Margherita (il nome è di fantasia) è una donna immigrata dall’Africa. Vive in Sardegna con un figlio che cresce da sola, in un piccolo appartamento, strappando l’affitto a uno stipendio precario. Quando perde il lavoro, l’angoscia del quotidiano diventa sempre più pressante: le paure di perdere il permesso di soggiorno, di vedersi sottrarre suo figlio, di essere rimpatriata verso una famiglia che non sente più sua, diventano una presenza costante che si concretizza nelle voci minacciose che inizia a sentire nella testa. Entra in una spirale di crisi che assume l’abito doloroso della psicosi, si rinchiude in casa, non esce più, nemmeno per fare la spesa, sopraffatta dal panico che lì fuori le avrebbero sottratto tutto quello che aveva. Quando il cibo congelato inizia a scarseggiare, l’unico alimento diventano i cubetti di ghiaccio posti sulla lingua. Allertate, intervengono le forze dell’ordine. Sfondano la porta, portano il figlio in una casa famiglia, ricoverano Margherita nel reparto psichiatrico ospedaliero. Qui, conoscendone il lavoro, si decide di costruire, dopo il ricovero, un percorso di recupero nella Comunità Franca Ongaro Basaglia.
È una piccola comunità terapeutica con otto posti letto, nata nel 2016, in uno dei quartieri più belli di Cagliari vecchia, una casa accogliente, su più livelli e con uno spazio verde, posta nel pieno contesto cittadino. Inserimenti e dimissioni sono decisi dai servizi pubblici della Asl 8 di Cagliari, le persone con sofferenza abitano la comunità seguendo, con quindici operatori formati e rispettosi dei diritti di tutti, percorsi personalizzati, non solo terapeutici ma anche e soprattutto di socialità e formativi, alcuni dei quali riescono a garantire reali possibilità occupazionali. In una depandance è nata anche una delle più importanti esperienze nazionali di radio della salute mentale, Radio Onde Corte, guidata da Roberto Loddo e fatta dalle persone che vivono esperienze di sofferenza psichica.
A gestire la comunità, con un contratto sessennale, è l’Asarp 1, cooperativa sociale fondata dall’Associazione dei familiari nel 1993, che aveva partecipato al bando e vinto la gara con la proposta di aprire a Cagliari la prima Comunità terapeutica mai stata realizzata in città. Dopo averla ristrutturata e adeguata alle normative e ai bisogni delle persone ospitate, attraverso ingenti investimenti, con la Comunità terapeutica l’Asarp 1 continua a perseguire gli obiettivi del progetto pubblico di “Abitare assistito” realizzato, negli anni precedenti, sempre a Cagliari, in via Satta: garantire i diritti alla cura e alla vita indipendente delle persone con sofferenza mentale. Chi scrive l’ha visitata negli anni passati, constatando come la strutturazione, l’ubicazione e l’orientamento metodologico della comunità fossero determinanti nella concretizzazione dei principi su cui si fonda la legge 180 del 1978.
In comunità, Margherita inizia un percorso faticoso ma importante di cura e guarigione, restituisce senso a quelle voci, torna a incontrare suo figlio, inizia un percorso formativo per un futuro lavoro che non sia più precario. E con lei tutti gli altri ospiti, come Elio, che ha raccontato la sua esperienza con i servizi di salute mentale durante il trentennale dell’Unasam (abbiamo pubblicato la sua testimonianza in questo articolo), e che, a partire dal vissuto in comunità, ha ritrovato la vitalità dei suoi vent’anni, iscrivendosi all’università di psicologia e diventando un’attivista per i diritti delle persone con sofferenza psichica (sulle sue pagine social ha anche pubblicato un video molto bello per la giornata mondiale della salute mentale dal titolo “Si, il mio disturbo non mi definisce”).
Tra il 2022 e il 2023, anno in cui scade il contratto dei servizi tra Asl e Comunità terapeutica, iniziano a manifestarsi segnali inquietanti: l’associazione dei familiari viene improvvidamente sfrattata dall’Asl dalla sua sede nella cittadella della salute di Cagliari, le diverse comunicazioni inoltrate via Pec dalla cooperativa per avviare un’interlocuzione in merito al rinnovo del contratto con l’azienda sanitaria non trovano risposta, la dirigenza dell’Asl 8 di Cagliari non inoltra alcuna comunicazione circa le sue intenzioni, ma, da gennaio 2023, inizia a non pagare le prestazioni erogate, sicché gli operatori della comunità restano per mesi senza stipendio, seppure, nel frattempo, dal Servizio di Salute Mentale, continuano a inviare utenti alla comunità. A fronte dei ricorsi giudiziari, si giunge a una prima parziale erogazione dei pagamenti, ma, ancora una volta senza alcuna intermediazione, la retta viene drasticamente decurtata, mentre si lasciano inalterate le medesime tariffe erogate a centri e comunità extra-regionali. Non solo la Franca Ongaro Basaglia, ma tutte le piccole comunità terapeutiche del territorio cagliaritano iniziano a vivere una condizione di difficoltà, si accumulano nuovi ritardi nell’erogazione degli stipendi e, soprattutto, continua l’assordante silenzio sul futuro di queste esperienze. Da giugno 2023, poi, a seguito di alcune dimissioni, i servizi non mandano più persone alla comunità. Un segnale inequivocabile della volontà, poi espressa chiaramente, di porre fine a questa e ad altre esperienze di assistenza comunitaria.
