Il libro che, sono certo, leggerete racconta la vera storia di un’impensabile rivoluzione.
Circa mezzo secolo fa, nel nostro paese accadde qualcosa che ha cambiato il modo di guardare e incontrare quelli che chiamiamo matti.
Quelli che per i loro comportamenti irascibili, le parole incomprensibili, le invenzioni bizzarre, le scelte stravaganti, le tristezze profonde, le allegrie esagerate, le paure inspiegabili abbiamo sempre considerato fratelli scomodi. Individui diversi, molesti, disturbatori che bisognava curare e impedire loro di fare danni.
I dottori per curarli progettarono ospedali speciali per queste singolari persone. Nacquero così i manicomi. I fratelli scomodi divennero malati di mente e non poterono più essere persone che amano, protestano, si oppongono, si disperano, gioiscono.
Da allora, custoditi da alte mura, isolati dalle città, reclusi per impedire che disturbassero la pacifica vita dei sani, divennero internati, non più cittadini come tutti e infine poveri, pericolosi e scandalosi. Furono privati per sempre dei loro diritti, della loro libertà, dei loro averi. Della loro storia non resterà più traccia e verrà sostituita dalla cartella clinica, una foto segnaletica e un diario monotono e senza tempo.
I manicomi presto si riempirono, se ne costruirono altri e divennero sempre più cupi e paurosi. Negli ultimi due secoli milioni e milioni di persone sono state rinchiuse e dimenticate in questi luoghi orrendi, uguali in ogni paese. In Australia e in Africa, nell’America del sud e nell’America del nord, in Asia come in tutta l’Europa, con la sola eccezione dell’Italia, sono ancora tanti i manicomi e milioni le persone internate.
A Trieste, a San Giovanni, dove si svolge la storia di Lisa e di sua mamma Adele è accaduto per la prima volta che i cancelli di un manicomio venissero aperti.
Prima di allora cittadini generosi avevano tentato di entrare in quei luoghi. Un esercito di dottori in camice bianco, di sorveglianti in divisa e di potenti di ogni paese facevano la guardia a quei recinti. Nessuno poteva neanche avvicinarsi. Bisognava difendere il mondo dei sani dallo scandalo e dal pericolo dei matti.
Solo per aprire uno spiraglio, una finestra o una porta occorreva una forza sovrumana. Ma dove prenderla? Eppure dentro quelle mura c’era un’energia che avrebbe potuto rivoltare il mondo. Le persone internate potevano essere una potenza se solo avessero potuto parlare. Ma, matti, poveri e disturbatori erano stati annientati, erano diventati numeri senza più storia, senza più volto. Erano vivi ma non avevano più parole, non avevano più nessuna possibilità di contare: non potevano votare, sposare, comprare, ereditare..
Non è facile raccontare una storia come questa; cercare di conoscere cosa accade quando una persona varca la soglia del manicomio e perde il suo nome e la sua storia. E ancora più difficile dire del cambiamento che stava rivoltando le fondamenta di quel gigantesco istituto. Come fare a parlare delle piccole conquiste quotidiane, dei nomi ritrovati, dello stupore nel vedere il mondo di fuori? Come incontrare Franco Basaglia ?
E ancora come dire della forza generosa di Marco Cavallo? E dei pianti, e degli evviva, e dei dolori, e degli gli orrori? Come fare narrando le piccole storie a non trascurare la Storia cercando in ogni pagina di restituire il significato universale delle conquiste che giorno per giorno accadono mentre si smonta pezzo per pezzo un’istituzione così resistente a qualsiasi cambiamento.
Davide Morosinotto trova un modo amoroso, mi viene da dire, e geniale. Le parole, le piccole storie, gli affetti, i bisogni di ognuno inascoltati e negati per secoli nel manicomio ora riconosciuti sono la scintilla che fa scoppiare la “rivoluzione”, diventano nelle mani di Davide i semi che danno origine alla narrazione. L’incontro di Lisa con Franco Basaglia, che sono certo vi restituirà un’intensa emozione, mi ha semplicemente incantato. È un capovolgimento!
Il racconto del lavoro quotidiano intorno alle cose minime che fanno la vita di ognuno diventa la nuova scena dove alla fine possiamo comprendere anche nel dettaglio il senso di quanto le persone vivono e di quanto accade intorno e dentro le loro vite. Si capisce bene che ascoltare e raccontare le storie di Lisa, di Adele, del nonno di Flavio e di tanti altri internati è l’unico modo possibile per riannodare in un paziente lavorio i fili recisi e confusi di esistenze dolorose, per recuperare relitti di affetti, di esperienze, di talento; per ritrovare brandelli di memorie.
Narrare della Trieste di Basaglia è prima di tutto trasmettere l’emozione, il coinvolgimento, il protagonismo, la fatica della partecipazione.
L’epopeadel manicomio di Trieste non può che essere narrata.
Ho letto queste pagine tutto d’un fiato, da cima a fondo, e non posso non dirvi che in più punti l’emozione è stata incontenibile. Gli eventi fantastici che accaddero in quegli anni e che io ho avuto la fortuna di vivere, ancora una volta mi hanno riportato nel momento più magico della mia giovinezza.
Ho riletto poi con i miei nipotini e l’emozione è stata ancora più grande. Con queste storie infatti ècominciata la mia vitae quella delle persone di cui si parla e di tutti quelli che abitavano tutti i manicomi del mondo.
( dalla prefazione di Peppe Dell’Acqua a “Franco Basaglia, il re dei matti” di Davide Morosinotto, Einaudi ragazzi, 2018)