di Giovanna Del Giudice.
Venerdì 5 giugno 2015, a Pistoia, nell’VIII Forum salute mentale Maria Grazia Serra, Giovanna Del Giudice e Piero Cipriano hanno annunciato l’apertura della campagna per l’abolizione della contenzione, in una situazione di grande emotività dopo la visione di alcune immagini sull’agonia di Francesco Mastrogiovanni, legato nel letto del Servizio psichiatrico ospedaliero di Vallo della Lucania. Immagini strazianti di un uomo sofferente, reso inerme, negato nella soggettività e nei diritti, invisibile agli occhi degli operatori (guarda il trailer).
Non è questa tortura? Come si può considerare la contenzione cura e trattamento sanitario?
La contenzione, atto inumano e degradante, previsto dalla Costituzione come reato, annienta chi la subisce ma anche chi la attua. Il processo di “cosificazione” del malato, ridotto a corpo biologico e negato come soggetto, contamina l’operatore oggettivandolo, negandogli forza, capacità di relazione e competenza.
La questione della contenzione, insieme alle altre pratiche limitative della libertà delle persone in cura, è stata una delle criticità messe al centro dal Forum fin dalla sua costituzione nel 2003 (leggi il documento fondativo).
Così scrivevamo insieme a Franca Ongaro Basaglia nel documento fondativo:
La buona pratica è il risultato di una volontà collettiva di partire comunque dal rispetto e dalla libertà della persona che certamente proviene da una storia in cui questo rispetto e libertà sono venuti meno o non sono mai esistiti. La buona pratica cresce e si sviluppa attorno a questo nucleo centrale, da cui si dipana ogni altro intervento.
La contenzione blocca questo sviluppo nell’atto stesso che parte dal massimo dell’umiliazione e della mortificazione della persona e ripropone la copertura della nostra incapacità ad affrontare diversamente la sofferenza e la violenza, con una risposta irresponsabile di violenza e di difesa di sé, di violenza da parte del più forte, e di chi è in condizione di porre una distanza fra sé e l’altro: il ruolo, le regole, l’istituzione, il potere.
Il tema della contenzione ha attraversato significativamente l’VIII Forum di Pistoia. Evocato da molti nei loro interventi come la punta più alta della violenza che ancora si perpetua nei servizi della psichiatria, e non solo. Pur anche in Italia, dove, come dice Eugenio Borgna “la legge di riforma del 1978 consente di fare la migliore delle psichiatrie possibili.”
Oggi l’80% dei Servizi psichiatrici ospedalieri lega le persone affidate in cura, opera con le porte chiuse, ricorre alla contenzione farmacologica. Ma il 20% dei Servizi dove si cura nel rispetto della dignità e dei diritti, senza il ricorso a pratiche coercitive, o dove gli operatori si interrogano quotidianamente e cercano il superamento delle stesse, indica la direzione verso la quale bisogna andare e mostra, nel concreto, che è possibile abolire la contenzione.
Oggi, tanto più dopo le morti conosciute di Giuseppe Casu e di Francesco Mastrogiovanni, rimasti legati nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Cagliari (2006) e di Vallo della Lucania (2009) per un tempo drammaticamente lungo, 7 e 4 giorni, fino alla morte, tale trattamento è uscito dal sommerso e nessuno può più dire di non sapere. Le istituzioni sono state “costrette” ad affrontare questa pratica, e gli abusi che ne derivano, anche dopo l’intervento del 2008 presso il Governo italiano del Comitato contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa che aveva espresso forte preoccupazione per l’eccesso di ricorso ai mezzi di contenzione e stigmatizzato il loro utilizzo per motivi punitivi o pedagogici.
Nel luglio del 2010 la Conferenza delle Regioni ha emanato quindi le Raccomandazioni “La contenzione fisica in psichiatria: una strategia possibile di prevenzione” (vedi il documento). Ma quale “vigilanza” è
stata attuata nelle e sulle Regioni in riferimento all’adozione di strategie per la prevenzione, e noi diciamo per l’abolizione, della contenzione? Quali sono stati i provvedimenti adottati per le Regioni o i Dipartimenti di salute mentale inadempienti?
Il 23 aprile 2015 il Comitato nazionale di Bioetica ha espresso parere per il superamento della contenzione meccanica, pratica cruciale dal punto di vista etico e giuridico, attuata in particolare nei
confronti dei pazienti psichiatrici e degli anziani (vedi il documento). Un altro passo avanti verso la direzione dell’abolizione della contenzione che deve però trovare indicazione e riscontri concreti più cogenti e
meno possibilità di “mascheramento” nello “stato di necessità”.
Come già diceva Conolly, che nell’asilo di Hanwell (Inghilterra) aveva negli anni intorno al 1850 abolito completamente la contenzione, “non si potrebbe commettere più grave errore di quello di credere che un uso moderato della contenzione possa essere coerente con un programma generale di cure per ogni altro verso integrale, indiscutibile, umano. L’abolizione deve essere assoluta; altrimenti non riesce efficace.”
La contenzione quindi non deve essere diminuita ma abolita, pena un suo riproporsi e diventare di nuovo pratica routinaria
Nel nostro richiamo ossessivo alle pratiche e alla dissociazione tra enunciati e pratiche, vogliamo infine ribadire che non si può parlare di diritti, e tanto più di negazione dei diritti, separandoli dai soggetti reali e dai loro contesti.
Oggi la questione dei diritti delle persone affidate in cura, ed in particolare delle persone con disturbo mentale, per le quali l’affrontamento della malattia corrisponde in molti casi ad una vertiginosa caduta del diritto, come degli anziani istituzionalizzati, che rappresentano il grande internamento che interroga sulla qualità di vita che il progresso della scienza ci riserva, rappresenta una battaglia che deve di nuovo attraversare le istituzioni e le comunità.
Oggi di nuovo dobbiamo interrogarci su come e se le istituzioni sono garanti del diritto alla cura. Su quale relazione esista tra garanzia del diritto, istituzioni, movimenti, cittadini. Come i processi di soggettivazione e di protagonismo delle persone con esperienza possano diventare argine agli abusi.
Come è possibile far uscire dal sommerso la violazione del diritto. Quali sono le strategie da adottare contro la violazione e lesione di tali diritti.
Con certezza sappiamo che l’impegno per l’abolizione della contenzione deve riguardare tutti: cittadini, politici, operatori, persone con esperienza, familiari… I “luoghi della cura” devono essere attraversati ma pure si deve andare oltre i recinti delle istituzioni deputate e degli specialismi e produrre dibattito e mobilitazione politica e sociale.
Sappiamo pure come il confronto con gli operatori, le loro culture e pratiche, insieme all’analisi delle condizioni organizzative e gestionali di lavoro, rappresenta di certo la questione più complessa da affrontare.
Ma sappiamo con certezza che l’obbiettivo non è di vincere ma di convincere e testimoniare.