le porte del suo reparto di psichiatria. Onore a tutti. Ma anche oneri per tutti. Il percorso continua, perchè una porta, per essere mantenuta aperta, necessita di un continuo lavoro di cura della sofferenza che attraverso quella porta entra ed esce. Cura efficace, perchè una porta aperta non è una porta girevole : che continua a riportare e dentro o a buttare fuori. C’ è lavoro – e soddisfazione – per tutti.

L’esperienza di Trento è, infine, importante perchè dimostra la riproducibilità di un metodo, senza per questo rinunciare all’unicità dell’esperienza.

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