Al VII Forum Nazionale di Roma, Fabrizio Gifuni da voce al Dialogo di Marco Cavallo e il Drago con gli internati di Montelupo
(NdR: quale voce migliore, se non quella di Franco Basaglia, per far parlare Marco Cavallo? Sentire per credere! Emozionante! Grazie Fabrizio!)
Il Testo del Dialogo
di Peppe Dell’Acqua, Angela Pianca, Luciano Comida
(Montelupo Fiorentino, 16/17 maggio 2003)
Marco Cavallo (rivolgendosi all’assemblea) – Era l’ultima domenica di febbraio, limpida e fredda, spazzata dalla bora, quando tentai di uscire dal manicomio. Ormai non potevo più starci, rinchiuso là, ero diventato troppo grande. La mia pancia era stata riempita dai desideri di tutti i matti di San Giovanni. Dall’orologio dorato di Tinta al porto con le navi della giovinezza di Ondina, dalle tante Marie al fiasco de vin, dalla casa in affitto alle scarpe nuove, al volo, al viaggio, alla corsa, all’amico. Dalla partita de balòn alla libertà : ero troppo appesantito da quel carico di bisogni e desideri che mi portavo dentro. Allora io, fremendo e nitrendo, a testa bassa, iniziai una corsa furibonda, come impazzito, verso la porta principale e, senza più esitazione, oramai a gran carriera, aggredii quel pezzo di azzurro e di verde oltre la porta. Saltarono gli infissi, si infransero i vetri, caddero calcinacci e mattoni. Io arrestai la mia corsa nel prato, tra gli alberi, ferito e ansimante, confuso col blu del cielo. Gli applausi, gli evviva, i pianti, la gioia guarirono in un baleno le mie ferite.
Il muro, il primo muro era saltato.
E subito la libertà: i muri del manicomio frantumati, la fila infinita di matti che dietro a me escono dalla breccia e si perdono per le vie della città, con Boris che ci accompagna suonando la fisarmonica.
Quante ne ho viste da allora…
( quasi riflettendo come da solo)
Ci aveva fatti così felici, la legge 180.
E invece…
Non è stato mica tutto facile. Quante ne abbiamo passate…
Io, fin da quando sono nato, mi ricordo del caso Savarin. Era uno che aveva…che aveva fatto…va beh, è uno che aveva fatto quello che aveva fatto. Uno che poi, dopo aver fatto quello che aveva fatto, era finito in manicomio criminale, nell’ospedale psichiatrico giudiziario, l’O.P.G.
E già in quegli anni…parlo del ‘73, del ‘74…cercavamo di far qualcosa per tirarli fuori di là. Ma allora…cosa si poteva fare allora ? Andarli a trovare, portargli un pacchetto di sigarette, e poco altro.
Eh sì, quante ne abbiamo passate.
Cosa ho visto, io. Che postacci brutti. E quanta gente rinchiusa che fremeva di vita per uscire fuori.
E adesso che li ho visti praticamente tutti…Perché di manicomi giudiziari non c’è mica solo Montelupo, eh !
(di nuovo parla all’assemblea)In Italia ce ne sono sei di manicomi giudiziari. E più di mille e quattrocento persone ci stanno chiuse dentro.
Poche ? Tante ? Mah…
E allora io penso…, e voi pensate…, e tutti pensano…. E tutti dicono… E anche le buone signore, i distratti onorevoli, i giornalisti sapientoni, gli psichiatrici scienziati, i tuttologisti… che propongono le controriforme della dicono :
Ma che cavolo ci fanno ancora in piedi i manicomi criminali ? Bisogna chiuderli tutti quanti. E subito.
Ma…ma voi…voi siete qui ! (rivolgendosi all’assemblea come fosse un gruppo di ragazzi internati di Montelupo )
Ma…ma voi…voi siete qui ! (rivolgendosi a un gruppo di ragazzi internati )
E che ci fate ?
Tu per esempio…perché diavolo stai qua ?
