TARVISIO, luglio 2013. Una bambina in spalla al papà, gli occhi pieni di sonno si muovono in REM spalancati più che mai. Due innamorati oscillano incapsulati in un abbraccio, tenuti insieme dalla nota di una chitarra suonata con l’archetto di un violino come fosse colla. Un cane basenji, razza tra le più infedeli al nome dell’animale domestico che porta, trema investito dall’urto delle batterie, inspiegabilmente docile alle attenzioni non richieste. Uno incappucciato si contorce in danze dervisce e street wear, contento come una trota di aver scambiato la Norvegia per l’Islanda e di essersi sciroppato 120 chilometri per non trovarsi al concerto dei Röyksopp dove era convinto di andare. Gli tiene testa soltanto una trottola in Converse rosse e jeans più strappi che tessuto, il resto dei 1998 convenuti galleggia nella piazza come dentro una piscina riempita di incanto. Qua e là capannelli di vertiginosamente pacate belle statuine in posa per la foto di gruppo, da postare con la sigla “sent from my iPhone”.
Succedeva, sere fa, nella piazza del Duomo di Tarvisio al No Borders Music Festival 2013, l’ambiziosa rassegna artistica che da 18 anni batte, con meritato successo, la strada della “musica quale forma di cultura e mezzo di comunicazione in grado di essere compreso da tutti, oltre i confini etnici, linguistici, sociali e geografici”. E che il 23 luglio scorso ha servito ai suoi adepti – con targhe e cadenze del Nordest italiano ma non solo, slovene, austriache, croate e così avanti – un evento musicale da resa incondizionata su tutta la linea. Del genere che fa dire: mai vista una roba così. Sublime. Cedono persino i più integerrimi, quelli che mentre lo dicono già non ci credono più, perché l’ultima è sempre la migliore.
Questo è l’effetto che fanno i Sigur Rós, il fenomeno islandese di cui “hanno scritto le pagine più poetiche e bizzarre della musica, conquistando l’unanime consenso di pubblico e critica e divenendo in poco più di quindici anni di carriera la massima espressione di quel rock che diventa arte a 360 gradi” – si legge nel raramente così scrupoloso Comunicato Stampa a cura di chi, nel paese degli “indignati&scoraggiati”, ha ancora voglia di fare il suo lavoro e di farlo come si deve.
Più che un concerto, un viaggio. Lo spettatore analogico lo zippa in una parola: spaziale. Il ricercato lo infiocchetta, parlando di: musica pura, di altissima quota. Ipnotica come un mantra, estatica come una preghiera, liberatoria come un rito sciamano. L’analitico-razionale annota: ho avuto modo di assistere e partecipare a uno dei concerti più belli e coinvolgenti degli ultimi anni. La magica voce di Jonsi, che alterna tratti mistici ed eterei ad altri caldi e vibranti, è perfettamente coadiuvata da un superbo gruppo di musicisti con fiati, violini e un gran batterista che accompagna e scandisce i tempi del concerto. Scenografia e coreografia perfette, in un’atmosfera altamente suggestiva, fanno sì che i quasi duemila spettatori siano coinvolti in un vero e proprio viaggio, anche un po’ psichedelico, nelle incantate atmosfere d’Islanda. Voto finale: 10.
Ma qualsiasi cosa si dica, le parole continuano a cadere in silenzio, e ciò che rimane è la fragranza di una musica (e di un fare, o di un essere musica) che arriva come un dono. Un dono inatteso, di cui essere riconoscenti perché capace di ricordare, persino ai più smemorati, la formula della scrittrice americana Elizabeth MacCracken: «La cura per l’infelicità è la felicità, me ne infischio di quello che dicono tutti».
Tempo fa un ragazzo che ha conosciuto l’infelicità delle droghe e della malattia mentale, ha detto: la musica mi ha salvato la vita. Chi è stato al concerto dei Sigur Rós sa di che cosa parla. (Di seguito una scheda sui Sigur Rós).
K.L. – S.O.
La storia dei Sigur Rós inizia nel 1994, il giorno stesso della nascita della nipote del leader Jonsi Birgisson, chiamata per l’appunto Sigurros, rosa della vittoria. La band si fa subito notare dalla connazionale Bjork, ma per raggiungere la notorietà occorre aspettare l’album Von. Il primo passo al di fuori dell’Islanda arriva con Ágætis Byrjun (1999), rampa di lancio della band a livello mondiale, in cui alle atmosfere psichedeliche del primo disco si aggiungono chitarre spiccatamente rock, tra garage e shoegaze.
Il 2005 è l’anno di Takk, il terzo album ricco di una nuova forza espressiva di Birgisson e compagni. Due anni dopo la band si ripresenta con un doppio cd, Hvarf/Heim, nel quale, accanto a pezzi inediti, trovano ampio spazio rivisitazioni di brani della loro discografia. Grande successo riscontra anche il film-documentario Heima, testimonianza di una serie di concerti tenuti dalla band in suggestive location. Il quinto album di studio, Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust, esce nel 2008 e vede la collaborazione del produttore Flood (Nine Inch Nails). Caratterizzato da nuove strade sonore ed originali spunti artistici, la magia dei Sigur Ros è il frutto dell’incontro tra tante e diverse suggestioni artistiche; il risultato è un suono unico ed istintivo, una musica emozionante che si fonde alla magia ispirante della terra d’Islanda. Nel corso degli anni è stata proprio la straordinaria capacità di creare musica emozionante a rappresentare il tratto caratteristico dei Sigur Rós, complice anche il fatto di cantare testi in islandese o, in alternativa, in un particolare linguaggio completamente inventato da Jonsi Birgisson, l’hopelandic.
A maggio 2012 viene pubblicato Valtari, un ritorno alle origini per le sonorità della band e che l’ha definitivamente consacrata come una delle realtà più interessanti della scena musicale internazionale, mentre il 18 giugno scorso è uscito il nuovo atteso lavoro: Kveikur. Anticipato dal singolo Brennisteinn, il disco è il primo che vede la band come trio, dopo l’abbandono del poli-strumentista Kjartan Sveinsson.
“Kveikur” (in inglese “stoppino”) è un lavoro nuovo e differente dai precedenti, un ulteriore capitolo del viaggio musicale di questa band nata nelle langhe della fredda Islanda. Nove tracce intense, introdotte dal singolo di lancio “Brennestein”, che trasportano l’ascoltatore in 48 minuti di pura emozione, un disco definito come un’”urgenza espressiva” che bene si contrappone al precedente più intimo “Valtari”. Con l’European Summer Tour I Sigur Rós stanno presentando i nuovi brani dal vivo toccando diversi paesi: Germania, Belgio, Olanda, Regno Unito, Svizzera, Polonia e Italia, tra i tanti.