di Paolo Fallico
“Sono un cittadino italiano, malato di schizofrenia. Ho 50 anni, molti trascorsi in carcere, dei quali cinque nel centro manicomiale di un carcere londinese. Avevo tentato di ferire con il coltello un poliziotto, mentre fuggivo dalla scena di una rapina. Ho conosciuto la camicia di forza e l’isolamento in una cella con pareti imbottite. Ho subito e visto compiere da parte delle guardie violenze sui pazienti, in seguito alle quali è stata aperta un’inchiesta giudiziaria.”
Questo il doloroso ricordo di Luca (il nome è di fantasia) della sua esperienza di malato-detenuto in Gran Bretagna. Ma quale è la realtà della malattia mentale all’interno di un grande carcere come il “Lorusso e Cotugno” di Torino? Risponde a Nuovasocietà il dottor Antonio Pellegrino, responsabile del “Sestante”, il centro psichiatrico penitenziario della casa circondariale delle Vallette, che dipende dal dipartimento di psichiatria (ASL TO 2) diretto dal dottor Elvezio Pirfo e ubicato presso l’ospedale Amedeo di Savoia di corso Svizzera.
“Per tutti noi dell’équipe del Sestante il principio fondamentale che ispira il nostro impegno è il diritto alla difesa della dignità e della salute del paziente psichiatrico detenuto, alla pari di ogni uomo libero” spiega il dottor Pellegrino, illustrandoci il cammino che percorrono le persone interessate dalle patologie suddette all’interno della struttura carceraria. Tutti i detenuti all’arrivo in carcere vengono sottoposti ad una visita medica generale, ed allorquando si evidenzi un disturbo mentale si effettua una visita specialistica entro le 24 ore successive. Nel caso di crisi acuta il paziente è avviato al pronto soccorso e quindi trasferito al “Reparto sanitario detenuti” dell’ospedale Molinette di corso Bramante. Se invece la sintomatologia non desta preoccupazioni segue l’inserimento nelle normali sezioni carcerarie, dove, in ogni caso, continuerà la terapia farmacologica alla quale era sottoposto fuori dal carcere. L’intervento prevede anche una intensa attività ambulatoriale, con visite psichiatriche e colloqui psicologici. Nei casi che richiedono un monitoraggio continuo delle condizioni del paziente ed un più approfondito e composito intervento terapeutico c’è la presa in carico del detenuto da parte del centro di osservazione psichiatrica.
Ma come è costituita tale struttura, quali sono le figure professionali che vi operano e quali le dinamiche terapeutiche che ne connotano la funzionalità? Il Sestante è costituito da due sezioni, la settima e l’ottava del Blocco A, lo stesso che ospita il “Centro clinico”, dove sono ricoverate persone affette da patologie organiche. Il personale è costituito da psichiatri (del dipartimento psichiatrico di corso Svizzera), psicologi, educatori professionali ed agenti di polizia penitenziaria, selezionati con un concorso interno e che hanno frequentato un corso di formazione. Può ospitare fino a 40 pazienti, il 60% dei quali giunge da altre città, sia per la scarsa diffusione nelle carceri di strutture simili, sia per l’elevato grado di eccellenza del centro psichiatrico torinese. Le forme patologiche che interessano gli ospiti del Sestante vanno dal disturbo bipolare (sindrome maniaco-depressiva) al ritardo mentale, da stati depressivi con rischio di suicidio alla schizofrenia. Vi è anche una quota rilevante di comportamenti tossicomanici, che accompagnano il disturbo mentale.
Nella settima sezione si cerca di stabilizzare il paziente, compensando la patologia con farmaci e colloqui. In questo settore i detenuti abitano celle videosorvegliate e dotate di tavoli ed armadi inamovibili in muratura, per evitare atti autolesionistici ed aggressioni verso gli altri; è esclusa la presenza di oggetti in vetro e l’uso di posate metalliche. Gli ospiti della settima sezione hanno diritto all’ora d’aria in cortile (come quelli delle sezioni ordinarie) e possono incontrare, sotto la sorveglianza degli agenti di custodia, i detenuti dell’ottava, ma non usufruiscono della “socialità”, cioè la possibilità di intrattenersi con gli altri, nelle celle e nel corridoio del Sestante, dopo la cena.
In entrambe le sezioni ogni paziente è preso in carico da una micro-équipe, costituita da uno psichiatra, uno psicologo ed un educatore professionale. Con il miglioramento della sintomatologia, ed una adeguata compensazione dello stato patologico, il paziente può raggiungere gli ospiti dell’ottava sezione, già in possesso di una maggior capacità di relazione e padronanza della gestione delle dinamiche di rapporto sociale. Il magistrato, particolarmente in questi casi, può chiedere agli operatori relazioni sulle condizioni del paziente e vagliare le possibilità di concedere misure alternative alla carcerazione (arresti domiciliari ed affidamento ai servizi psichiatrici esterni). E’ possibile per gli psichiatri di tali servizi visitare il paziente, specie se era da loro stessi già seguito. Tuttavia per questi contatti con operatori esterni alla struttura carceraria è necessario il consenso del detenuto.
L’approdo all’ottava sezione apre per il paziente una nuova fase del percorso terapeutico, che trova i suoi fondamenti nei confronti individuali con psichiatra e psicologo e nella partecipazione a gruppi di psicoterapia, arte terapia, teatro. Le attività del gruppo sono quotidiane e suddivise in due livelli, a seconda delle capacità espressive del soggetto. Gli ospiti dell’ottava hanno anche libero accesso, come gli altri detenuti, alla palestra ed al campo di calcio, dove partecipano a tornei con le squadre delle sezioni ordinarie.
La malattia mentale non è una realtà monolitica, ma multiforme, complessa, determinata e caratterizzata da una molteplicità di fattori che richiedono, nell’infinità dei casi individuali, una risposta ricca di proposte e diverse metodologie d’intervento terapeutico.
In poche città italiane esiste una struttura come quella diretta dal dottor Pellegrino, altrove spesso i pazienti psichiatrici sono ospitati nelle infermerie carcerarie o, nelle carceri minori, seguiti con visite trisettimanali, effettuate da psichiatri. Nel nostro paese esistono alcune strutture giudiziarie manicomiali, ma di ciò Nuova Società darà ampia informazione in una prossima inchiesta.
Dal 2008 la psichiatria penitenziaria è passata dalla gestione del Ministero della Giustizia a quella delle ASL. Ma a Torino sin dal 2001, con una convenzione tra direzione carceraria ed ASL, si è stabilito che il dipartimento di psichiatria si occupasse della salute mentale dei pazienti detenuti; prima di tale data ciò era affidato a professionisti privati. Questo ha determinato un miglioramento generale delle condizioni di vita dei detenuti interessati da patologie psichiatriche e quasi del tutto azzerato la casistica dei suicidi in cella.
All’uscita dal carcere, ove vi sia il consenso del paziente, viene fornito un elenco di indicazioni terapeutiche, per garantire una continuità d’intervento sulla patologia presso le strutture esterne.
Un uomo non è la sua malattia, ma una realtà infinitamente più grande: è compito dell’intera società civile affrontare, grazie ai progressi scientifici e ad una più lucida visione e consapevolezza della malattia mentale, le conseguenze individuali e collettive di tali patologie, affinché il paziente rimesso in libertà non sia condannato a quella ben più terribile “prigione” che si chiama indifferenza.
(da Nuovasocietà.it)