di Anita Eusebi (pubblicato su Piazza Grande, febbraio 2015)
Sono le 22:30 di un sabato sera qualunque. Ma la compagnia non è una qualunque e neppure il luogo. Siamo davanti ai cancelli dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia a salutare i ragazzi del Laboratorio permanente di Teatro, curato all’interno dell’OPG da oltre dieci anni da Monica Franzoni, educatrice, attrice e regista. È l’orario del rientro. Come ogni sabato, hanno accompagnato la visita guidata al Museo di Storia della Psichiatria, presso l’ex ospedale psichiatrico San Lazzaro, con interpretazioni e monologhi teatrali dal sapore amaro della vita manicomiale di un tempo.
«Grazie della presenza», dice Adriano nel momento dell’abbraccio. Ha lo sguardo di chi conosce la sofferenza, di chi la vive ogni giorno e lotta per riavere indietro la dignità che gli spetta. Come lui Michele, Luca, Alessandro, Francesco, Alfred. Il progetto di laboratorio teatrale è parte importante del loro percorso rieducativo, è terapeutico, è basato sull’impegno, sulla responsabilità, sulla motivazione, sulla fiducia reciproca. Un progetto faticoso, che incontra spesso non poche difficoltà: economiche, culturali e burocratiche. Ma Monica ha le competenze, la forza e la grinta giuste per non lasciarsi sopraffare. «Dopo che ha lavorato con noi in OPG Monica va via sempre con un gran sorriso», afferma uno dei ragazzi.
Lo spettacolo che stanno portando in scena in questo periodo è Pitbull: Trieste a dicembre, Bologna a gennaio, Rimini a febbraio, Firenze a marzo. Raccontano con coraggio l’OPG attraverso la metafora del canile: le dure condizioni di vita quotidiana, le costrizioni che incattiviscono e non curano, la voglia di riscatto. Lo spettacolo offre un ampio spaccato di storie reali, vuole informare e sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso la denuncia e la testimonianza diretta da parte degli internati, si interroga sulle possibilità del loro reinserimento nella società, solleva questioni per trovare insieme risposte. «L’OPG è un sistema estremamente complesso, come le storie delle persone che ci sono dentro, come le diverse posizioni giuridiche e le problematiche di salute mentale», spiega Monica. C’è chi ha compiuto gravi crimini, ma la maggior parte sono persone che hanno avuto soltanto una vita sfortunata e sono finite in OPG sulla base di una normativa degli anni trenta, tuttora vigente, che fa della pericolosità l’altra faccia del disagio psichico.
Il Laboratorio Teatrale è dunque una finestra importante e necessaria di speranza e di ascolto per gli internati, nonché di contatto col mondo di fuori. Un mondo che ha bisogno più che mai di questo incontro, per non continuare ad affogare nei soliti e terribili pregiudizi. Da oggi la foto dell’OPG di Reggio Emilia assume contorni di significato diversi: dietro a finestre anonime ci sono storie che ora hanno un volto, uno sguardo, un sorriso.