Si è svolta mercoledì 3 ottobre, al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Ravenna una cerimonia per ricordare che da circa 13 mesi, nel servizio stesso, non viene effettuata alcuna contenzione dei pazienti. Hanno partecipato alla cerimonia il sindaco di Bagnacavallo Eleonora Proni; l’assessore Claudia Gatta di Faenza; il comandante della polizia municipale di Ravenna Andrea Giacomini; il giudice tutelare di Ravenna Cesare Santi; Milena Spadola (Collegio Infermieri Ravenna); Giovanni Rossi (vicepresidente dell’associazione dei Spdc non restraitment, cioè che evitano contenzione); Claudio Ravani (Direttore Dipartimento Psichiatrico Ausl Romagna); Roberto Zanfini (Direttore Spdc Ravenna); Barbara Bandini (Coordinatrice infermieristica Spdc Ravenna) Valerio Cellini (associazione di parenti dei pazienti “Porte Aperte”).
“Nonostante i Servizi Psichiarici di Diagnosi e Cura ricorrano alla contenzione meccanica dei propri pazienti, non sono attualmente presenti leggi o norme che la regolamentino – ha spiegato Zanfini – Il Regio Decreto 615/1909 – che al Capo IV art. 60 recitava: “Nel manicomio debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell’istituto. L’autorizzazione indebita dell’uso di detti mezzi rende passibili coloro che ne sono responsabili di una pena pecuniaria (…) L’uso dei mezzi di coercizione è vietato nella cura in Case Private” – è stato infatti abolito dalla legge 180/1978 che non contempla tale modalità operativa. In alcune Regioni comunque, in particolare l’Emilia Romagna, le contenzioni meccaniche sono state oggetto di circolari che le disciplinano con apposite disposizioni e vengono puntualmente monitorate. Nel 2006 il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura ha segnalato che in Italia “il potenziale di abuso e di maltrattamento che l’uso di mezzi di contenzione comporta resta fonte di particolare preoccupazione. Purtroppo sembra che in molti degli istituti visitati vi sia un eccessivo ricorso ai mezzi di contenzione”. Per questo motivo la Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome, nel 2010, ha stilato delle raccomandazioni per prevenire le contenzioni fisiche in psichiatria. Il ricorso alla contenzione è infine stigmatizzato dagli Ordini Professionali e nel 2015 il Comitato nazionale di Bioetica ha ribadito la necessità di un suo superamento”.
“La contenzione meccanica – prosegue Zanfini – oltre che degradante, non è scevra da rischi e complicanze. Sin dal 2000 il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Ravenna ha avviato pratiche atte a ridurre il ricorso alla contenzione meccanica con l’obiettivo di eliminarla come pure di “umanizzare” sempre di più il ricovero in particolare per le persone ricoverate coattivamente. Gli interventi attuati sono stati strutturali, clinico organizzativo e formativi. Per quello che riguarda gli interventi strutturali l’ambiente di cura è stato reso il più possibile simile a quello di un domicilio: sono state tolte le sbarre alle finestre, eliminate le telecamere, e si è reso possibile l’accesso a diverse aree del reparto. Gli interventi clinico-organizzativi sono stati diversi: monitoraggio di ogni singola contenzione attraverso la registrazione e l’analisi per individuare i fattori che la determinano, in modo da poter apprendere stretegie/interventi preventivi; trasparenza dell’operato avvisando i familiari e dando loro la possibilità di rimanere in reparto per tutta la sua durata; assistenza continua da parte di un operatore per tutta la sua durata; discussione da parte di tutto il gruppo di lavoro prima di utilizzarla, con supervisione da parte del Direttore per verificare se tutte le strategie alternative sono state esplorate; possibilità di rinforzo del turno in caso di particolari situazioni di crisi; utilizzo del tempo evitando, quando possibile, di “chiudere” la situazione di crisi per aspetti dovuti all’organizzazione. Sono stati inoltre rafforzanti i piani di trattamento individuali basati sulla diagnosi funzionale, con un atteggiamento improntato alla partnership e al recovery, coinvolgendo la persona; si sono ridotti i tempi di inattività attraverso un aumento del tempo di relazione con gli operatori, l’esecuzione dei trattamenti psicosociali individuali e di gruppo. Le cosiddette regole di reparto sono poi state per gran parte sostituite dai summenzionati piani di trattamento individuale. Diversi sono stati, infine, gli interventi formativi eseguiti che hanno riguardato l’apprendimento della diagnosi funzionale, di tecniche psicosociali, la gestione del rischio di violenza e dell’aggressività, interventi di debriefing e defusing per il gruppo di lavoro. Attraverso queste azioni il numero delle contenzioni è stato gradualmente ridotto nel corso degli anni, passando dalle 150 del 2000 (il reparto aveva 15 posti letto) alle 3 del 2016 di cui l’ultima, ad oggi, eseguita nell’agosto di quell’anno. Il numero di pazienti trattati nel 2016 è stato di 430”.