Sandro : Il dolore di quello che ricordo è tanto grande che non riesco a dirlo neanche a te, Marco Cavallo, neanche a te che pure sei amico mio.
Marco Cavallo – E tu ? Tu ce la fai a raccontarmelo ?
Charlie : Ah, sapessi che fesso che sono stato, io ! Ho combinato ‘na fesseria che se potessi tornare indietro non la rifaccio più manco morto.
Marco Cavallo – E tu laggiù ? Tu che te ne stai in disparte ?
Pasquale : E’ tante luntane, chell’ ch’ aggio fatte ca’ nu m’arricorde cchiù.
Marco Cavallo – E tu ? Tu che ti mangiucchi le unghie tutto il tempo ?
Claudia : Io ho fatto una cazzata tale che ancora mi ci mangio le mani.
Marco Cavallo – E allora…Io penso che…
Francesca : E a me ? A me non me lo domandi ?
Marco Cavallo – Scusami, sai. Ma mi stavo infervorando.
Francesca : Io pensavo di essere un mito quando facevo quello che facevo. Un vero mito. E invece…e invece eccomi qua.
Pilade : E io ? Io ci ho messo più di un anno per riattaccare le mani che…le mie mani alle mie braccia. Perché non le riconoscevo più, queste mani. Non volevo che mi appartenessero più, dopo quello che avevano fatto.
Marco Cavallo – E tu che alzi la mano ?
Dario : Io pensavo di essere un impunito. Prima cantavo sui vaporetti per Ischia. E mi andava tutto bene. Poi ho cominciato a fare assegni a vuoto e pensavo che si poteva fare tutto. E comprare una televisione e costruire un palazzo e fare Zagarolo Due e comprare tutta l’ Italia. Ma poi ho visto che qui in Italia solo pochi…anzi, solo pochissimi…anzi, forse solo uno…solo uno può fare tutto quello che gli pare.
E invece io sono qua dentro.
Marco Cavallo – Care amiche e cari amici di Montelupo Fiorentino, caro Drago ho accettato questo vostro invito perché so che voi qui state facendo quello che noi abbiamo fatto a Trieste.
Caro Drago, io penso, e lo pensano tutti i miei amici, e anche esimi dottori ed illustri scienziati lo pensano e anche i ricercatori e gli studiosi lo pensano e anche i giudici e i giuristi lo pensano e anche i poeti e i teatranti e gli scrittori e gli artisti lo pensano e anche voi lo pensate:
il manicomio criminale va soppresso, altro che superato. Buttato giù, sfondato, disfatto, dismesso, distrutto, aperto, sventrato. Cioè chiuso. Insomma chiuso. Per sempre.
Drago : Ma come si fa ?
Marco Cavallo – Voi lo sapete molto bene…quello che sono i manicomi giudiziari.
Luoghi orrendi, sono. Istituzioni che vorrebbero curare la malattia e contenere la pericolosità e la malvagità degli uomini. Ma che invece, come tutte le istituzioni totali, tutte ma proprio tutte, la malattia la riproducono e la violenza e la malvagità la moltiplicano.
Perché invece di essere posti di cura, sono fabbriche di malattia.
Perché in manicomio matto sei e matto resti. In carcere criminale sei e criminale resti.
I manicomi giudiziari riproducono il peggio del peggio del manicomio e il peggio del peggio della galera.
A Trieste, proprio perchè abbiamo rotto i muri, abbiamo scoperto che dietro quei muri c’erano tanti uomini e donne. E che si può ascoltarli, questi uomini e queste donne. E abbiamo scoperto che perfino le medicine – gli psicofarmaci! (con un po’ di enfasi)- fuori dal recinto, possono essere buone. E che le parole e gli sguardi e le mani permettono di avvicinare le persone. Per sentire il loro male. Per sperare di guarire, di stare bene. O almeno per sperare di stare meglio.
Invece, dietro le mura, tante storie tristi o disperate si confondono. E le persone, le loro storie le perdono.
Ma come si può pensare di vivere senza la propria storia ? Io la mia ve la sto raccontando, se no cosa potreste capire, di me.
