“È in questi padiglioni che noi infermieri abbiamo iniziato a prendere coscienza del manicomio e a ribellarci alle cose che succedevano qui dentro”. Questo mi ripete con forza Franco, un infermiere in pensione che ora si occupa di volontariato.“Ci accusano di non voler andare via dal manicomio, proprio noi che abbiamo fatto le battaglie perché questo posto venisse chiuso”. Ci siamo trovati sotto la palazzina H dell’ex ospedale psichiatrico di Sassari, la mattina dello scorso 25 novembre insieme a un centinaio di persone che protestavano per il trasloco, imposto dalla ASL, della direzione del Dipartimento di Salute Mentale. Ci sono associazioni di familiari e di utenti, operatori del settore, cittadini. Si protesta anche per la situazione dei servizi di salute mentale, ma è stato il trasferimento di sede a scatenare un dibattito pubblico accompagnato da articoli sulla stampa locale e da un susseguirsi di botta e risposta tra ASL e associazioni che continua fino ad oggi e che è sfociata in una mozione, presentata dai capigruppo della maggioranza in consiglio comunale, che verrà discussa a gennaio. Perché succede tutto questo? Recentemente ristrutturata, la palazzina H non era solamente la sede del Dipartimento di Salute Mentale. Qui si svolgevano alcune attività riabilitative, qui c’è la sede dell’archivio storico e del museo dell’archivio dell’ex ospedale psichiatrico, realizzati negli anni scorsi attraverso il progetto Carte da legare1 promosso negli anni novanta dal Ministero dei Beni Culturali “per salvaguardare il patrimonio archivistico degli ex ospedali psichiatrici dopo la loro definitiva chiusura e per valorizzarne il contenuto culturale sotto il profilo medico-psichiatrico e sociale”. All’origine della protesta c’è dunque anche il timore che venga colpita la memoria storica della città, che di quello spazio non è mai riuscita ad appropriarsi. Questo, dove è avvenuto, ha visto la partecipazione attiva dei servizi di salute mentale che sono riusciti ad intervenire in quei luoghi trasformandoli da luoghi di esclusione sociale a spazi pubblici di discussione e della vita quotidiana. Le persone con disturbo mentale, i familiari ma anche i medici, gli infermieri e gli educatori che protestavano a Sassari sono coscienti di questo. Alcuni di loro hanno saputo della recente vittoria de premio ICOM del museo della mente dell’ex ospedale Santa Maria della Pietà di Roma2. Altri ancora sanno che dentro l’ex ospedale Paolo Pini di Milano la cooperativa Olinda, formata da persone con disturbo mentale, organizza ogni anno un festival che ospita circa 25 mila persone3. Tutti conoscono il parco dell’ex manicomio di Trieste, perché negli anni passati ci sono stati, nel quadro di una collaborazione con il centro dell’OMS per lo sviluppo dei servizi di salute mentale, voluta dalla giunta Soru. In altre parole, sono in molti ad essere convinti che a Sassari occorra fare un’analoga operazione culturale e di promozione della salute. Qualcuno pone anche il problema delle tre comunità terapeutiche che ancora occupano i padiglioni dell’ex manicomio e purtroppo gli somigliano molto. I motivi di malcontento in Sardegna non sono solo questi. Negli anni della giunta regionale di centrosinistra la salute mentale è stata considerata tra le priorità di un piano sanitario che mancava ormai da vent’anni. L’assessorato alla sanità guidato da Nerina Dirindin aveva previsto un rafforzamento dell’operatività dei centri di salute mentale, il rinnovamento delle strutture, una programmazione che potesse andare verso un maggior rispetto del diritto alla salute delle persone con disturbo mentale. Tutto questo con un dispiegamento di risorse finanziarie senza precedenti. Ma se i familiari avevano accolto con entusiasmo questo progetto, le resistenze, soprattutto tra i medici, sono state molte. Si accusava l’assessorato di aver adottato modalità poco democratiche nelle scelte, si contestava la collaborazione con il centro collaboratore OMS di Trieste, si vagheggiava dei risultati ottenuti dalla psichiatria sarda, che non aveva bisogno di confrontarsi con altre esperienze. Si sosteneva che il piano sanitario sulla psichiatria avesse un contenuto ideologico o “sociologico”, come disse l’assessore alla Sanità, Antonello Liori dopo le elezioni regionali del 2009. Tagli delle risorse, diminuzione del personale, riduzioni nell’orario dei servizi, sono il risultato dell’assenza di un progetto, di una programmazione razionale. Utenti, famiglie e operatori protestano perché ora stanno pagando insieme le conseguenze.
(foto di Antonio Sini)
(da Il Manifesto sardo – blog)