Giovani, provenienti da tutta Italia, che quando cominciano hanno sguardi luminosi; sono generosi, curiosi, desiderosi di cogliere il senso etico, politico e umano del loro lavoro. Giovani che condannati alla solitudine quotidiana e a pratiche indefinibili, nel corso del tempo, un tempo sempre più breve, perdono ogni curiosità, ogni desiderio. Tutti, quando arrivano nei luoghi della psichiatria, vivono lo sgomento dell’assenza. Per poter sopravvivere, devono allontanarsi dall’insensatezza che si presenta quotidianamente ai loro occhi. Non possono fare altro che impedirsi di coltivare il proprio singolare sentire critico, il proprio desiderio di cambiamento. Per sopravvivere non possono che impedirsi di vedere. Ecco questo (e altro) potrebbe essere “la cosa” che sta nascendo: sentirsi vicini gli uni agli altri per scambiare le incertezze, le frustrazioni e i successi entusiasmanti e inaspettati del lavoro quotidiano. Ri/trovare parole intorno alle quali costruire immagini di cambiamento. Frequentare esperienze e pratiche che aiutino a vedere che “si può fare”.
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