Insomma, non c’è verso. Bisogna aprirli, cioè chiuderli. Punto e basta.
Dario : Ma come, Marco Cavallo ?! Cosa diranno fuori ? Che si chiude il manicomio giudiziario e poi…E poi ci lasciano liberi tutti?
Charlie : E che quelli che hanno commesso reati orrendi li mandiamo fuori – diranno.
Sandro : E chi protegge la società ? – diranno.
Francesca : E chi tutelerà i nostri figli da questi pericolosi matti che ne hanno combinate tante? – diranno.
Marco Cavallo – Capisco queste preoccupazioni ma voglio dire una cosa che ho imparato in questi anni. Da Basaglia in persona. Altro che mostri gente impaurite e strade deserte ! E’ dietro le mura che nascono i mostri. Altro che cavalli azzurri!
Francesca : E cosa diranno ? Che questi pericolosi matti che ne hanno combinate tante staranno fuori come quei bravi cittadini che hanno sempre osservato la legge ? Ma ci pensi ?
Marco Cavallo – ( serio e infervorato, ora è come un maestro)
Piano, piano.
Mica è facile affrontare questo problema.
E’ spinoso e contraddittorio, direbbe un serio professore. Contraddittorio! Qua la faccenda si fa davvero bigolosa, come diciamo a Trieste (pausa come per organizzare le idee).
Io sono vecchio. Mi permettete di fare un po’…ma poco poco…di storia ?
Tanti anni fa, quando sono nati i manicomi criminali, la psichiatria dei tribunali dava tutta la colpa e la responsabilità dei crimini alla malattia mentale.
Come se la persona non esistesse nemmeno, come se al posto della persona avesse agito solo la sua malattia, la sua follia. Come se al posto di Francesca, di Charlie, di Dario avesse agito la malattia.
Ma io vi chiedo : il pittore Van Gogh, quando dipingeva, era lui che dipingeva o al suo posto dipingeva la schizofrenia? Vogliamo togliere il nome di Van Gogh dai cataloghi delle mostre di Amsterdam e di Firenze per metterci cosa al suo posto ? La malattia ?
E gli scrittori Proust e Saba e Pavese e Philip Dick e Dino Campana quanti altri ancora non ve li sto a elencare…, ma sono tanti e tanti…quando scrivevano, erano loro a scrivere oppure la loro depressione o la loro schizofrenia ? E Antonin Artoud, quando scriveva e recitava, era lui che recitava oppure era la sua follia ?
E Schumann, quando componeva, era lui tutto intero, oppure la sua musica era frutto della sua mania una volta e un’altra della sua depressione ? E più della sua mania o più frutto della sua depressione ? E allora cancelliamo il suo nome dagli spartiti ? Per metterci cosa, al suo posto ? Psicosi maniaco depressiva ? Disturbo bipolare ? Depressione endogena ?
E uno che si mette a picconare e a togliersi i sassolini dalle scarpe…è lui che lo fa oppure…oppure che ?
E santa Teresa D’Avila ? E santa Caterina da Siena ?
E Alda Merini? Che tanto ho amo.. anche lei mi vuole bene, ha scritto cose belle proprio per me… La voce poetica più alta del novecento – mi hanno detto. È lei o cosa?
Voi lo sapete meglio di me. In manicomio, in manicomio giudiziario, ti dicono che tu non sei più tu !
Primo Levi…lo conoscete, voi ?…è uno che è stato in campo di sterminio nazista ad Auschwitz, ha scritto: “Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente a chi ha perso tutto, di perdere anche se stesso”
Beh, Primo Levi scriveva dei campi di sterminio ma è come se parlasse anche dei manicomi. Tu non sei più tu, Pasquale. Né tu, Francesca. Né tu, Dario. E nemmeno tu, Pilade. E neanche tu, Charlie. Voi non siete più voi.
Perché nel manicomio non ti hanno solo tolto tutto, ma proprio tutto tutto tutto, ma anche quell’azione per quanto tragica per cui tu sei finito qua dentro. Anche quel gesto te l’hanno portato via, nemmeno quell’azione ti appartiene più. Qua dentro, qua in questo manicomio, non c’è più la tua vita. Non la trovi più.
