Di Tobia Bait, studente del corso di laurea di Filosofia dell’università Ca’ Foscari di Venezia
Il lavoro di De Cristoforo (vedi) si prefigge l’onere di richiamare in una breve descrizione l’evoluzione del rapporto tra società istituzionale italiana e individui viventi disagi dell’ordine psichico nel periodo compreso tra la fine del 1800 e le soglie della contemporaneità, indugiando in via preliminare sulle condizioni storiche degli albori nella moderna psichiatria.
Il saggio si apre con una scena significativa in cui compaiono già le due diverse intenzioni sociali legate l’interesse per il trattamento delle devianze.
La scena riguarda lo psichiatra Pinel il quale dopo aver liberato i malati psichici dalle catene del carcere di Bicêtre, viene interrogato da un esponente politico il quale chiede se l’autore del gesto fosse impazzito, in quanto quest’ultimo si era trovato allibito dalla quantità di insulti recepiti durante l’ispezione al carcere. Qui Pinel risponderà con l’asserzione «Cittadino, sono convinto che questi alienati sono così intrattabili proprio perché vengono privati d’aria e di libertà» delineando già la doppia natura stridente che connoterà le successive evoluzioni dell’identità psichiatrica.
Da un lato l’ideologia per cui la malattia mentale sia una presenza perturbante l’ordine sociale e l’altra per cui la pratica della tutela inerente la salute di ogni cittadino sia un saliente irriducibile di qualsivoglia società civile in quanto retta dalla ragione, cioè dalla sensibilità di un sapere umanistico conquistato in una lunga dialettica storica assieme ad un’organizzazione razionale della sua attuabilità.
Il primo prospetto storico si affaccia sulla Francia borbonica del 1838 quando sulla guida di eminenti psichiatri come Pinel e Esquirol si dà l’avvio ad un riforma fondamentale per la storia della psichiatria in quanto porta il potere decisionale ai dirigenti medici delle strutture invece che al potere amministrativo(il quale resta coinvolto attraverso le prefetture) oltre che struttura in maniera più razionale il controllo degli internamenti rendendo più fluido il controllo degli stessi da parte degli enti istituzionali. Questa legge sarà altresì importante per molti paesi europei in quanto farà da modello a molte legislazioni future come in Italia con la legge del 1904.
Questa razionalizzazione funzionale dei manicomi si regge sull’ideologia della pace sociale e come sottolineato dall’articolo 18, non prende nemmeno in considerazione la cura dei pazienti ma rileva la necessità di esiliare i malati dalla civiltà perché questa non ne venga scossa: come dirà Robert Castel: «in una società fondata sul contratto, l’alienato è colui che sfugge a ogni tipo di relazione contrattuale».
Peculiare dunque il tipo di ottica in cui sorge questo tipo di legislazione, il malato viene sequestrato dalla responsabilità familiare (laddove vi fosse) a cui era soggetto e viene ‘’adottato’’ dallo stato burocraticizzato al fine di impedire lo scandalo per la comunità tramite il sequestro della sua esistenza. Vien da chiedersi perché tanto accanimento rispetto un individuo fuori dai canoni, bizzarro ma anche non pericoloso?
12300 nel 1874, 22424 nel 1888, 36873 nel 1898: questo è un quadro dell’evoluzione della malattia mentale nell’Italia di fine ottocento. Si noti la duplicazione degli internati in soli 20 anni di crescita dello stato nazione. È il prezzo della razionalizzazione di stampo industriale volta all’omogeneizzazione della popolazione per un fine produttivo, la relativa pace degli ampi spazi di campagna viene ridotta alla fame mentre quote di migranti si accentrano nelle città dando vita a spazi funzionali alla macchina dell’economia borghese che cavalca l’onda positivista in cui miti come la velocità, la guerra e la scienza meccanica spazzano via qualsiasi ardore per l’umanità che si ritrova stordita tra pochi cilindri di velluto e molti disattati, miserabili specchi rotti dei sogni limitati ed infranti della modernità. Modernità che per continuare ad intessere il suo decorso si risolve nel nascondere gli scheletri nell’armadio per salvare le apparenze.
Interessante come la volontà politica di controllo e alienazione abbia avuto il sopravvento sulle idee di luminari quali Pinel ed Esquirol nonostante si servissero di queste stesse menti per attuarli, menti che avevano concepito case di cura come la ‘’Maison de Santè’’ e si erano esposti come estimatori del progetto in atto nel comune di Gheel (Belgio) in cui gli alienati erano considerati uomini liberi e capaci di integrarsi nella società attraverso la responsabilità del lavoro e della vita condivisa in cui si manifestava il senso e dunque l’importanza della loro condizione umana. Processo che agiva dunque come terapia evidenziando e dando speranza alla salute rispetto l’invalidità e il peso della malattia.
