Franco Basaglia nel 1979, l’anno successivo all’approvazione della legge 180, la legge più libertaria al mondo in tema di assistenza al malato mentale, nelle conferenze che tenne in Brasile, tra le molte cose (ancora di straordinaria attualità), disse, citando Antonio Gramsci: “La nostra scienza parte da un dato fondamentale, che è la sconfitta del tecnico tradizionale, cioè di quel tecnico che pensa che non si può fare altro che questo, perché ha come ideologia il pessimismo della ragione. Il nuovo tecnico, invece, deve portare avanti il suo lavoro con l’ottimismo della pratica”. E anche: “Noi, psichiatri democratici, pur avendo stimolato la nuova legge, siamo una minoranza, ma, come direbbe Antonio Gramsci, siamo una minoranza egemonica … ma naturalmente dobbiamo essere molto vigili perché questa minoranza, una volta catturata, può diventare la nuova maggioranza riciclata”. Basterebbe ciò per eleggere Franco Basaglia a psichiatra gramsciano. Tuttavia, sul quotidiano fondato proprio da Gramsci, lo stesso quotidiano che Francesco Guccini, in Eskimo, celebrava con queste parole: “…alcuni audaci in tasca L’Unità…”, trovo uno strano articolo, davvero strano, che vuol essere una risposta al libro di Pier Aldo Rovatti, Restituire la soggettività, ma che soprattutto si propone di demolire la figura di Franco Basaglia.
Lo strano articolo sostiene che Rovatti, nel suo libro, si lagna del fatto che “nella stessa Trieste la maggior parte degli studenti non sa nulla” di Basaglia. Il tono denigratorio è evidente. Come dire, vedete, nessuno sa più niente. Questa storia è bella e dimenticata. Rovatti, invece, sta proprio denunciando la colpevole dimenticanza delle accademie che non si curano di restituire conoscenze minime su un passaggio cruciale della nostra storia. E proprio per questo nei suoi corsi cerca di stimolare un pensiero critico tra studenti che mai sono esposti a queste evidenze storiche, e per questo parla di Basaglia, di Foucault, di Sartre, di soggettività, delle parole della psichiatria. Sempre lo strano articolo sostiene, ancora, che Basaglia “viene ricordato nella storia per ciò che non ha fatto, cioè la legge 180, a cui non ha dato alcun contributo personale”. Ma questa non è certo una novità, dico io, perché lo sanno tutti, tutto il mondo è a conoscenza che il vero riformatore della psichiatria italiana non è stato l’ormai obliato Franco Basaglia, ma è invece questo psichiatra in straordinaria ascesa che risponde al nome di Massimo Fagioli. Lui sì psichiatra vero. Non Basaglia. Perché, sostiene lo strano articolo, “non è psichiatria il nesso tra libertà e malattia mentale, non è psichiatria dire che la follia è una condizione esistenziale”. Ai tempi di Basaglia, aggiunge ancora, non c’era alcuna “teoria della mente sana e patologica”, per fortuna, invece, “oggi si è cominciato a costruire una nuova psichiatria, che ha preso le mosse” (ma tu guarda un po’ che combinazione, meno male che con questo articolo ne siamo venuti a conoscenza, se no capace che non se ne accorgeva nessuno) “da un percorso iniziato da Massimo Fagioli nell’ospedale psichiatrico di Padova, accanto a Basaglia” (accanto a Basaglia!?), “con il rifiuto del manicomio lager e la ribellione alla psichiatria ufficiale”. Invece, prosegue lo strano articolo nella sua spericolata impresa, al limite della fantastoria, di fare di Fagioli un Basaglia e di Basaglia un Fagioli (ovvero del nano un gigante e del gigante un nano), “la prassi di Basaglia non ha prodotto nessuna teoria né ricerca”. Questo il succo dello strano articolo, e io ne volevo fare un commento pedissequo ma sono stufo e irritato