E anche se, come stiamo facendo oggi, si aprono le porte per un giorno, tu continui a non esistere.
Pasquale : Ma io, quante (quando) agge (ho) fatte (fatto) chelle agge fatte (quello che ho fatto)…
Marco Cavallo – Cos’hai fatto, Pasquale ?
Pasquale : E’ meglio che nun tt’o ddico. Ma quanne agge fatte…chelle agge fatte…l’agge fatte io o è state a’ malatia mia ?
Francesca : E io allora, quando ho fatto quello che ho fatto…
Marco Cavallo – Cos’hai fatto, Francesca ?
Francesca : Meglio che non te lo dico. Ma ero io o era la mia malattia a farlo ?
Marco Cavallo – E che malattia avevi?
Francesca : Mal di fegato !
Charlie : Marco Cavallo ! Marco Cavallo !
Marco Cavallo -Dimmi, Charlie.
Charlie : Posso rispondere io ?
Marco Cavallo – Certo che sì.
Charlie : Beh, secondo me un uomo, se è un uomo, è responsabile di quello che fa…
Claudia : Anche se è una donna ?
Marco Cavallo – Beh, sì. Diciamo una persona.
Drago di Montelupo : Allora, ogni persona è responsabile di quello che fa, anche se ha mal di fegato. Anche se la pungono fitte tremende che le fanno vedere nero!
Marco Cavallo – Sono d’accordo con te, Drago di Montelupo.
La malattia non siete voi. Anzi : non siamo…perché mi ammalo anche io…non siamo noi. La malattia, nessuna malattia, può possedere tutta la persona. Nessuna persona diventa solo la propria malattia.
Nessuna malattia può rubarti la vita. Nessuna malattia può togliere il significato delle tue parole. E per di più nessuna malattia è sempre la stessa malattia.
Io per esempio… ( un po’ giocoso) Io ieri sera, con l’idea di questo viaggio lungo e scomodo da Trieste fin qua…Ero depresso, ero nervoso. Quasi quasi prendevo a calci l’autista che mi spingeva sul camion. Io ieri sera mica ci volevo venire, a Montelupo Fiorentino.
E invece adesso sono contento di essere qua con voi.
Come sarò domani ?
Insomma non si può dire: depresso e nervoso ieri sera, depresso e nervoso per sempre.
( di nuovo serio) Così come non si può dire : malato per un momento, malato per sempre.
E nemmeno si può dire : matto per un momento, matto per sempre.
Insomma chiunque di noi, anche se malato, è una persona. E se è una persona vuol dire che ha una responsabilità per tutto quello che fa: un capolavoro artistico, una spaghettata, una malagrazia, un gesto gentile. Ma anche un crimine, ancorché efferato e di allarme sociale.
( qui come imbarazzato per la citazione che sta facendo si lascia andare aun po’ di dialetto) Un altro che gò sentì, neanche questo ho conosciuto di persona, Michel Foucault, filosofo, psicologo e storico francese…mi pare che gà scritto tanti ma tanti libri. Beh…in uno di questi libri sta scritto : “Lo stato deve occuparsi dei cittadini per quello che fanno e non per quello che sono“
Così ogni imputato anche se schizofrenico, psicopatico, maniaco, matto, pazzo ha come tutti il diritto di essere giudicato da un tribunale e, in caso di condanna, di espiare la pena.
Drago : Ma come Marco Cavallo? E la malattia ? E il delirio ? Le allucinazioni ? Non c’entrano niente ?
Marco Cavallo – Bella domanda, Drago di Montelupo, davvero una bella domanda. (pensieroso)
E’ difficile rispondere.
E’ doloroso.
Certo, non tutti né sempre capiscono e vogliono. Il delirio non è come l’acqua calda. E l’allucinazione non è come un mal di pancia…
Mi sono spiegato ?
Tutti : No !
