La recente delibera del Consiglio Superiore della Magistratura sulle Rems non è sostenuta da una metodologia adeguata sia in merito ai soggetti consultati sia per la parzialità dei dati portati a supporto. In articoli che sono seguiti vengono anche evidenziati casi specifici, “Sy contro Italia” per il quale l’Italia è stata condannata dalla CEDU ed altri due casi uno a Milano (omicidio di Marta di Nardo nell’ ottobre 2023) e l’altro a Caprarola Viterbo (dove due mesi fa è stato ucciso un netturbino) commessi da persone con disturbi mentali, in cura, conosciuti e pregiudicati. Ci si chiede in “libertà vigilata” o “internandi” in attesa di posto in Rems? E’ questo il problema?

L’articolo di Natascia Ronchetti sul Sole 24 ore 1 febbraio 2025 nel titolo riassume tutto il messaggio “Troppo pochi i posti nelle residenze per i detenuti infermi di mente”.

Se le persone fossero state in Rems i fatti non sarebbero accaduti. In giro non vi devono essere persone pericolose. 

Semplice, elementare e diretto. Un ragionamento basato sul pensiero magico che si può applicare ad altri reati, femminicidi, agli incidenti sul lavoro, della strada… Questa forma di pensiero ritiene possibile il confinamento del male in un solo luogo mentre è nelle persone, nelle relazioni, nelle comunità. Il pensiero primitivo esclude l’analisi della complessità, ovviamente non è scientifico ma ha molta forza di convincimento perché è potente in quanto agisce sull’immaginario. 

E’ una modalità che viene applicata anche verso i migranti: i Centri in Albania e i muri sono aperti e costruiti nella mente delle persone prima che nella realtà. “Funzioneranno!” In realtà stanno già funzionando creando nell’opinione pubblica la convinzione che vi sia un altrove dove far scomparire il problema, magicamente. Solo la magistratura, rompe l’incanto e per questo è un nemico. 

La promozione di azioni reali (respingimenti, sbarchi delle ONG a diverse centinaia di Km dal salvataggio) può avvenire senza indignazione dell’opinione pubblica liberando anche, quando arrestati, i perpetratori. Nell’indifferenza si è creata per via legislativo burocratica una popolazione esclusa e reclusa con meno o senza diritti.  Ora si sta andando oltre e dalla colpevolizzazione del “buonismo”, dall’attacco alle ONG (multe, fermi) si vuole passare alle azioni forti, anche lesive dei diritti, con la complicità e l’aiuto dei cittadini in primis dei professionisti. “Fare il male a fin di bene”[nota 1] è il messaggio subliminale e mediatico (le catene…). Obiettare non è possibile e s’invoca il tradimento.

Far sentire in colpa chi pensa all’accoglienza e persino ai salvataggi, ma anche chi quotidianamente cerca di aiutare chi ha bisogno, a partire da chi non ha nemmeno i documenti, il nome e i titoli per esistere, oppure non ha casa, lavoro, reti familiari e sociali…. In queste condizioni i disturbi mentali, ma spesso anche quelli fisici, l’uso di sostanze e alcool sono fortemente facilitati. Lo stesso anche le condotte antigiuridiche, gli oltraggi, l’occupazione di aree, la violazione. Nella ricerca di aiuto e relazioni si possono avere deviazioni, aspetti “tossici” e conflitti. La repressione di questi fenomeni molto estesi è poco efficace e la crescita della detenzione sociale non porta a migliorare la situazione. Ora si vuole un incremento della detenzione psichiatrica? 

Alla base si profila un impianto riduzionistico fondato su disturbo mentale- psicofarmaci e limitazione della libertà/coercizione mediante ricoveri o Rems che evita di affrontare le contraddizioni, la complessità, gli approcci (One health) biopsicosoociale, ambientali e culturali, fondati sui diritti, il consenso, la libertà e la deistituzionalizzazione come indicato da Nazioni Unite e OMS (dalla quale, guarda caso, gli USA intendono uscire).

Il riduzionismo evita di vedere nella complessità della collaborazione interistituzionale la via per risolvere i diversi problemi ciascuno con le proprie competenze. A chi spetta controllare le persone con misure alternative (quasi 90 mila), i liberi sospesi (quasi 100 mila)? Il problema sono i 600 (?) in lista di attesa?  E’ solo la psichiatria per le persone con disturbi mentali? Tutto questo, invece, presuppone una collaborazione interistituzionale ed è evidente che la psichiatria può solo esercitare il mandato di cura. 