Il 30 settembre di quest’anno la comunità terapeutica Franca Ongaro Basaglia è costretta a chiudere: la cooperativa è in difficoltà a fronte degli investimenti realizzati, perdono il lavoro quindici operatori, soprattutto si interrompono i progetti di vita che le persone avevano avviato. Alcune di loro vengono “deportate” in strutture lontane, altre devono tornare in un contesto che è stato parte fondante del percorso di sofferenza, altre ancora sono semplicemente costrette ad “arrangiarsi” da sé. Alcuni, come Elio, hanno la possibilità di trovare da subito una sistemazione autonoma, ma pure il giovane attivista deve ancora superare gli ostacoli dello stigma: fitta una stanza, le sue coinquiline scoprono dai suoi video che ha avuto esperienze di salute mentale, chiamano il proprietario dicendo di avere paura a dividere la casa con Elio a cui, di conseguenza, non viene fittata la stanza (lui ha poi fortunatamente trovato una diversa soluzione). Per altri, come Margherita, l’unica possibilità a oggi offerta dal Comune è un posto in dormitorio.
Nella stessa situazione della comunità Franca Ongaro Basaglia potrebbero trovarsi, il prossimo anno, molte altre piccole comunità terapeutiche sarde cui sta per scadere la convenzione con l’Asl senza che la stessa abbia indicato la volontà di rinnovarle.
Perché dunque si interrompono queste esperienze? Quale scelta di politica sanitaria e di salute mentale concretizzano? Un indizio potrebbe venire dalla inaugurazione, lunedì 4 dicembre, a Sestu, in provincia di Cagliari, in località More Corraxe, della più grande clinica psichiatrica della Sardegna, 72 posti, di cui 32 residenziali, di proprietà della società Paracelso Riabilitazione. Secondo il comunicato stampa ripreso pedissequamente dalla stampa locale la struttura “risponde a esigenze e sollecitazioni che arrivano da ogni parte dell’Isola in un territorio nel quale c’è un estremo bisogno di potenziare l’assistenza sanitaria per i tanti pazienti che soffrono di patologie mentali […]. Una struttura che si pone una vera e propria missione sociale: migliorare la qualità della vita, sostenere una vita di qualità e di significato”.
In realtà, si fa una certa fatica a immaginare come questa missione possa compiersi in piena zona industriale, in un’area lontana da centri abitati e vita sociale, secondo una prassi che privilegia, secondo la logica del profitto, il concentramento di un gran numero di pazienti alla relazione tra un piccolo numero di persone.
D’altro canto, la Sardegna si pone in scia con le scelte compiute anche in altre regioni, da nord al sud, con il caso emblematico della Campania dove è stato addirittura l’ente pubblico, su spinta reazionaria di alcuni allievi del povero Sergio Piro, a inaugurare una megastruttura da quaranta posti nella zona industriale di Arzano (ne parlammo in questo articolo). Una particolare somiglianza tra il caso sardo e quello campano è data dalla vicinanza alle elezioni regionali, con la presenza all’inaugurazione dei notabili che rivendicano la costruzione della nuova struttura.
Ma davvero persone con sofferenza psichica e familiari hanno bisogno di nuove e vuote scatole clinicizzate dove contenere la malattia mentale? Netta la posizione assunta dalla presidente dell’Asarp e presidente nazionale dell’Unasam, Gisella Trincas, nel corso dell’incontro “Salute mentale, diseguaglianze e carcere” svoltosi nella sala consiliare del comune di Assemini giovedì 7 dicembre: «Serve prendersi cura delle persone e quindi, oltre a un centro di salute mentale aperto sulle 24 ore e con operatori culturalmente orientati verso la ripresa e la guarigione possibili, servono anche i luoghi della ripresa alternativi alla propria casa quando la convivenza è difficile. E quali devono essere i luoghi altri della ripresa? Non certamente il contenitore che è stato inaugurato nella zona industriale di Sestu, applaudito dalla politica regionale, visto come una grande opportunità per le famiglie. Noi non li vogliamo quei luoghi, noi non abbiamo chiesto quello. Noi abbiamo bisogno di piccole comunità terapeutiche nei luoghi di vita delle persone, nei quartieri, non isolati nelle zone industriali. Noi abbiamo bisogno di luoghi dell’abitare come viene imposto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, i luoghi della vita indipendente, le piccole case dove le persone possono anche scegliere di abitare insieme come buoni compagni, due persone insieme, tre persone insieme, supportate dai servizi, dagli operatori se serve e quando serve. Servono i luoghi della normalità della vita, non i luoghi della segregazione, non i luoghi dell’allontanamento dalla vita normale, da una qualità della vita accettabile».
Come affermava Basaglia bisogna portare il sociale nella medicina, perché è proprio lì, come ci insegna la storia di Margherita, che nasce la sofferenza.