di Mario Novello
Alcune frasi del dottor Di Giannantonio, presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP), riportate dal quotidiano Il Piccolo a proposito del concorso per il Responsabile del Centro di Salute Mentale di Barcola (CSM), mi costringono a intervenire soprattutto per rispetto di tutte quelle persone che si sono affidate e si affidano a un complesso sistema di operatori e operatrici della salute mentale che generosamente affrontano ogni giorno la durezza della realtà e si prendono cura della sofferenza delle persone. Un intervento dovuto anche per rispetto di tutti i Magistrati con i quali dal 1979 abbiamo condiviso e condividiamo tuttora percorsi di democrazia su fronti molto delicati e difficili.
Ogni accusa di “visione antica” e di “azione di retroguardia” viene respinta con forza, chiarezza e lucidità e non può che essere rimandata al mittente.
Premetto che la lettera – non richiesta e non necessaria – sembrerebbe confermare le più semplici e banali interpretazioni.
Persone vicine alla Giunta Regionale, pochi giorni dopo il suo insediamento, avevano riferito alla stampa la volontà di chiudere l’esperienza basagliana in regione e poco aveva rassicurato l’assessore Riccardi nel convegno di Zugliano nel 2019, organizzato proprio per tale motivo da diverse associazioni di familiari e Conferenza Basaglia.
L’esito del concorso sembra costituire pertanto un passaggio fondamentale della decisione politica. E’ inutile dissimulare.
C’è soltanto da prenderne atto e valutarne la portata concreta, certamente drammatica, e il da farsi.
Il dott. Di Gianantonio è intervenuto come presidente SIP – caso probabilmente unico – con l’accusa d’inattualità e di arretratezza culturale e scientifica all’esperienza basagliana a fronte dei progressi della psichiatria moderna contemporanea in Italia (non dimentichiamo che l’80 % dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) ha le porte chiuse e agisce la contenzione meccanica con alcuni decessi in una prospettiva neo-organicistica: riduttivo ma “praticamente vero”). Forse non sa che tali argomentazioni si sono ripetute nel tempo da circa cinquant’anni, sempre uguali.
Nel 1972 le università italiane non accettavano l’iscrizione al corso di specializzazione in psichiatria di noi giovani psichiatri venuti a Trieste per lavorare con Franco Basaglia.
A Trieste, gli specializzandi erano stati minacciati di espulsione nel caso avessero preso contatto con il gruppo di Basaglia.
Soltanto il professor Visintini, amico di Franco Basaglia, e il professor Ancona, titolari della cattedra di Psichiatria rispettivamente dell’Università di Parma e dell’Università Cattolica di Roma, avevano accettato alcuni di noi nel corso di specializzazione in psichiatria.
Allora – anche alcuni giovani colleghi – ci dicevano apertamente che noi stavamo facendo il lavoro “ sporco “ nei manicomi “ sporchi “, mentre loro rappresentavano la scienza moderna, il futuro pulito (in un mondo ripulito dalle brutture del manicomio da noi, insignificanti addetti alle pulizie).
Dopo che l’esperienza di Trieste era cresciuta ed era stata promulgata la legge 180, che la legittimava, e che l’Organizzazione mondiale della sanità aveva riconosciuto Trieste come centro di riferimento internazionale, ci veniva detto – a denti stretti – che l’esperienza di Trieste era positiva ma irripetibile perché nata in un contesto e in un momento particolare,volendo affermare che nessun cambiamento era possibile e opportuno.
Nuovamente e ancora di più ci veniva detto quando nel 1995 siamo andati a Udine dove era rimasto un manicomio sommerso ma terribile e un servizio psichiatrico di diagnosi e cura che si poneva come il luogo della clinica e della scientificità – con le porte chiuse, la contenzione e l’elettroshock – in un territorio quasi privo di servizi che continuava a fare scomparire alcune persone in un manicomio fantasma al di fuori di ogni controllo e di ogni legittimità.
Anche il manicomio di Udine è stato superato e chiuso e i nuovi servizi con la prospettiva della promozione della salute mentale sono stati costruiti ex novo, con i primi CSM 24 ore dopo quelli triestini, abolite chiusure, contenzioni, elettroshock, dimostrando che l’esperienza di Trieste non era un’esperienza unica e irripetibile ma poteva essere declinata in tempi, con modalità e in contesti diversi, e non come mera ripetizione meccanica dell’esperienza triestina, e con l’onore del riconoscimento della medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica per la Sanità Pubblica nel 2013 per tale lavoro, non rimproverabile di arretratezza culturale e scientifica.