Ma vi può essere un’altra psichiatria, dell’obbedienza giudiziaria, ancillare al potere costituito… restraint e custodiale. E se questo impianto non funziona, la semplificazione porta a vedere le carceri come ingestibili “solo” perché piene di persone con disturbi mentali e uso problematico di sostanze. 

Uno spostamento e una drammatizzazione per non affrontare sovraffollamento, detenzione sociale, norme su migrazioni e uso di droghe, le conseguenze di nuovi reati e dell’inasprimento delle pene… suicidi di detenuti ed agenti, disordini, gli oltre 10 mila in attesa del primo giudizio…  Si enfatizzano i 26 sine titulo (pressoché tutti con misure provvisorie) ma di non si parla di indulto, amnistie, liberazioni anticipate e riforme, numero chiuso e dimezzamento dei detenuti.

Solo proposte per collocare in Residenze o Comunità persone con uso di sostanze e pressione per nuove REMS e altre carceri. 

Le persone hanno una pluralità di bisogni umani, educativi, sociali, culturali, sanitari e anche di salute mentale. Essi non sono iscrivibili nel solo disturbo mentale. Vi è la necessità di un lavoro articolato sui determinanti sociali, ambientali ed economici della salute. 

Al contempo vi è una sopravvalutazione delle competenze e delle capacità predittive e preventive della psichiatria che genera un eccesso di attesa circa l’efficacia di determinati interventi considerati acriticamente alimentando così un’inesistente onnipotenza della psichiatria che rischia di virare verso la coercizione con estensione dei TSO, amministratori di sostegno e patti di rifioritura senza utilizzare approcci per il consenso, la risposta ai bisogni, la pianificazione condivisa delle cure.

Nell’ombra resta la sempre presente “guerra alla droga”, il mancato sostegno alle politiche di “riduzione del danno” e il contrasto alla legalizzazione/depenalizzazione dell’uso di sostanze.

Un’analisi sbagliata che non si confronta con i dati e deforma la valutazione dei rischi alimentando soluzioni immaginarie. Poco importa cosa succederà realmente (la neoistituzionalizzazione è molto costosa) ma importante è mettere in evidenza una linea, colpevolizzare chi ha voluto chiudere OPG e OP.

L’idea di altre istituzioni contenitive molto costose e poco efficaci contribuisce ad alimentare la cultura dell’esclusione, dell’abbandono, della coercizione a fin di bene. Di ben altro avverte il bisogno chi ogni giorno lavora con le persone, coglie le sofferenze dei bambini, dei giovani, delle donne, di tante persone in difficoltà in una situazione sindemica, di crisi globale. Ogni giorno si avverte il peso dei problemi e delle responsabilità che gravano sui servizi. Costruire alternative alla detenzione, promuovere formazione-lavoro, socialità, alloggi vuol dire avere risorse, una società solidale ed inclusiva ben diversa da quella escludente, abbandonica e talora razzista. E in questa situazione vicina al default cosa c’è di meglio che colpevolizzare gli operatori per avere voluto la legge 81 e ancor prima la 180?  

Sui rischi dobbiamo evitare che si riproponga il pregiudizio del malato mentale come pericoloso a sé e agli altri e che ciò venga interiorizzato dagli operatori e dai servizi. “Intervenite prima che succeda una tragedia” viene evocato in molte occasioni, quasi come un ricatto, un’anticipata attribuzione di mandato e di responsabilità.  Tutto questo non è sostenuto dalle conoscenze scientifiche.

2) Valutare correttamente i rischi

“Gli studi epidemiologici sulla popolazione generale indicano che, negli Stati Uniti, solo il 3-5% dei crimini è attuato da individui affetti da una patologia mentale”[nota 2] una percentuale piuttosto bassa se si tiene conto che in un anno il 15-20% della popolazione presenta un disturbo mentale. E’ molto più probabile che le persone con disturbi mentali possano essere vittima che autori di reati.

