Di Silva Bon
Voglio denunciare la burocrazia, che con le sue regole, spesso interpretate in modo restrittivo, frena, e a volte impedisce, il lavoro di chi s’impegna con buona volontà a fianco delle persone con esperienza di sofferenza mentale. Questo ostacolo è macroscopico nella gestione delle Associazioni del Terzo Settore, che operano con Convenzioni stipulate con i Dipartimenti di salute mentale. A volte sembra che l’impatto burocratico sommerga le possibilità di resistenza di chi sta vicino alle persone, in modo altamente collaborativo e creativo.
Sembra addirittura, viene il sospetto, che il Moloch della burocrazia sia stato creato non ingenuamente, per fiaccare l’operatività, demotivarla, metterla in sordina. Dunque, snellire le pratiche e i loro cavilli è una domanda forte, che viene dalla base.
Ascoltare e prendere in seria considerazione tutte le richieste di aiuto, implica non metterle a tacere. Silenziare le voci, impedire la parola, hanno conseguenze devastanti, così per i gruppi sociali come per le singole persone.
Anche a me è capitato, come a molte altre donne, soprattutto in giovane età, di sentirmi dire di stare zitta.
Sono stata messa a tacere troppe volte, e alla fine non ho più parlato. Parlavo solo sul posto di lavoro, a scuola, ma non con i colleghi, bensì solo in classe, dove tenevo lezione per quattro, cinque ore filate, ai miei studenti.
Relazioni sbilanciate, tutte. Così in casa, dove comandava allora mio marito in modo categorico e a volte minaccioso. Così a scuola, perché i colleghi mi intimidivano; e con gli studenti, i rapporti erano formali, anche se tenevo sempre un comportamento di massimo rispetto nei loro confronti.
Mai relazioni orizzontali, mai relazioni alla pari. Avevo paura di tutto e di tutti. Arrossivo e soffrivo in silenzio. Mi maceravo nelle mie difficoltà, sola, isolata, umiliata, derisa, del tutto trasparente. Nessuno, vicino a me, ha alzato una mano per aiutarmi; eppure vivevo in famiglia, senza amicizie e con poche conoscenze.
È arrivato un momento in cui veramente facevo fatica a concentrarmi, leggere mi era difficile, la memoria era debole. Stavo veramente molto male.
L’esperienza al Centro di salute mentale di Barcola di Trieste è stata per me fondamentale. Lentamente, molto lentamente, ho iniziato un percorso di ricostruzione come persona, come donna. Attraverso tante cadute, tanti traumi, tante sofferenze, sono riuscita, un po’ alla volta, a liberarmi, a darmi coraggio, a sentirmi un po’ più sicura, a evitare continui imbarazzi e difficoltà.
Mettere a tacere è un’operazione subdola, che può provocare danni irreversibili.
Dare la parola è un atto creativo, di messa al mondo della persona.
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