di Marco Lapi
Le indicazioni in materia di salute mentale previste nel Piano Sanitario Sociale Integrato Regionale approvato dalla Giunta e prossimamente in discussione in Consiglio. Necessità di valutazione dell’efficacia e protagonismo dell’utente, inserimento lavorativo e autonomia come obiettivo tra i punti qualificati. E anche una affermazione impegnativa: le porte dei reparti psichiatrici ospedalieri devono rimanere aperte
«Curare la persona e non la malattia». Questo principio generale, richiamato con forza nell’ambito del Piano Sanitario Sociale Integrato Regionale 2012-2015 della Regione Toscana, è alla base anche della parte riguardante la salute mentale, che presentiamo questa settimana. Il Piano, già varato in dicembre dalla Giunta, sarà discusso e approvato nei prossimi mesi in Consiglio Regionale e costituirà la bussola della sanità toscana per i prossimi tre anni.
Il capitolo in questione si sviluppa su sette pagine dense di indicazioni, a partire da quanto già sviluppato dalla Regione in questi anni, e cioè «politiche per la salute mentale improntate al rispetto dei diritti umani e civili delle persone con problemi di salute mentale e alla realizzazione di un sistema di servizi territoriali finalizzato ad intercettare e rispondere a tali bisogni delle persone di ogni fascia d’età». Sono stati già definiti percorsi assistenziali specifici per i disturbi del comportamento alimentare e per l’autismo, ma si è anche opportunamente avviata una «valutazione dell’efficacia degli interventi» nell’ottica «di una maggiore capacità di confronto in una logica di trasparenza e di superamento dell’autoreferenzialità». Altre iniziative sono state prese sul fronte dell’inserimento lavorativo e della promozione dell’«auto mutuo aiuto».
In questa premessa, appare senz’altro centrale la questione dell’efficacia degli interventi, emersa del resto anche nei nostri precedenti servizi. Tra le righe, si può leggere il richiamo a non accontentarsi, anche da parte degli operatori del settore, dell’obiettivo minimo di una psichiatria semplicemente «contenitiva» o finalizzata unicamente a rispondere alle urgenze. E lo stesso programma schematico sopra riportato in termini di «sfide», «obiettivi» e «azioni», relativo alla psichiatria toscana in generale, ben evidenzia la necessità di puntare oltre.
Centrale è anche, nel Piano, il paragrafo sui percorsi di cura, da attivare attraverso i Centri di Salute Mentale attraverso progetti individualizzati, capaci di porre davvero la persona al centro della cura. «Il progetto terapeutico-riabilitativo individualizzato – si legge nel documento – è un documento scritto che esplicita i problemi, individua le risorse di rete (assesment), gli obiettivi condivisi – con la persona e con i soggetti con i quali essa condivide le scelte – e le azioni da attivare per conseguirli, nonché la modalità di valutazione dei risultati. Il responsabile clinico è affiancato da un referente del percorso che segue le diverse fasi del progetto e favorisce l’integrazione degli interventi con particolare attenzione al passaggio dalla minore alla maggiore età. Il progetto terapeutico riabilitativo deve dare rilevanza a programmi orientati ad aiutare la persona a sviluppare e usare le proprie potenzialità e ad acquisire fiducia e stima di sé». E ancora: «I percorsi di cura e riabilitazione si realizzano attarverso processi emancipativi capaci di ricostruire i tessuti relazionali, affettivi, familiari, sociali e produttivi. È necessario perciò favorire la trasformazione dei centri di salute mentale, dei centri diurni e delle strutture residenziali in luoghi d’incontro e di collaborazione con i cittadini e le loro associazioni ai fini del perseguimento di una effettiva integrazione e reinserimento delle persone con problemi di salute mentale nella comunità locale. Il territorio non deve essere considerato solo uno spazio in cui si manifestano i problemi ma una comunità insieme alla quale ricercare soluzioni, avviare possibili azioni, condividere scelte e decisioni».
Il capitolo prosegue prendendo in esame i luoghi di trattamento di urgenze, crisi o acuzie, ovvero i reparti ospedalieri, definiti tecnicamente Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura. Oltre alla conferma del «tassativo divieto di ogni forma di contenzione fisica» e al richiamo a una «attenzione continua all’appropriatezza del ricorso alla terapia farmacologica», importante e, crediamo, nuova indicazione è che «le porte del Spdc devono rimanere aperte, come tutti i luoghi dell’ospedale, anche per evitare la connotazione di luogo separato, che produce stigma, per i soggetti affetti da disturbi psichiatrici».