Se utilizziamo i riferimenti statistici risulta che il tasso di omicidio in Italia è pari allo 0,6 per 100mila abitanti (un decimo rispetto agli USA); il rischio di morire per un incidente sul lavoro è di 2 per 100mila abitanti. Quindi il rischio di morire sul lavoro (circa 1100 morti/anno) è triplo rispetto a quello di essere vittima di omicidio (320/anno).

Gli omicidi si sono molto ridotti dal 2000 quando erano 753 anno a 295 del 2021. Poi sono leggermente ripresi nel 2022 (328) e 2023 (340) mentre nel 2024 sono stati 314. [nota 3]

I femminicidi non hanno avuto lo stesso andamento, ed hanno mantenuto una relativa stabilità (2000-2009 media/anno 173; 2010-19 media/anno 151) segnando un decremento significativo solo nel periodo 2019-23 (media/anno 118). Tuttavia come riporta Merzagora (2023) [nota 4], in valori assoluti i femminicidi sono passati da 199 nel 2000 a 118 nel 2021 ma la percentuale dei femminicidi sul totale degli omicidi è aumentata dal 26,4% al 40%.

Il fenomeno è attribuibile ai malati mentali? La ricerca “La realtà psicosociale del femminicidio in Italia. Uno studio esplorativo” è stata effettuata dal Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino (prof.ssa Georgia Zara) ed è stata pubblicata nel 2022 [nota 5].

Lo studio analizza i casi di femminicidio avvenuti in Italia tra il 2016 ed il primo trimestre del 2021 in totale 409. I dati sui perpetratori del femminicidio indicano che su un totale di 409, 327 (79.9%) erano uomini italiani e 79 (19.3%) non italiani.

In 349 (84.5%) femminicidi, la tipologia di relazione tra persona offesa e perpetratore era intima e intensa; in 44 casi (10.65%) si trattava di una relazione superficiale, mentre in un numero esiguo di casi (n = 18; 4.36%) la persona offesa non conosceva il perpetratore. Per due casi non è stato possibile identificare la tipologia di relazione. Il movente più frequente, su un totale di 406 esaminati, era legato alla «multiproblematicità relazionale», evidenziata in 291 casi (71.7%), a cui seguono i femminicidi causati da comportamenti antisociali e impulsivi (n = 33; 8.13%). I femminicidi legati a questioni economiche (n = 24; 5.9%) oppure legati a disturbi mentali del perpetratore (n = 24; 5.9%) sono risultati poco frequenti. Per 34 femminicidi (8.37%) non è stato possibile raccogliere informazioni specifiche sul movente. L’età più coinvolta è quella dai 36 ai 55 anni individuata come la “fase della crisi coniugale e relazionale”.

Quindi l’orientamento alla prevenzione e all’educazione relazionale, affettiva e sessuale, nonchè all’autocontrollo rivolta ai giovani può essere utile nel lungo termine mentre negli adulti in primo piano dovrebbero essere gli strumenti per affrontare la multiproblematicità relazionale, le separazioni conflittuali e i comportamenti antisociali/impulsivi. I femminicidi legati a questioni economiche sembrano limitati, lo stesso per quanto attiene le persone con disturbi mentali (che agiscono all’interno della famiglia e per lo più ai danni della madre).

Altre ricerche indicano la rilevanza dei problemi assistenziali in particolare di anziani (coppie sole) nel determinarsi del femminicidio/suicidio del perpetratore. Nel dibattito è rimasta in secondo piano la questione dei linguaggi d’odio, la discriminazione dei diversi e dello straniero, la condizione sociale ed economica delle vittime. Quindi emerge un quadro complesso ma certamente non è attribuibile alle persone con disturbi mentali che sono implicate nel 5,9% dei casi. 

Se analizziamo i dati sui suicidi nella provincia di Parma di cui teniamo l’andamento dal 2010-2022 [nota 6] vediamo come a fronte di una media di 36 suicidi anno (range 28-45) la media di coloro che erano in cura presso il DSM era di 4,4 cioè pari al 12,2%.  

Il rischio di suicidio in ambito detentivo, sulla base delle Relazioni del Garante Nazionale Mauro Palma i cui dati sono riferiti al 2022, evidenzia che su 85 suicidi la vulnerabilità sociale riguardava 68 persone (80%), 20 (23,5%) suicidi erano persone straniere senza tetto e 11 (13%) con patologie psichiatriche.

