Appunti per le iniziative:
- tenere sempre distinta la psichiatria intesa come branca della medicina dalla psichiatria intesa come assistenza a chi soffre di disturbi mentali. Non ci interessa discutere delle cause, dei nomi da dare ai disturbi (anche perché cambiano in continuazione come ben rappresenta la prossima edizione del manuale americano dei disturbi mentali -il DSM V- e come ci dicono le persone immigrate da paesi extracomunitari). Franco Basaglia quando affermava che bisognava “mettere tra parentesi la malattia”, non voleva dire che la malattia non esiste-come sostenevano i suoi oppositori, ma che bisognava occuparsi al meglio delle persone che stavano male;
- la psichiatria italiana ha sperimentato la scelta della chiusura degli ospedali psichiatrici e ha offerto risposte nelle comunità. Ma va ricordato che tutta l’organizzazione dell’assistenza sanitaria è oggi de-ospedalizzata: si pensi ai pazienti oncologici o con malattie cardiovascolari che sono continuamente assistiti dall’ospedale ma senza esservi ricoverati. Si può allora capire perché le cliniche private neuropsichiatriche premano per provvedimenti che impongano lunghe degenze in regime ospedaliero. Questo ci dice anche che le proposte di controriforma sono molto costose per le Regioni (i ricoveri ospedalieri sono costosi perché comportano presenza di personale sanitario qualificato 24 ore su 24). Da 30 anni l’assistenza psichiatrica italiana è integrata nei servizi di sanità pubblica, è un servizio che opera 24 ore su 24. per questo il ministro Fazio ha sostenuto giustamente che non c’è bisogno di cambiare la legge.
Le persone con disturbo mentale e le loro famiglie hanno comunque e sempre diritto a:
- ricevere cure adeguate , essere informate sui percorsi possibili ed essere protagonisti delle scelte terapeutiche;
- essere accolte in servizi accoglienti, ospitali, rispettosi della dignità del cittadino;
- continuità terapeutica anche tramite l’integrazione fra pubblico e privato nella declinazione dei percorsi dei trattamenti, specie nelle situazioni più gravi;
- sostegno attraverso l’auto-mutuo-aiuto;
- casa e lavoro;
- la presunzione della pericolosità sociale che la destra vuole reintrodurre espone i cittadini con disturbo mentale all’arbitrio di medici che sono sollecitati a liberarsi delle situazioni più impegnative e a scaricarle a un circuito a gestione manicomiale. In tale clima proprio le persone ( e le famiglie) che abbisognano di maggiore attenzione ed accompagnamento sarebbero indotte ad evitare di avvalersi dei servizi psichiatrici pubblici;
- l’Italia è appena stata sanzionata dal Consiglio d’Europa per la condizione non rispettosa della dignità della persona in cui versano le sue carceri, compresi gli opg, e le strutture di detenzione per gli immigrati;
- recenti drammatici fatti di cronaca nera hanno scatenato prese di posizione che se sono comprensibili sul piano dell’emotività, risultano sbagliate e devianti sul piano delle conclusioni operative. Le persone che hanno compiuto gravissimi delitti erano state lasciate sole non dalla psichiatria ma da comunità che non sono state in grado di offrire né solidarietà né controllo sociale. Per questo fare salute mentale significa non solo occuparsi di chi soffre di disturbi psichiatrici ma anche della qualità delle relazioni sociali e della vita sociale delle comunità a livello locale (prevenzione, lotta allo stigma, riabilitazione).
La situazione ( ISTAT 2004-06):
Manca un sistema informativo nazionale: vale a dire che nessuno a livello nazionale, e spesso a livello regionale conosce esattamente i problemi di ogni singolo Dsm e di ogni singola Regione.In Italia operano 190 Dipartimenti di salute mentale (manca nel Molise), con 31.000 operatori, 20 sistemi regionali. Centri di salute mentale di media 61 h settimanali – anziché 72; 1,5-2 operatori per 10.000 abitanti in Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Marche, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Sicilia; 3 su 10.000 a Trento, in Umbria, Campania.
80% Spdc con le porte chiuse; 85 non legano.