Le esperienze di Gorizia, di Trieste, come quelle di Perugia e di Arezzo, e poi di Udine e di altri luoghi e di altri gruppi di lavoro, sono nate attraverso una critica consapevole dei saperi della psichiatria e delle pratiche manicomiali e si sono sviluppate in un continuo rapporto con la pratica, con molte pratiche diverse in contesti diversi, in Italia e in altri paesi del mondo.
L’esperienza basagliana non è soltanto memoria e narrazione, ma ha generato e tuttora genera nuovi saperi di grande complessità che – tra molto altro e in modo estremamente riduttivo e me ne scuso per questo – quantomeno hanno permesso e permettono di conoscere e analizzare realtà istituzionali e di trasformarle affinché rispondano ai bisogni di salute delle persone reali nel mondo reale e drammaticamente contraddittorio, oppure di distruggerle. Su questo versante il lavoro non è mai concluso.
Nuovi saperi che sanno anche comprendere e accogliere ogni forma di conoscenza elaborandola e rielaborandola dentro la realtà concreta e quotidiana, ma riportandola sempre alla sofferenza della singola persona che rimane persona con la propria soggettività e titolare dei diritti previsti dalla Costituzione, protagonista della sua vita anche nell’esperienza della sofferenza in tutte le sue dimensioni, personali e sociali.
Nessuna velleità antiscientifica ma apertura critica alle conoscenze e certamente anche volontà e capacità di riesaminare criticamente la nostra storia, le nostre conoscenze, le nostre pratiche, non prive di limiti e contraddizioni, anche di errori, in un processo costante di de-istituzionalizzazione dei saperi, delle organizzazioni e delle pratiche.
Le nostre organizzazioni richiedono livelli molto complessi di competenze per poter funzionare e non è immaginabile come possa il dott. Trincas, che non conosco ma di cui ho letto il curriculum professionale, passare dal SPDC di Cagliari, già chiuso e con uso della contenzione, al CSM di Barcola, di cui è diventato responsabile, all’interno del DSM di Trieste. Sono due universi inconciliabili e incommensurabili. Nulla di personale quindi. E’ la difformità italiana.
La ministra Bindi aveva cercato superare tale difformità promuovendo lo sviluppo di Servizi di Salute Mentale organici e coerenti attraverso l’Osservatorio Permanente Salute Mentale e il 2° Progetto Obiettivo Tutela salute mentale 1998-2000, progetto a cui ho partecipato, ma con scarsi risultati per le molte opposizioni ai cambiamenti.
Nella Prima Conferenza Nazionale Salute Mentale, nel 2001, Rita Levi Montalcini , constatato che la senatrice Franca Ongaro Basaglia non era stata invitata, ha modificato sull’istante la sua lezione magistrale sottolineando la centralità rivoluzionaria dell’opera e del pensiero di Franco Basaglia e di Franca Ongaro Basaglia.
Nel 2010 il convegno “Cosa è salute mentale “ è stato seguito da 73 paesi del mondo.
Si potrebbe continuare a lungo.
La infamanti quanto gratuite accuse di inattualità e di arretratezza scientifica all’esperienza basagliana, diffamatorie nel modo, non spaventano nessuno e lasciano il tempo che trovano.
Come si è evidenziato, non sono una novità. Da 50 anni riemergono periodicamente, sempre uguali a se stesse evidentemente per l’incapacità di capirla nelle sue dimensioni concettuali e teoriche, scientifiche, e di vederla nelle dimensioni delle organizzazioni complesse e delle pratiche.
A tali accuse non si può che rispondere con l’invito a un confronto aperto, franco e sereno, sui contenuti scientifici, culturali, organizzativi, sulle pratiche e sui diritti, sul “praticamente vero “ che tanto interessava a Franco Basaglia e continua a interessare anche a noi. In qualunque momento e in qualunque luogo.
Non vogliamo che i cittadini si ritrovino con le porte chiuse, le contenzioni, la medicalizzazione e la farmacologizzazione della vita, rattrappita in un sintomo e in una diagnosi.
Questo sì sarebbe devastante e costituirebbe una pratica arretrata .
[Nella foto: prove di volo nell’aereo di Ugo Guarino. Foto di Claudio Ernè]