L’agonia della psichiatria di Eugenio Borgna
Feltrinelli, 2022

Recensione di Loredana Di Adamo

Questo libro vuole essere un ultimo orizzonte di senso per la salvaguardia dell’umano che è in noi e nella follia”.

In questo libro Eugenio Borgna denuncia lo stato attuale in cui versa la psichiatria, mettendo in luce le profonde lacerazioni che oggi la rendono una disciplina arida e senza quasi più speranza. Già dal titolo, l’autore sottolinea lo stato di malessere che rende la psichiatria non più capace di prendersi cura del nostro destino, perché sempre più relegata a un sapere categorizzante; tuttavia, Borgna cerca di rilanciare una speranza per il futuro della cura, e lo fa andando proprio “sulla scia di quella che è stata la grande rivoluzione di Franco Basaglia”. 

Borgna ripercorre brevemente la storia della psichiatria, attraverso la sua esperienza nel manicomio di Novara, ricordando di quando la psichiatria era una scienza positiva e organicistica, a quando – con la psichiatria fenomenologica nei primi anni del ‘900, ha iniziato a essere una scienza più umana. La psichiatria positivista è quella che ha costruito i manicomi dove rinchiudere la follia, poiché considerava la “malattia mentale” come qualcosa di incurabile. La psichiatria successiva, invece, ha permesso di considerare la “follia” come una dimensione di senso dell’esperienza vissuta, e ha restituito importanza alla relazione tra chi curava e chi era curato, e soprattutto dignità alla sofferenza. Premesse fondamentali che hanno consentito a Basaglia di attuare quel cambiamento culturale nel modo di fare psichiatria che ha avuto compimento nel 1978 con la legge 180, la “straordinaria legge di riforma”.

In Italia non sempre, e non ovunque, afferma Borgna, si è riuscito a dare attuazione alla legge 180; purtroppo la politica non dato seguito all’istituzione di servizi territoriali e di risorse necessarie, e ancora oggi l’assenza di servizi di prossimità, di personale e di progetti terapeutici adeguati sta segnando un ritorno indietro preoccupante. Borgna denuncia  i servizi ospedalieri di psichiatria che lui stesso ha visitato “nei quali le porte sono chiuse, le finestre hanno le grate, e nei quali la dilagante somministrazione farmacologica non si accompagna a contesti relazionali”. E ancora Borgna si domanda come sia possibile non ribellarsi a queste modalità di agire, a contenzioni che “contenzioni continuano a essere realizzate, anche per giorni interi, nell’indifferenza o almeno nella rassegnazione di medici ed infermieri, anche in ospedale di grandi città”.  

Le parole di Borgna, seppur amare, non cedono alla rassegnazione, ma invitano a tenere alta la speranza nella possibilità di dare attuazione alla legge 180, con “pratiche che non chiudono, non legano, non opprimono”, e con una psichiatria che sia “sociale, e quindi dialogica e relazionale”. 

Non basta” afferma l’autore, “cambiare le strutture ospedaliere e territoriali, se a ciò non si aggiungono sensibilità e delicatezza, ascolto del dolore, dell’anima e del corpo, introspezione, immedesimazione”. Se si cede il posto a una visione organicistica e stigmatizzante della malattia mentale non si potrà credere in nessuna possibilità per la psichiatria. 

La riforma ha dimostrato che si deve guardare in altro modo alla malattia mentale: la rivoluzione di Basaglia ha permesso di mettere tra parentesi ogni certezza diagnostica, e il malato è diventato una persona e gli operatori si sono messi in ascolto della sua voce. La creazione di comunità e la costruzione di una psichiatria territoriale ha consentito in alcuni luoghi di curare la persona in altro modo rispetto al passato. Recuperare quanto si è fatto è necessario. “La legge di riforma del 1978, sulla scia della rivoluzione copernicana che è stata attuata da Franco Basaglia, consente ancora di fare la migliore delle psichiatre possibili”, afferma Borgna, ma alla psichiatria devono essere ridati slancio, passione della speranza e capacità di ascolto; qualità che sembrano essere assenti anche nella politica, e nondimeno nella nostra società, dove si fa fatica ad accogliere il bisogno. Borgna auspica quindi a una nuova rivoluzione che ridia forma concreta “e passione ai contenuti della legge di riforma, e che abbia ad arginare le inerzie, l’indifferenza, la dipendenza farmacologica e tecnologica e la presenza di un’opinione pubblica divenuta estranea al tema della psichiatria e dell’assistenza in psichiatria che, negli ultimi anni del secolo scorso infiammava gli animi, e s’accompagnava coralmente agli ideali della riforma”.

