Ritengo che la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura sulle Rems del 12 novembre 2024 rimandi, più che ad un’analisi di dettaglio, a questioni di fondo che qui riemergono con forza.
La Commissione Mista per lo studio dei problemi della Magistratura di Sorveglianza e dell’Esecuzione Penale, istituita dal CSM, ha svolto i suoi lavori ‘con lo scopo di proporre una riflessione comune sui problemi della sorveglianza e dell’esecuzione penale in generale, al fine di individuare concrete linee di intervento – sia ordinamentali che organizzative’. Essa ha riconosciuto una serie di criticità, ‘cui si accompagnano non infrequenti lesioni dei diritti fondamentali delle persone sottoposte alla esecuzione della pena e/o delle misure di sicurezza.’
Nell’introduzione dedicata al tema Rems, i problemi vengono enunciati e sintetizzati con adeguatezza ed equilibrio: ‘Si è puntualmente rilevato, da un lato, come la stima numerica del reale fabbisogno [di posti Rems] sia del tutto fuorviante e, dall’altro, come sia d’ostacolo ad un’“accoglienza indiscriminata” il profilo spiccatamente curativo e non anche contenitivo svolto delle Residenze in questione. Ha registrato, così, pieno consenso la necessità di un’adeguata e strutturale modifica normativa che, nel tener conto dei rilievi sollevati, si muova su due direttrici: la prima, di una generale e ragionata revisione del numero e dei posti all’interno delle REMS (inspiegabilmente assenti in Calabria e Umbria); la seconda, forse più pregnante, dell’aumento – a medio-lungo termine – dei centri di igiene mentale e delle strutture di accoglienza sul territorio.’
E ancora: aumento moderato (20%) dei posti Rems; possibili percorsi di assistenza psichiatrica alternativi sul territorio affidati ai DSM; la rapida fissazione dell’udienza preliminare per procedere agli accertamenti; la ‘possibilità che già in quella fase (ossia prima dell’accertamento della pericolosità sociale ex art. 679 c.p.p.) il magistrato di sorveglianza disponga una misura gradata, quale ad es. la libertà vigilata all’interno di apposita struttura individua dai servizi territoriali’. ‘Quanto ai “rei folli”, invece, la riforma del 2014 ha previsto che essi, in quanto “imputabili”, espiino la pena in carcere in sezioni specialistiche dedicate ai disturbi mentali (c.d. ATSM)’ – ma esse sono 33 per appena 320 posti (coprendo lo 0,5% della popolazione detenuta a fronte del 10-15% (valore stimato) di persone con disturbo mentale grave ivi presente).
Su questo punti si può discutere ed anche in parte convergere.
Non altrimenti si può dire di ciò che viene detto a proposito delle soluzioni, spesso sbilanciate su una rafforzamento di un ruolo ‘da decisore’ del DAP, e dal peso del sistema giudiziario nel suo complesso.
Molti spunti in questo senso emergono dalle audizioni, sia sul versante DAP (il direttore Giovanni Russo) che sul versante del Ministero della Salute, nelle persone del Presidente e del Vicepresidente del Tavolo tecnico Salute Mentale, ovvero il prof Siracusano e (soprattutto) il dr Nicolò. Qui vengono riferite molte inesattezze (600 posti letto in OPG prima dell’abolizione dei manicomi – falso, 1200; FVG non ha Rems – Falso, ha 10m p.l.; etc) e visioni di parte, che francamente poco rispecchiano la maggioranza dei pareri degli operatori del campo. Ciò si traduce in proposte bizzarre, come quella delle 3 UVAP di 20 posti ciascuna, a prevalente gestione penitenziaria, e della sostanziale abdicazione della sanità al governo del sistema Rems.
La contraddizione centrale
Pena e cura: questi due poli della vecchia contraddizione sono da sempre terreno di negoziazione tra psichiatria e giustizia, entrambi campi di carattere normativo sia pure in termini differenti (rileggere Castel, l’Ordine Psichiatrico, circa il modo in cui essi si sono ‘a fatica’ diversificati).