In effetti, questi attori a livello personale agivano e fomentavano situazioni di cura molto più radicalmente basate sul concetto di salute e riabilitazione ma arginavano la loro spinta innovativa nel creare situazioni uniche come la sopracitata ‘’Maison de santè’’ o l’esperimento londinese di Connoly i quali risultavano però limitati e perciò di nicchia il che permise, a ben vedere, di salvare le gerarchie sociali da pensatori quali questi luminari erano.
Appare fin d’ora chiaro il principio sociale della psichiatria la quale agendo principalmente nei confronti degli svantaggiati e inermi, delusi di ogni epoca rappresenta lo specchio del valore insito in ogni civiltà.
E proprio qui si intessono e si osservano i valori del tipo di società sopracitati ma che ora capiremo meglio affrontando il campione della società Italiana
Dunque, la storia della legge del 1904 diventa effettiva nel1909 con il regolamento attuativo che oltre alle misure sociali accennate di sopra inserisce attraverso l’art. 5 la responsabilità delle sanzioni disciplinari rispetto il personale al medico dirigente. Questa misura voluta dallo psichiatra Bianchi risulta un passo avanti non indifferente in quanto si pone e prova a risolvere il problema dato dalla totale impunità che il personale possedeva rispetto gli internati, situazione che portava spesso a situazioni di sevizie e pratiche perverse le quali finivano per connotare l’istituzione manicomiale.
Riprendendo il discorso, già al tempo vi furono interessanti dibattiti, in particolare quello del penalista Lucchini, intorno la problematica di una definizione su chi fosse il soggetto internabile essendo nella legge posti solo i termini valutativi di ”scandalo” e ”pericolosità”.
Proprio questo sarà invece il tema attraverso cui questa legge potrà prosperare oltre la monarchia e per tutta la durata del ventennio, infatti proprio questa labilità sarà la leva con cui le istituzioni fasciste faranno del manicomio un formidabile alleato politico in cui relegare e alienare dalla società molti soggetti sgraditi al regime, dal dissidente al non canonizzato nei parametri istituzionali di italianità fino alla famiglia illegittima di Mussolini.
Diventa dunque comprensibile perchè le proposte istituzionali di rinnovamento dei manicomi in cui già si rifletteva la volontà di creare strutture aperte e centri di cura ulteriori oltre a quelli detentivi rimangono insolute ed anzi capovolte in quanto il regime introducendo l’art 604 C.2 alla legge del 1904 inserisce l’internamento tra i reati ascrivibili nel casellario giudiziale.
Gli anni del regime, sono anche gli anni d’ ”oro” della psichiatria biologica dove con l’idea di una mente-meccanismo si peroravano con grande zelo le più brutali sperimentazioni come elettroshock e lobotomia, pratiche che saranno proprio in questo periodo non solo istituzionalizzate ma fiorenti in quanto rappresentavano un modo economico e veloce di sbarazzarsi o come si diceva al tempo di ”curare” i pazienti.
La psichiatria organicista inoltre, sopravvivrà al regime nonostante le contraddizioni poste alla costituzione, in particolare rispetto gli articoli 2,3,13 e 32. Infatti nonostante questa smetta di essere un’arma politica, le pratiche rimangono invariate.
Arriveranno gli anni ’60 e con loro un nuovo vento comincerà a ridare luce tra le situazioni umane disagiate dalla miseria e dalla perversione delle istituzioni.
E’ il 1968 quando il parlamentare Mariotti denuncerà gli istituti psichiatrici definendoli dei lager nazisti, ci vorranno altri 10 anni perchè il manicomio venga frantumato e si cominci a riflettere istituzionalmente sulla cura del paziente psichiatrico come cura di una persona viva realizzata da bisogni, doveri e speranze.
Quest’ esperienza di ritorno ai valori dell’uomo non nasce però dalla politica, nasce da un medico e dall’indignazione rispetto lo status quo che approda alla proposta di una irrinunciabile alternativa, quella della dignità.
E’ il 1961 quando Franco Basaglia alla visita del manicomio affidatogli riferirà: «600 corpi infagottati in tela, grigi e rapati». E’ l’inizio di un rigurgito umano che partirà dallo sdegno e si tramuterà in 17 anni di battaglie e di storie di vita rinascenti fino alla vittoria istituzionale segnata dalla legge 180 del 1978 con cui comincia una nuova stagione di lotta che da 41 anni non smette di affannare la creatività, la perseveranza e la fortezza di chi immagina e persegue la Vita come una possibilità aperta e reale. E’ l’arte della pratica che chi ha fede non deve mai trascurare.