Si parla poi di «residenzialità e sostegno all’abitare», affermando che «le strutture residenziali hanno la funzione di sostenere e accompagnare chi esprime una sofferenza psichica nella riappropriazione della propria autonomia e non possono essere concepite come una soluzione abitativa permanente»; il che implica la necessità di evitare «ricoveri impropri e/o immotivatamente prolungati». Altro paragrafo fondamentale quello dedicato alla «riabilitazione e inclusione sociale e lavorativa», con l’impegno a proseguire il lavoro già avviato. Tra le azioni indicate, significativa quella che chiede di «diffondere le esperienze di attività lavorative attivate dalle associazioni di familiari ed utenti e favorire la diffusione di corsi di formazione per “facilitatori sociali” rivolti ad utenti ed ex utenti dei servizi di salute mentale».
Dato che «la presa in carico globale delle persone con problemi di salute mentale è l’unico approccio funzionante ed efficace per la cura e il miglioramento della qualità di vita», possono assumere grande importanza anche gli «interventi complementari nella prevenzione e cura dei disturbi psichici», quali la «terapia della luce» nelle depressioni stagionali e le «medicine complementari» (agopuntura, medicina tradizionale cinese, omeopatia e fitoterapia) nei disturbi infantili in quanto poco invasive. Un’approfondimento particolare viene poi riservato ai disturbi dello spettro autistico e a quelli del comportamento alimentare, nonché alla continuità delle cure tra infanzia e adolescenza, ai disturbi specifici di apprendimento e infine alle persone che hanno anche problemi di dipendenze. Il capitolo si conclude con un richiamo all’importanza dello sviluppo di esperienze di auto mutuo aiuto, protagonismo dell’utente e partecipazione, dalle quali «emerge chiaramente che il paziente non è solo un “carico di lavoro” per i servizi bensì una risorsa in più a disposizione dell’altro e del funzionamento del sistema».
Non sono poche quindi le scommesse su cui il Piano punta: per vedere quali resteranno sulla carta e quali saranno vinte occorrerà che non venga meno la volontà di una costante e trasparente verifica. In questo senso i segnali giunti negli ultimi tempi, anche attraverso le iniziative specifiche che già abbiamo presentato, appaiono abbastanza soddisfacenti. La speranza è di non sbagliarci: intanto, prossimamente vedremo di approfondire il discorso su alcune situazioni specifiche relative soprattutto alla maggiore o minore integrazione tra sociale e sanitario.
Cosa c’è da fare, dal Piano una «mappa» in pillole
Sfide
– La domanda ed i bisogni di salute mentale sono in continuo e rapido cambiamento, ciò comporta difficoltà nei servizi a rispondere con tempestività, pertinenza ed efficacia agli stessi.
– L’integrazione socio-sanitaria risulta ancora difficile nonostante la consapevolezza che le scelte e le azioni degli enti locali sono complementari alle strategie di cura dei servizi di salute mentale.
– Persistono difficoltà nel garantire continuità delle cure nel passaggio dalla minore alla maggiore età; in particolare si evidenziano criticità nel mantenimento dei livelli di attenzione, cura, riabilitazione e tutela dei giovani quando raggiungono la maggiore età e/o escono dal circuito scolastico.
– I soggetti con doppie diagnosi incontrano ancora difficoltà a causa delle problematicità nella gestione integrata dei percorsi dei Servizi per le tossicodipendenze e dei Dipartimenti di salute mentale, nonostante la presenza di protocolli operativi.
– A fronte della complessità dei bisogni e dell’aumento della domanda risulta sempre più critica la capacità di risposta dei servizi, date le attuali dotazioni di personale, sia dal punto di vista numerico che delle figure professionali impiegate.
– Il consumo dei farmaci antidepressivi è in costante aumento negli anni, abbinato ad un chiaro indice di inappropriatezza clinica resa evidente dall’alto tasso di abbandono della cura.
Obiettivi
– Accogliere i bisogni delle persone di ogni età con problemi di salute mentale;
– superare definitivamente il paradigma della «stabilizzazione clinica» in favore di percorsi di «ripresa» anche sociale;
– rafforzare le reti relazionali, affettive, sociali e lavorative all’interno dei percorsi di cura e nella comunità;
– diffondere una più ampia «cultura della valutazione».
Azioni
– Sviluppare un pacchetto di indicatori per il monitoraggio a livello regionale ed aziendale di processi ed esiti di trattamenti integrati;
– consolidare ed estendere la valutazione routinaria di esito dei percorsi terapeutico-riabilitativi attraverso I’ utilizzo di strumenti scientificamente validati;
– assicurare che nei Dipartimenti di Salute Mentale siano applicate linee guida per la prevenzione del drop out per i pazienti portatori di bisogni complessi;
– garantire l’appropriatezza delle prescrizioni farmacologiche, ridurre le politerapie non necessarie e monitorare gli effetti indesiderati dell’uso dei farmaci;
– garantire spazi di ascolto, attraverso personale opportunamente qualificato, con l’eventuale supporto di operatori volontari formati;
– promuovere interventi che favoriscano la presa in carico e la continuità assistenziale integrata con riferimento al modello organizzativo «La Casa della salute» (previsto nello stesso Piano);
– valutare la soddisfazione di utenti e familiari con sistemi validati.
(da ToscanaOggi.it)