Il passaggio che va con più coraggio riconosciuto è quello dalla sanzione connessa alla cura (gli OPP e OPG) alla cura e riabilitazione – nel rispetto dei percorsi di pena, pur ‘retributivi’, della sanzione penale.
Difficile tuttavia l’equilibrio da raggiungere, con necessità di delicate e complicate rinegoziazioni e conseguenti mediazioni.
Il dato cruciale qui resta la messa in discussione del doppio binario, anche alla luce della CRPD (art. 12 sull’uguaglianza di fronte alla legge) e in Italia del CNB (2017). Invece di ragionare sulla pena come fatto sociale di gestione della devianza, e sulla sua razionalità, ci si sofferma ancora sui concetti astratti di un diritto obsoleto che vanno superati (incapacità/imputabilità e pericolosità).
Ciò che non sappiamo
Non vi sono evidenze su questo terreno dove i dati sono pochi, generici e mancano seri e aggiornati studi epidemiologici sistematici (es. CNR nel 2012 per OPG, ma fuori tempo massimo!). Domande cruciali: chi sono queste persone, da dove provengono, che rapporto hanno avuto e hanno coi servizi e col penale, etc. Non si sa nulla dei percorsi di arrivo, e della catamnesi. Non basta il sistema informativo per le REMS che sostanzialmente latita.
Altri dati importanti sono quelli sui pazienti psichiatrici autori di reato e sui progetti messi in atto dai DSM; un’analisi corretta delle persone ‘in lista d’attesa’ per Rems e dei loro percorsi; un’analisi delle misure di sicurezza provvisorie che sono state attuate.
La tentazione ideologica
Si interviene invece sulla base di analisi parziali (di parte), tese a risolvere i problemi di uno solo dei sistemi implicati, e fortemente ideologizzate, fondate su pre-giudizi, umori e idiosincrasie. Per contro, i numeri sulle persone con disturbo mentale in carcere sono ridicoli, il bisogno di salute mentale è molto più alto (85% in UK).
I diversi versanti e punti di osservazione
Il versante sanitario
Ciò che viene prima e che oggi manca più che mai sul versante sanitario sono:
-Servizi ‘forti’ (24/7) capaci di mediare questa contraddizione prima che diventi conflitto: presa in carico dell’acuzie/crisi e ‘rielaborazione dei fallimenti’; continuità; presa in carico globale anche dei determinanti sociali, che spesso sono comuni a devianza psichiatrica e criminale.
Invece sussistono:
-Servizi ambulatoriali, a modello medico riduzionista; SPDC insufficienti e restrittivi; residenzialità separata e appaltata al privato; Rems disconnesse a tipo contenitore ultimo, non differenti da OPG.
Da un lato mancanza di chiari modelli organizzativi e operativi, che siano accettati, dall’altro depaureramento e infragilimento dei servizi territoriali in genere.
Gli altri punti di osservazione
Dall’osservatorio Rems: non vi sono più confronti su processi di cura (‘buone pratiche’) ed esiti.
Dall’osservatorio Carceri: mancanza di connessione col sistema territoriale, e inasprimento dei rapporti. Aumento della pressione su posizione di garanzia e tendenza all’espulsione verso il sanitario (paradossale risposta del MinSal sui 180 ‘irrecuperabili’).
Non ci sono servizi che entrano in carcere, e vi è l’infragilimento di accordi consolidati (es FVG); non sono note le condizioni reali delle articolazioni psichiatriche. Non vi sono programmi di prevenzione del suicidio, non vi sono pratiche alternative disponibili per i programmi individuali.