“A questa situazione positiva si aggiungono altri dati, a loro volta positivi, sull’attività delle strutture per la salute mentale in Romagna – prosegue Claudio Ravani – La percentuale di popolazione “pesata” dell’Ausl Romagna rispetto alla Regione è del 25%. Ma dai dati regionali del Sistema Informativo Salute Mentale (Sism) emerge che l’Ausl Romagna eroga prestazioni al 25,23% della popolazione regionale. Il Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche (Dsmdp) della Ausl Romagna, per la Psichiatria Adulti, eroga percentuali complessive di trattamenti superiori, pari al 26,25%, delle prestazioni complessive dei Dsmdp regionali. La distribuzione delle prestazioni è ancora superiore se si considerano i raggruppamenti riabilitativi e psicoterapeutici: psicoterapie 27,4%, psicoeducazione 30,29%, trattamenti socio-riabilitativi 30,94%, verifiche e supervisioni 27,6%, valutazioni (assessment e altro) 39,82% Questi dati vanno integrati con le percentuali relative alle prestazioni tradizionalmente legate alla prescrizione e somministrazione dei farmaci, tipiche del setting ambulatoriale, che sono invece percentualmente più basse rispetto agli altri Dsmdp regionali: somministrazione farmaci 21,92%, colloquio 23,27%. Senza definire differenze “rivoluzionarie”, questi dati indicano però una maggior propensione nel Dsmdp romagnolo ad orientare i trattamenti nell’ambito della riabilitazione, della recovery, della valutazione personalizzata, piuttosto che al tradizionale modello prevalentemente o unicamente ambulatoriale/ farmacologico. La progettazione sul Budget di Salute, che sta progressivamente avviandosi (e che necessita dei tempi necessari a strutturare collaborazioni con gli altri soggetti coinvolti, come gli Enti Locali, il Privato Sociale, le Associazioni) contribuirà in modo decisivo a promuovere ulteriormente la logica degli interventi integrati ed altamente personalizzati, nell’ambito dei quali la farmacoterapia non assume certamente un ruolo centrale o esclusivo, ma funzionale e contestuale al raggiungimento degli obiettivi di riabilitazione, di inclusione sociale, di valorizzazione delle risorse della persona e del contesto “naturale”.
“Questo risultato è frutto di un cambiamento culturale anche per gli infermieri – ha evidenziato Spatola – E quando vado in altri contesti raccconto che a Ravenna facciamo così. Sono importanti i lavoro in equipe e l’attitudine alla relazione. Un nostro slogan è ‘conteniamo la contenzione’”. Giovanni Rossi ha ricordato che i reparti psichiatrici che riescono a raggiungere questi risultati sono 20 – 25 in tutt’Italia. Giacomini ha ricordato che “a Ravenna è stato firmato uno dei primi protocolli sui tso e che questi risultati sono frutto di un lavoro costante e di una stretta collaborazione, una piccola rivoluzione culturale”. Il sindaco Proni e l’assessore Gatta hanno rimarcato l’importanza che gli enti locali non siano estranei a questi processi e percorsi nell’ottica della integrazione degli interventi, anche attraverso il budget di salute. Il giudice tutelare Santi ha evidenziato come sia in aumento il numero di richieste per attivare l’amministratore di sostegno: 350 fino al 20 settembre 2017, mentre nello stesso periodo del 2016 erano state 270. Altro esempio di come la collaborazione di tutti gli enti sia importante. E se la caposala del servizio Barbara Bandini ha ribadito che “così si lavora meglio, anche noi operatori stiamo meglio” il presidente di “Porte Aperte” Cellini ha evidenziato che “dopo anni difficili, finalmente siamo sulla buona strada. Continuiamo così e facciamo ancora di più su tutti gli aspetti della presa in carico”.