Di S. P. Sashidharan (Institute of Health & Wellbeing, University of Glasgow, Scotland), Roberto Mezzina (Dipartimento di Salute Mentale, WHO Collaborating Centre for Research and Training, ASUI Trieste, Italy), Dainius Puras (Clinic of Psychiatry, Faculty of Medicine, Vilnius University, Lithuania)
Abstract
Scopi:
Esaminare l’entità e la natura delle pratiche coercitive nell’ambito della salute mentale e considerare le sfide etiche e umane che le attuali pratiche cliniche affrontano in questo campo. Abbiamo considerato l’epidemiologia della coercizione nella salute mentale e valutato l’efficacia dei tentativi fatti per ridurre la coercizione e, dunque, formulato specifiche raccomandazioni per rendere la salute mentale meno coercitiva e più consensuale.
Metodi:
Abbiamo identificato la bibliografia attraverso le ricerche su MEDLINE, EMBASE, PsycINFO e CINAHL Plus. Abbiamo limitato la ricerca agli articoli pubblicati tra il gennaio 1980 e il maggio 2018. Le ricerche sono state effettuale utilizzando i termini malattia mentale (ammissione, trattenuto, detenzione, coercizione) e trattamento (forzato, involontario, isolamento, costrizione). Gli articoli pubblicati durante questo periodo sono stati ulteriormente identificati attraverso ricerche nei file personali degli autori e su Google Scholar. Gli articoli risultanti dalle ricerche e i riferimenti pertinenti citati in questi articoli sono stati rivisti. Sono stati esclusi gli articoli e i testi sulla popolazione non psichiatrica, persone sotto i sedici anni, e quelli esclusivamente riguardanti le persone affette da demenza.
Risultati:
La coercizione nelle sue varie forme è parte integrante della salute mentale. Ci sono poche ricerche in questo campo e l’assenza di dati sistematici e raccolti regolarmente rappresenta il principale ostacolo sia alla ricerca sia alla comprensione della natura della coercizione e dei tentativi di affrontare questo problema. Gli esempi di buone pratiche in questo campo sono limitati e non c’è quasi nessuna evidenza relativa alla generalizzazione o sostenibilità dei singoli programmi. Sulla base del controllo, abbiamo formulato specifiche raccomandazioni per ridurre le pratiche coercitive. La nostra tesi è che questo richiederà più di un aggiustamento legislativo ma richiederà cambiamenti fondamentali nella cultura della psichiatria. In particolare, dobbiamo garantire che la pratica clinica non vada mai a compromettere i diritti umani delle persone. È eticamente, clinicamente e legalmente necessario affrontare il problema della coercizione e rendere la salute mentale più consensuale.
Conclusione:
Tutte le forme di pratiche coercitive sono incoerenti con le pratiche di salute mentale basate sul rispetto dei diritti umani. Questa è una sfida globale che richiede un’azione urgente.
Introduzione.
Nonostante le prove, provenienti da diversi contesti, dimostrano che l’assistenza e la cura della salute mentale offrano benefici significativi, la psichiatria rimane un settore controverso della prativa medica. Lo spiegano in parte le domande sullo stato e l’utilità della diagnosi psichiatrica. Le incertezze sull’efficacia di molti interventi psichiatrici, le molte variazioni nella pratica clinica, la scarsa sicurezza del paziente (D’Lima et al., 2017) e la mancanza di dati di buona qualità sui risultati delle questioni più rilevanti per gli utenti dei servizi (Thornicroft and Slade, 2014) contribuiscono ad una percezione generalmente negativa della psichiatria. Tuttavia, l’aspetto più controverso della psichiatria contemporanea è il continuo ricorso alla coercizione come parte della cura clinica, un’eredità della sua storia istituzionale.
Anche se la grande maggioranza di coloro che entrano in contatto con i servizi di salute mentale non sperimentano pratiche coercitive, detenzione involontaria e trattamento obbligatorio, queste sono esperienze universali nei servizi di salute mentale. Tali pratiche non volontarie sono spesso associate con l’uso della forza, come l’isolamento, il contenimento e il trattamento obbligatorio. Queste pratiche coercitive sono legittimante, approvate e impiegate quotidianamente come parte della salute mentale negli stati, sia in quelli più ricchi sia in quelli più poveri, negli ospedali e nelle comunità. Queste pratiche comportano una significativa violazione dei diritti umani, rappresentano una «crisi globale irrisolta» (Drew et al., 2011) e rimangono una delle questioni più controverse nel campo della salute mentale (Salize e Dressing, 2004).
Il testo completo, in inglese, si può leggere qua.