Soluzioni apparenti e tentativi reali
In questa situazione irta di contraddizioni, alcune soluzioni proposte dal CSM possono essere oggetto di discussione. Tra esse: costituzione di un osservatorio per il monitoraggio dei dati; individuazione di meccanismi operativi che consentano un efficace scambio interistituzionale tra servizi sanitari e magistratura, in modo da consentire all’A.G. di intervenire celermente per rivalutare i profili di rilievo, eventualmente modificando la misura di sicurezza applicata, qualora l’osservazione clinica svolta dagli operatori sanitari dia conto di discrasie e divergenze rispetto alle valutazioni già effettuate, sia con riferimento alla capacità di intendere e di volere, che in relazione alla pericolosità sociale’; potenziamento delle sezioni ATSM all’interno degli istituti penitenziari e realizzazione di apposite sezioni specialistiche psichiatriche per soggetti tossicodipendenti con comorbiltà.
In questo ambito, possiamo pensare a individuare soluzioni possibili che siano innovative.
Soluzioni corrette:
-Studio nazionale sui dati (già proposto in passato).
-Regionalizzazione (‘cruscotto’) del tavolo interistituzionale psichiatria-giustizia.
-Protocolli di verifica e valutazione (assessment) per qualsiasi grado di indagine e giudizio realizzati dai servizi territoriali.
-Valutazione (inclusa progettazione dei percorsi individuali, anche con BdS) affidata ai Servizi Territoriali e non (solo a) periti.
-Rems incluse nei / affidate ai DSM.
Soluzioni dannose:
Innanzitutto, auspicare un intervento legislativo ‘volto a riconoscere al Ministero della giustizia la gestione delle Rems’;
-Creazione di un corpo centrale ‘forense’ di valutazione dei soggetti in termini di pericolosità e dei percorsi relativi.
-Aumento indiscriminato dei posti Rems (+700, per ora), che se non si affrontano i problemi a monte, diventa tendenzialmente infinito.
-Differenziare le REMS per livello di gravità: situazione anticipata da UK – alta, media e bassa sicurezza, teoricamente con un flusso downstream, in realtà bloccate e che portano anch’esse ad una proliferazione indefinita.
-All’interno di questo, la soluzione per ‘irrecuperabili’: 3 strutture di ‘alta sicurezza’ per macroaree regionali, dichiaratamente ‘carcerarie’ (carcere psichiatrico, USA), non terapeutiche ma di mero contenimento. Ciò significa resa della funzione riabilitativa (psichiatria) nonché rieducativa (penale).
Il risultato è un cambiamento di sistema: ri-legittimazione della logica dei vecchi OPG, di cui molti appaiono nostalgici (non solo nel campo giudiziario), con creazione di nuovi luoghi-monstre, senza speranza.
Conclusioni
Anziché utilizzare la metodologia delle commissioni unilaterali e delle audizioni, il primo passo sarebbe la riproposizione di un osservatorio nazionale che includa sia il DAP che il Ministero della Salute che le Regioni. Sarebbe la sede giusta per riflettere e discutere sulle soluzioni in una logica intersettoriale, tale da garantire davvero il diritto alla salute e allo stesso tempo l’uguaglianza di fronte alla giustizia.
Al di là degli aspetti tecnico-operativi, certamente importanti, l’aspetto culturale resta centrale. Nel non affrontare il (vecchio ma ancora attuale) tema della re-inclusione del malato nel contratto sociale (Basaglia, legge 180), che necessita di tutte le mediazioni del caso da parte sia dei servizi sanitari e sociali territoriali che degli apparti giuridico-normativi, si rilegittima l’idea della incapacità-pericolosità come dato astrattamente ipostatizzato, attributo della persona e non delle sue circostanze sociali e storiche, e di luoghi di segregazione atti a contenerla.
Sul piano teorico bisogna allora combinare:
-Critica al concetto di pericolosità connesso alle condizioni psichiatriche. Considerare in alternativa il concetto di rischio scomposto nei suo elementi (ambientale, relazionale, procedurale).
-Attraversamento delle perizie e del ‘terreno di mezzo’, con proposte attive alla magistratura.
-Critica del concetto di ‘irrecuperabilità sancita’ per molti, che cozza col diritto alla salute e col concetto di recovery (sia pur sociale).