di Peppe Dell’Acqua (2007)
Quella sera… Una sera dell’ultima settimana di ottobre tutto il gruppo di lavoro è riunito in villa Renner, per fare festa. Basaglia abita qui, al piano di sopra. Ormai era deciso; sarebbe partito per Roma. Siamo in tanti a salutarlo.
Grazia ed io con Slavko Susmelj, infermiere con la passione del video tape, abbiamo preparato un pezzo che vediamo insieme. Grazia fa la giornalista che
intervista il professore. Io faccio il professore. Lo prendiamo in giro, ridiamo dei suoi tic, delle sue debolezze, dei suoi modi impetuosi di arrabbiarsi, delle sue ossessioni, delle sue diffidenze, di certe sue sospettosità, del modo quasi infantile che talvolta aveva di tenere il muso, del quadernino con i numeri di telefono, che aveva innumerevoli e che non trovava mai, della sua passione per il Sud America, della sua imminente partenza per il Brasile. Ridiamo del suo rapporto amichevole, familiare e come sempre imbarazzato con Bordon, impiegato della direzione che cura personalmente le sue telefonate.
Nel video il professore sta seduto dietro una bella scrivania d’epoca completamente invasa da telefoni e borse di pelle anche queste antiche. Andare per rigattieri e antiquari era la sua passione e in ghetto, dietro piazza Unità, lo conoscevano tutti. I telefoni squillano e l’intervista con la giornalista si interrompe continuamente. Il professore parla con interlocutori cosmopoliti e usa sempre il suo incerto francese con evidente cantilena lagunare. Organizza viaggi, parla con ministri, aderisce a congressi e seminari. Poi finalmente una domanda finita. La giornalista chiede qualcosa a proposito di quanto ha scritto su corpo … corpo sociale .., corpo e istituzione. Il professore è come interdetto. Prende un telefono e compone il numero: “… pronto! Franca? ma cos’è questa storia del corpo sociale?..:’ chiede preoccupato. Ridiamo così della ricchezza del lavoro con sua moglie, Franca Ongaro, che dura da tutta una vita. Delle tante cose che hanno scritto e vissuto insieme.
Ridiamo, ostentiamo allegria. Ridiamo per nascondere il disagio, la contrarietà e la malinconia: non volevamo ci lasciasse, quella sera. Eravamo orgogliosi e fieri di essere stati insieme in momenti così determinanti, di aver cominciato insieme la lunga marcia senza fine attraverso le istituzioni.
E ora partiva per Roma accettando una scommessa così grande, forse decisiva.
(da “Non ho l’arma che uccide il leone”, Stampa Alternativa, 2007)