da tanta insulsaggine, e interrompo qui il virgolettato. E’ giusto per darvi un’idea. Più che dell’ignoranza che dall’articolo trasuda, sono irritato del fatto che questo scritto abbia trovato spazio sul quotidiano che ancora ci ricorda di essere stato fondato da Antonio Gramsci. Ma poi, mi faccio due conti. Chi è che scrive questo strano articolo? Sarà di certo un seguace del più reazionario (ma per fortuna anche il più irrilevante) psichiatra italiano, colui che ritiene l’omosessualità una malattia, colui che ritiene (lombrosianamente) il folle intrinsecamente pericoloso, colui che ritiene il manicomio criminale un’esigenza imprescindibile. In questo in compagnia di Vittorino Andreoli, un altro grande, sotto questo profilo. Insomma, uno dei tanti tecnici tradizionali animati dal pessimismo della loro ragione, un neolombrosiano travestito da psicanalista sinistrorso, e ciò è coerente, perché pure il Lombroso era un socialista, reazionario ma socialista. E allora è tutto chiaro, tutto ovvio, tutto torna. Follow the money, mi dico. Il Fagioli è irrilevante. La sua sconclusionata graforrea si può permettere di pubblicarla solo la sua personale casa editrice (L’asino d’oro), il suo diario trova ospitalità solo nel suo settimanale (Left), e adesso perfino sul quotidiano che era gramsciano ma ha cambiato padrone (e indovinate chi è il nuovo padrone?) trovano spazio, in nome del pluralismo, strani articoli che trasudano reazione e nostalgia del manicomio.
A questo punto ripenso all’ingiustizia di una morte precoce, a soli cinquantasei anni, di un gigante come Franco Basaglia, e penso che sono passati trentatre anni dalla sua morte, e che se fosse vissuto qualche decennio in più avrebbe potuto o saputo cambiarla ancora questa psichiatria, lui che è stato il primo psichiatra al mondo, due secoli dopo la sua invenzione, a mettere fuori legge l’istituzione manicomiale. La legge 180 non è merito di Basaglia? Bah! Quest’affermazione è così originale che non credo meriti neppure una risposta. Io penso invece che Basagliaè biologicamente morto e Fagioli biologicamente vivo, e su questo almeno siamo tutti d’accordo, però se guardate bene vi accorgerete che Basaglia, in realtà, non è mai morto, e Fagioli non è mai stato vivo, perché è irrilevante, chiedete in Italia o nel resto del mondo chi è l’uno e chi è l’altro. Provate voi a mettere uno di fianco all’altro il pensiero, la prassi, e la ricaduta di questi due psichiatri sulla cultura e sull’assistenza del malato mentale, in Italia e nel mondo, e ditemi chi dei due è il gigante e chi il nano, chi dei due è Gulliver e chi un lillipuziano. Oppure provate a leggere un testo a caso dell’uno e dell’altro, e dopo averlo fatto giudicate voi a chi appartiene un pensiero lungo e a chi un pensiero miope e astruso. Ma poi, da psichiatra, ecco che arrivo a interpretare e comprendere il patetico tentativo che ogni tanto lo psicanalista neolombrosiano cerca di attuare: è il malinconico tentativo di un pianeta morto, lontano dal Sole, Plutone, per dire, o meglio, di un satellite di Plutone, freddo e sterile e arido, ai confini del sistema solare, che cerca di avvicinarsi al Sole per scaldarsi, per illuminarsi di un raggio di luce riflessa. E allora, dopo aver compreso ciò, divento più magnanimo e indulgente con Fagioli e i suoi sostenitori, per cui auguro loro buone feste e di continuare a giocare all’interpretazione dei sogni nella loro mesmerica assemblea collettiva, ma consiglio loro di lasciar perdere il tema della salute mentale, che quello è un argomento serio, troppo serio per affrontarlo con lo strumentario del pensiero lombrosiano.