Marco Cavallo – Scusate, avete ragione. Mi sono espresso male. Mi sono proprio incavallato. Adesso ci riprovo.
A tutti noi capita che qualche volta siamo sopraffatti dalla rabbia, dal dolore, dalla necessità e non riusciamo a tenere a freno quelle spine che ci trafiggono, quel demone che soffia fuoco e sputa ghiaccio dentro di noi, quelle sirene che ci suggestionano e ci invitano.
Altre volte invece…beh, altre volte ce la facciamo, a essere padroni.
Ma mai e poi mai succede che, quando alziamo le mani contro qualcuno, pensiamo che questo sia bello, che questo gesto, questo pugno o questo schiaffo sia un bene.
Cazzo se lo sappiamo, che gli faremo del male e che vogliamo fargli del male !
Insomma se per alcuni imputati si considerano tutte quelle circostanze che.. e mille testimoni che.. e trecento prove a discarico che.. e seimila elementi probatori che… Se alcuni imputati possono difendersi per anni e anni, per esempio tre anni e ottantun giorni, con cento o duecento avvocati pagati mille euro all’ora…e ricusare i giudici, per esempio otto volte, e poi ricorrere in Corte d’ Appello e in Corte di Cassazione e in Corte di Parlamento e in Corte di Porta a Porta e non una nè due nè tre nè quattro ma cento, mille volte…
Voi invece siete stati giudicati una volta per tutte in soli dieci minuti.
Come si può dire con sicurezza assoluta che uno di voi ha :
commesso un reato apparentemente incongruo
dunque è stato sospettato di essere affetto da un disturbo mentale
dunque il giudice ha disposto la perizia psichiatrica
dunque i periti hanno fatto la perizia psichiatrica
dunque è stata riscontrata l’incapacità di intendere e di volere
dunque siete stati riconosciuti non imputabili
dunque siete stati prosciolti
dunque siete stati riconosciuti socialmente pericolosi
dunque siete finiti in manicomio criminale.
Come si fa a dire una cosa del genere ?
Come si fa a togliervi la vostra vita e le vostre azioni ?
E allora quel giudizio di incapace di intendere e di volere può forse, e sottolineo forse, racchiudere quel momento, quel gesto, quell’azione. Ma mai e poi mai può crocifiggere una persona intera una volta per tutte.
Drago di Montelupo : Allora tu, Marco Cavallo, dici che il matto è, di norma, capace di intendere e di volere e che ha diritto a stare in giudizio in tribunale ?
Marco Cavallo – Beh, finalmente sono riuscito a spiegarmi.
Certo che sì. E ha diritto di stare in giudizio con tutta la sua responsabilità individuale. Ma anche con la possibilità di poter illuminare, di conoscere e di far conoscere ciò che gli è accaduto intorno : il contesto, la storia, le violenze, gli abbandoni, la sofferenza, i bisogni. Ricercare il significato e le ragioni dei suoi comportamenti. Anche quando sono così estremi e all’apparenza oscuri.
Sapessi… io…Quante volte m’hanno fatto incazzare questi dottori dei manicomi che…
Sapessi io…Cos’ho visto io in giro per l’Italia e per l’Europa ! Li avrei presi a zoccolate in testa, quei dottori, li avrei bastonati e…
E avrei commesso un reato ? Sì, certo.
E se fossi stato giudicato colpevole, sarei stato condannato.
Drago di Montelupo : Ma allora, Marco Cavallo, ci stai dicendo che tutti, anche se sono malati, devono espiare la pena ? E che, anche se stanno male, devono andare in galera? Ma come possono andarci se sono malati ? E se non vanno in prigione, dove vanno ?
Marco Cavallo – Tu lo sai bene, perché lo hai chiesto tante volte a quelli che stanno chiusi dentro i manicomi giudiziari. E tutti ti hanno risposto che è meglio la galera che il manicomio.
Ti è sempre sembrato strano ma…vedi…è proprio così.
Intanto, in carcere bene o male hai dei diritti, sai perché ci sei entrato, sai quanto tempo ci resterai, hai diritto a visite e a telefonate.
