Franco Basaglia sostiene che “Per poter veramente affrontare la “malattia”, dovremmo poterla incontrare fuori dalle istituzioni, intendendo con ciò non soltanto fuori dall’istituzione psichiatrica, ma fuori da ogni altra istituzione la cui funzione è quella di etichettare, codificare e fissare in ruoli congelati coloro che vi appartengono. Ma esiste veramente un fuori sul quale e dal quale si possa agire prima che le istituzioni ci distruggano?” Se Franco Basaglia avesse potuto leggere il libro di Elena Cerkvenič probabilmente avrebbe risposto affermativamente.
Elena Cerkvenič con un testo semplice, di piacevole lettura, strutturato come diario ci permette di entrare nella sua vita, che contiene salute e malattia. Se l’istituzione destoricizzava, deresponsabilizzava e con l’internamento annientava ogni altro ruolo, l’autrice ci dimostra nei dettagli e nel quotidiano come sia possibile vivere i disturbi, affrontarli, cercare di mantenere soggettività, dignità e responsabilità familiari e sociali, legami con le proprie radici culturali.
Ci mostra anche come il passaggio dalla salute al disturbo e viceversa possa avvenire con relativa facilità, in modo fluido, con una permeabilità rispetto a dettagli, eventi apparentemente minimali. Una psicopatologia fatta di sensibilità elevate forse solo femminili, direbbe Eugenio Borgna, dove la salienza dei diversi avvenimenti e vissuti li connota in modo variabile e sempre molto personale. In questo sta una relazione con il mondo esterno colto nei sui dettagli minuti, nell’ordine e nella ritualità che protegge e rassicura. Tutt’altro che un mondo alieno, anche quando emerge la sofferenza che assume la forma del black out, perdita di senso della presenza, della comprensione di quanto accade fino a nuove realtà. Il racconto è veramente un dono per costruire una psicopatologia della quotidianità della vita nel mondo reale rispetto a quella, datata, di derivazione ancora istituzionale.
Se come scrive Jung “Tutto ciò che accade nel macrocosmo avviene anche nei recessi dell’anima”, il libro ci mostra come questo possa avvenire e in che modo si verifichino il transitivismo e l’appersonazione.
L’importanza della casa viene evidenziata in diversi passaggi del testo e come venga costruita un’abitazione intorno al corpo e sia essenziale per la soggettivazione. Cura di sé e dei dettagli, l’ordine, l’importanza rimarcata in più punti del bicchiere d’acqua. L’accettazione della patologia e della cura che diventano parti di sè e mai coincidono con la persona. Poi le relazioni con il marito e il figlio anche queste ricche di sfumature ma anche di prove di pazienza e resilienza.
Per la recovery vi è la prova di quanto siano rilevanti avere impegni e mantenere motivazioni e interessi. Tutto è reso possibile solo dalla presenza dei curanti e dei servizi. Sono la base sicuro, il porto che accoglie anche in emergenza. Con la presenza, gli atteggiamenti e la gentilezza, le parole misurate che fanno bene, il disturbo diviene qualcosa di comune, di condiviso che esiste sia nel mondo reale che in quello interno.
Per questa funzione di sostegno, supporto è importante testimoniare e rilevare la loro presenza reale: poter vedere i servizi quando si sta bene, rassicura che ci saranno anche quando si sta male. Metterli in discussione, depotenziarli, svuotarli rischia di far soffrire le persone perché oltre alle azioni reali, i servizi hanno una funzione psicologica perché tengono in mente le persone e da queste sono pensati. Un’indicazione precisa per cure basate su relazioni, consenso, fiducia, responsabilità, libertà e speranza invece che restraint e metodi coercitivi.
Gli accenni alle attività lavorative, con le possibili frustrazioni, e la volontà di promuovere la cultura slovena sono segni di una vitalità, di motivazioni che aiutano la ripresa, a trovare senso. Questo avviene anche nelle attività dei gruppi e automutuo aiuto. Davvero un bel libro molto utile per i professionisti specie i più giovani che allenati a conoscere i disturbi con i DSM possono trovare una storia ricca e profonda narrata da chi soffre. Familiari e utenti possono trovare una testimonianza che si può fare.
Un ringraziamento e un messaggio di sostegno e consapevolezza agli operatori che presi dalle tante richieste quotidiane vivono prevalentemente gli aspetti problematici e negativi trascurando, talora, la rilevanza del cambiamento avvenuto e ancor più l’entità del patrimonio ancora presente.
Come scrive Peppe Dell’Acqua nella post-fazione, “il lavoro che andavamo facendo era diventato inconoscibile a se stesso”. Sta quindi a tutti noi ricordarne l’importanza. Infine un messaggio anche per i politici e i decisori amministrativi, perché i servizi per la salute mentale e la 180 sono davvero un bene comune da tutelare e promuovere.