(foto di Berengo Gardin)
(foto di Berengo Gardin)

Di Giorgio Bignami.

Nell’attuale tira e molla sul destino dei reclusi in OPG – quali e quanti in REMS o viceversa in collocazioni più aperte, con idonei progetti terapeutici personalizzati sostenuti da adeguate risorse per i DSM – può aiutare la posizione assunta dal nuovo direttore del Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria (Dap)  Santi Consolo. Infatti  in un’intervista rilasciata ad Adnkronos il 6 dicembre Consolo ha dichiarato: “Stenta a decollare la legge Marino per quel che riguarda l’abolizione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Su questo versante – assicura il nuovo capo del Dap – farò delle verifiche per capire come è possibile attuare in tempi ragionevoli il nuovo assetto che prevede la cura e l’assistenza alle persone con disabilità mentali. L’obiettivo – rimarca – è avere la collaborazione degli enti locali e delle regioni, chiudendo gli Opg” (l’intervista è ripresa in
http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/giustizia-santi-consolo-capo-dap-la-mia-sfida-sara-di-cambiare-le-strutture-del-carcere ).
Il richiamo all’esigenza di una fattiva collaborazione di enti locali e regioni è particolarmente significativo ed equivale di fatto a una robusta tirata d’orecchie; lo mostrano i dati discussi al seminario tenutosi al Senato l’11 novembre “Salute mentale, OPG e diritti umani”. A quella data i decreti regionali ad hoc ancora prevedevano un totale di ben 990 post RESM, un chiaro segnale della  riluttanza di molte Regioni ad adottare soluzioni alternative secondo quanto previsto in legge. Non vorremmo fare un processo alle intenzioni, ma sappiamo la differenza che passa – agli occhi dei vari interessati – tra la istituzione di un gran numero di posti letto, particolarmente costosi per le loro caratteristiche logistiche e di gestione (vigilanza esterna compresa) e le soluzioni alternative.  E proprio da  questo punto di vista suona come significativo avvertimento l’inchiesta sul giro d’affari raffinatamente diversificato della cupola romana.
Agli ostacoli creati dagli interessi in gioco si aggiungono quelli di sempre, che derivano sia dagli orientamenti tuttora prevalenti in buona parte della nostra psichiatria, sia da quel  “populismo penale” dei media e della pubblica opinione che investe anche la questione degli OPG, nella quale si coniugano la stigma verso il folle e quello verso il reo. Un esempio sconcertante di tali atteggiamenti viene da un virgolettato proprio del sindaco Marino,  in parte ripreso in uno dei tanti titoloni sull’inchiesta romana: “Pignatone  metta in prigione i colpevoli e poi butti la chiave” (Corriere della sera Roma,  8 dicembre, p. 3). Insomma proprio l’autore della legge sulla chiusura degli OPG fa carta straccia  della Costituzione repubblicana che difende i diritti umani, sostiene la causa delle rieducazione e riabilitazione del reo, quindi di fatto vieta di “buttare la chiave” anche dopo una condanna per i più gravi delitti. Del resto lo “stile” mediatico-clamoroso dell’inchiesta è stato bersaglio di una dura critica da parte della Giunta dell’Unione delle Camere penali, che denuncia lo sfrenato populismo penale  nel caso di Mafia Capitale: cioè “dimostra in modo plastico come l’immagine dell’indagine, la sua rappresentazione sociale operata attraverso l’esibizione della sua funzionalità mediatica, abbia oramai preso l’avvento sostituendosi del tutto all’indagine reale, a quell’umile, discreto e silenzioso lavorio di raccolta degli elementi di prova, così come una visone seria e laica del processo vorrebbe” ( www.camerepenali.it , ripreso in  http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/giustizia-la-qmafia-capitaleq-e-il-populismo-penale )
In questo clima occorrerà quindi una gran fatica per risparmiare ai reclusi in OPG la reclusione in RESM, per evitare che anche per loro si “butti la chiave” a furore di popolo e dietro la spinta degli “esperti”: in RESM, certo,  un pò meno scandalosamente degradate degli OPG filmati dalla Commissione Marino, ma sempre fuori dal giro delle persone “per bene” e “sane di mente”, che hanno il diritto e il dovere di difendersi dai “socialmente pericolosi”.

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