In manicomio giudiziario no : non hai più diritti, non sai perché ci sei entrato, né quanto tempo ci resterai. Sei alla mercè della psichiatria, dell’onnipotenza dello psichiatra e della sua immensa bontà e infinita misericordia. E della pericolosità sociale, che nessuno sa cosa sia..
Il tuo tempo è sospeso all’infinito.
Invece tutte le persone vogliono che gli venga riconosciuto il diritto a espiare, al loro tempo, alla loro vita. Il diritto di essere persone.
Drago di Montelupo : Parole sante, Marco Cavallo, parole sante. Ma…ma in concreto come si può fare?
Marco Cavallo – Adesso vi racconto cosa facciamo noi, a Trieste.
Intanto diciamo che ogni cittadino detenuto ha diritto alla cura, alla continuità terapeutica : se era curato prima di entrare in prigione, deve continuare ad esserlo anche dopo. E da quegli stessi centri di salute mentale che lo curavano prima.
Quando funzionano ventiquattro ore su ventiquattro, i centri possono essere un luogo di cura per quelle persone che stanno male e sono in attesa del processo. Intanto gli operatori possono concordare col magistrato progetti per permettere a chi sta male con la testa di andare a vivere ed essere curati altrove. Agli arresti domiciliari: nel centro stesso, in strutture residenziali oppure anche a casa propria.
Niente di più e niente di meno delle misure alternative alla detenzione che valgono per tutti. Per tutti i cittadini, anche per quelli malati e anche per quelli matti. E così anche le visite, le cure psichiatriche il lavoro, i corsi di formazione, i laboratori artistici – al Coroneo che il carcere di Trieste facciamo bellissimi laboratori di teatro, anche … Insomma, tutti quei modi per rendere non del tutto inutile e disumana la detenzione. Per mantenere la persona vicino a casa propria, vicino a quelli che la curano, vicino alla sua famiglia, ai suoi amici. Per non farla schizzar via come una biglia imbizzarrita che si perde nel nulla.
Per garantire alle persone tutti i diritti. Tutti. Anche quello di essere condannati, se colpevoli, di avere il diritto di scontare la propria pena, di avere il diritto di pagare il proprio debito.
Proviamo a farlo.
E la fatica della discussione che stiamo facendo anche oggi non sarà stata inutile.
E tu, Drago di Montelupo, non mi avrai invitato per niente.
Con quello che sappiamo adesso…
La malattia mentale non è una malattia del cervello. E il malato mentale non è per ciò stesso pericoloso e, anche se pazzo, è soprattutto un cittadino. Non un oggetto. Da rinchiudere, legare, torturare con l’elettroshock e intossicare con farmaci in dosi da cavallo. Appunto…
Adesso ci sono medicine umane, terapie buone e il lavoro. Adesso si possono ascoltare le persone e le loro storie. Adesso dalla malattia mentale si può guarire e i gesti più oscuri e misteriosi possiamo raccontarli, illuminarli e comprenderli.
Oggi non possiamo più ignorarlo : tutto ciò che è umano ci appartiene.
E così possiamo riuscire a liberarci della necessità…ma chi l’ha detto poi, che è una necessità ?…del manicomio giudiziario.
Io c’ero, in quel lontano mattino di febbraio del 1973. Io c’ero quando contro i muri del manicomio di Trieste ululava il vento di bora e dentro si sentivano i lamenti e le urla dei ricoverati.
Cazzo, se c’ero ! Io c’ero quando i manicomi erano ancora in piedi. E oggi non ci sono più.
E tra qualche anno mi piacerebbe tanto poter dire : pensate, io c’ero quel giorno a Montelupo – e a Napoli e ad Aversa e a Castiglione e a Reggio Emilia e a Barcellona quando i manicomi giudiziari erano ancora in piedi.
E sembrerà una favola perché i manicomi giudiziari non esisteranno più e anche il significato di quelle parole si sarà perduto e quella frase suonerà strana, ridicola e senza senso e tutti rideranno di me .