Borgna riferisce l’importanza di tornare a parlare di Basaglia nelle scuole di ogni ordine e grado, affinché si formi una coscienza nuova della sofferenza psichica e diminuisca il pregiudizio che oggi porta a identificare il disagio psichico con la violenza. Come afferma l’autore, “la sofferenza psichica è una possibilità umana, mai estranea alla vita di ciascuno di noi, e sempre dotata di senso”. La politica, la psichiatria e la collettività devono tornare ad averne coscienza. 

Tutti devono tornare ad apprezzare gli ideali della legge 180 perché ciò può far rinascere in ognuno quella speranza che oggi è morente. Si deve farlo per contrastare la contenzione, fisica e farmacologica, per resistere a un ritorno alle istituzioni violente, restituendo rispetto e dignità alle persone che ancora oggi soffrono, spesso nel silenzio e nell’indifferenza. 

Riconoscere la fragilità come una dimensione umana “ci consente di sfuggire al deserto dell’egoismo e dell’indifferenza e a quello dell’aggressività, ma anche di non assolutizzare le idee e le certezze che sono in noi, disponendoci a entrare in comunione con le persone che chiedono il nostro aiuto, e che talora non hanno nemmeno il coraggio di chiederlo”.

Ripercorrendo la sua esperienza nel manicomio di Novara, Borgna ricorda le donne che ha incontrato, la loro solitudine, la loro angoscia e le loro emozioni, segnalando la necessità di non fermarsi a una diagnosi categoriale, perché “i sintomi non sono segmenti, immobili pietrificati, ma esperienze vissute, che dicono qualcosa di significativo in ordine alla storia della vita di chi sta male, e alla condizione umana”. Fondamentale per questo è l’attenzione alle parole che si rivolgono a chi soffre, e nondimeno essenziale “l’essere insieme, e ancora meglio l’essere accanto, nella cura, e nella vita”. 

Riuscire a costituirci come “comunità di cura e di “destino” è la cifra tematica importante a cui Borgna giunge nelle ultime pagine del libro, il che significa riuscire a coniugare il bisogno con la concreta presenza, “umanizzando la follia” con un’educazione che permetta di accogliere le emozioni, di guardare dentro se stessi e immedesimarsi nelle attese e nelle emozioni dell’altro. Solo considerando “la vita degna di essere vissuta nell’angoscia e nel dolore dell’anima, nella tristezza e nella disperazione” è possibile ridare luce alla psichiatria. Ciò di cui la nostra società ha bisogno è una comunità che sappia nuovamente indicare una visione del mondo, “una Weltanshauung, nella quale si esca dalla nostra individualità, dai confini del nostro egoismo, e si riviva il dolore, e la sofferenza, degli altri come qualcosa che non ci sia lontana, non ci si estranea, ma come qualcosa che appartiene anche a noi. Una comunità, visibile agli occhi del cuore, che ci fa sentire e vivere il destino di dolore,  di sofferenza, di gioia, di letizia e di speranza, dell’altro da noi, come se fosse il nostro destino”. 

A più di quaranta anni dalla legge 180, le sue articolazioni teoriche e pratiche, come afferma Borgna, sono quanto mai vitali, ma i giovani psichiatri e le giovani psichiatre devono attivarsi vista l’“agonia della psichiatria”, guardando nuovamente alle sorgenti di quella legge meravigliosa e “recuperandone i vertiginosi orizzonti tematici”. 

L’importanza di Basaglia non potrà mai essere contestata, come afferma l’autore, anche nei momenti di più grande mancanza di passione e di immaginazione, ed è per questo che lui stesso crede che, da una psichiatria in agonia, si possa lentamente ricostruire una psichiatria  umana e gentile, “senza cancellare la sua dimensione clinica e diagnostica e senza “mai dimenticarne gli infiniti orizzonti di senso e in particolare la febbrile ricerca di quello che si intravede negli abissi delle interiorità, di chi cura e di chi chiede di essere curato”. Allargando gli orizzonti semantici e pratici della “cura”, la psichiatria potrà ancora fornire una visione che sia di aiuto  “alla comprensione, alla difesa della vita psichica che è in noi, malata o non malata”, che possa essere riconosciuta “nella sua fenomenologia, anche senza psichiatrie o psichiatri”.

Un sogno”, dice Borgna, “ne parlo da tempo anche con Peppe Dell’acqua che, nel solco della sua inimitabile eredità basagliana, continua da Trieste a dare un’alta testimonianza dei valori umani e sociali della legge di riforma del 1978, e lo fa con grande passione del cuore, e con splendide intuizioni fenomenologiche, che hanno (anche) scandito il suo insegnamento universitario”.

Le parole di questo libro aiutano a riflettere sulla difficoltà attuale ma anche su quanto sia possibile fare per dare una risposta concreta a quella parte di umanità che chiede delineando quei “sentieri interrotti di una storia importante e portando a riscoprirne le labili tracce”.