La posizione giuridica dei suicidi era per il 54% persone con misure non definitive e il 37% era in attesa del primo giudizio.  Le donne suicide erano 5 su 85, in percentuale superiore (2,1 per mille detenuti) a quella maschile (1,48). 

In sostanza il rischio di omicidio e suicidio è complesso multideterminato e quella dei disturbi mentali è una delle tante variabili implicate. Molti altri fattori sono implicati e ve ne sono di tipo biografico, traumatico, relazionale, sociali con andamenti più persistenti ma anche estemporanei. 

Ma la valutazione del rischio (beneficio) deve avvenire nell’ambito del patto sociale che ci lega reciprocamente. Se vediamo quale sia il rischio che viene corso per mantenere la nostra libertà grazie alla mobilità automobilistica rileviamo che vi sono 3300 morti/anno circa, 5.5 per 100mila abitanti, nove volte il rischio di cadere vittima di omicidio. Nell’ambito del lavoro secondo i dati INAIL nel 2023 vi sono stati 1043 morti e  72.754 denunce di malattie professionali.

Potrei continuare con i rischi legati agli stili di vita, all’uso di sostanze legali con importanti ricadute sociali. Voglio chiudere questo punto con un rischio al quale tutti siamo esposti e al quale non ci si può sottrarre, respirare. Le polveri sottili, PM 2,5 micron determinano 48mila morti/anno, pari a 80 per 100mila abitanti, 133 volte il rischio di omicidio.

3) Conclusioni

Gestire il rischio è uno degli aspetti del lavoro quotidiano dei dipartimenti di salute mentale e ciò è essenziale per consentire i percorsi di cura e di recovery. Non vi è luogo dove il rischio si azzera, le persone si suicidavano in manicomio, accade in SPDC, nei contesti chiusi. La riduzione della libertà specie se associata a umiliazione, impotenza, perdita della dignità e speranza aumenta i rischi.

Quindi i rischi/benefici vanno studiati con metodi scientifici e statistici e periodicamente verificati, con un metodo condiviso e ripetibile.  Questo significa esplicitare anche come e con quali strumenti si può operare secondo i modelli di calcolo del rischio (gravità e probabilità dell’evento).  Questo dovrebbe sostituire una visione irrealistica (magica, la sfera di cristallo) delle capacità di previsione e prevenzione della psichiatria che in realtà sono molto limitate. I dati disponibili mostrano “ampi limiti nella capacità previsionale, specie per quanto riguarda il suicidio, la violenza e altri aspetti comportamentali”[nota 7]. Di fonte alla richiesta che tende a unire problemi reali e soluzioni immaginarie semplici (più strutture Rems, carceri, centri migranti e residenze) occorre rimarcare le contraddizioni e rilanciare il messaggio antiistituzionale per chiudere questi luoghi, rilanciare coinvolgendole, i diritti di tutte le persone nella concretezza delle azioni, delle prassi reali, quotidiane cariche di umanità, efficacia e ideali.

“La libertà è terapeutica, la verità è rivoluzionaria”

note:

  1.  Merzagora I. Il male per una buona causa. L’idealismo pervertito. Raffaello Cortina Ed. 2024Nivoli A. M. ed al Sulla psichiatrizzazione e imprevedibilità del comportamento violento sulla persona Suppl- 1 Riv. Psichiatr. 2020; 55 (6): S33-S39

  2.  Ministero dell’Interno Analisi criminale. Omicidi Volontari 2024 https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2025-01/report_omicidi_al_31_12_2024.pdf#:~:text=Relativamente%20al%20periodo%201%20gennaio%20%E2%80%93%2031%20dicembre,trovato%20la%20morte%20per%20mano%20del%20partner%2Fex%20partner

  3. Merzagora I Introduzione alla criminologia, Raffaello Cortina Ed. 2023

  4. https://www.federazioneitalianapsicologi.com/2022/01/12/la-realta-psicosociale-del-femminicidio-in-italia-uno-studio-esplorativo/

  5. Report Attività Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Anno 2022 https://www.ausl.pr.it/azienda/daismdp/default.aspx

  6. Angelozzi A. Problemi della previsione in psichiatria. Psicoterapia e Scienze Umane n. 4/2021, 623-646
    L’immagine del testo è di Ugo Pierri, tratta dalla copertina del libro “All’ombra del ciliegio giapponese. Gorizia 1961” di Antonio Slavich, ed. AB Merano.