Rapporto 2009 dell’Università cattolica del Sacro Cuore
L’analisi dei dati di ospedalizzazione per disturbi psichici risulta in diminuzione a livello nazionale. Alcune eccezioni, a tale tendenza, si trovano nel Lazio (nel 2006 tassi superiori al 5% rispetto al 2002) e nella PA di Bolzano, dove l’incremento ha riguardato solo le donne. Relativamente alle ospedalizzazioni per sindromi psicotiche indotte da alcol e droghe, il trend nazionale è anche esso in diminuzione: i tassi specifici mostrano che i valori più alti si registrano nella fascia 35-54 anni. Il consumo dei farmaci antipsicotici è in diminuzione e ci sono forti differenze regionali difficilmente interpretabili, invece, per i farmaci antidepressivi.
L’elemento più grave e preoccupante in questa fase del lavoro politico-parlamentare è rappresentato dalla stupefacente, comprensibile rispetto a quanto documentato in precedenza, ignoranza dei problemi, delle esigenze, della stessa storia dei servizi di salute mentale mostrata dalle proposte di legge di modifica/abolizione della 180/78 sinora presentate nella legislatura in corso. È quindi questione decisiva la scelta dei modi con cui reagire con efficacia, per riuscire a far intendere le nostre ragioni in un contesto così inedito.
Innanzitutto si dovrebbe pretendere, chiedere, a chi interviene nella discussione di documentarsi e tenere in considerazione l’opinione dei pazienti “consumatori”, situazione per situazione, e in generale; quella delle famiglie, situazione per situazione, e in generale.
In secondo luogo bisognerebbe avere chiare le responsabilità degli amministratori regionali e locali, dei dirigenti delle Aziende sanitarie che in questi trent’anni sono stati titolari delle politiche per la salute mentale, hanno avuto a disposizione due progetti-obiettivo nazionali e, da ultimo, le indicazioni in materia di esecuzione dei t.s.o. licenziate dalla Conferenza Stato-Regioni- autonomie. Che ne hanno fatto?
E sul piano dell’iniziativa parlamentare bisognerebbe evidenziare scelte e responsabilità regionali e locali rispetto a quanto accade “sul campo”, compresi i cittadini morti legati come accaduto a Cagliari e Vallo di Lucania. La posizione della destra ricorda quanto verificatasi un paio di anni fa in alcune località del Ragusano nelle quali, a fronte dei danni provocati da mute di cani randagi, alcuni amministratori, che non avevano fatto nulla contro il randagismo, come invece avrebbero dovuto, protestarono la necessità di nuove leggi.
Non serve quindi elaborare proposte di legge da contrapporre a tesi così lontane dalla realtà delle cose perché vorrebbe dire riconoscere degne di interlocuzione assunti per alcuni versi del tutto demenziali. Ritengo invece utile e urgente ricercare da subito quanto più possibili interlocuzioni con tutti gli operatori dei servizi pubblici ( e le loro organizzazioni professionali e sindacali) che appaiono mortificati e in condizioni di grande disagio nelle singole Aziende sanitarie, ricacciati verso una “psichiatria difensiva” per tutelarsi dai rischi inerenti il loro lavoro. Gli operatori sono divisi e faticano a trovare linguaggi comuni per la grande diversità delle esperienze e dell’organizzazione del lavoro in quelli che sono andati ormai configurandosi come 21 servizi sanitari regionali autonomi.
Le proposte presentate si muovono tutte, esclusivamente, sulla questione del t.s.o. , l’unico punto di attacco che può pretendere di avere valore su tutto il territorio nazionale;
Il movimento riformatore ha sempre avuto presente che la questione dell’assistenza psichiatrica, e in specie nella sua declinazione come diritto alla salute mentale, è di interesse generale e non è riducibile a un fatto locale. Va riconosciuto con preoccupazione che il modo con cui è andato evolvendo il federalismo in Italia comporta una tendenza alla frammentazione e all’isolamento/separatezza delle singole esperienze. Per rispondere a tale grave evoluzione del fenomeno è necessario trovare un punto di interlocuzione istituzionale autorevole, riconosciuto da tutti coloro che hanno responsabilità politiche e gestionali: propongo che si concentri l’attenzione sulla Conferenza Stato-regioni- autonomie che ha anche di recente ha licenziato un importante documento che definisce procedure omogenee in materia di esecuzione del t.s.o.
Recenti vicende come quella del Comune di Milano (istituzione del tavolo della pericolosità sociale e proposizione di percorsi separati per gli utenti certificati “pericolosi” dai servi pubblici ), quella dello sgombero di Serra d’Aiello (e annesse delibere regionali che prevedono un nuovo grande internamento senza diritti e senza tutele- ma con molti affari, fra cui l’apertura del nuovo manicomio di Girifalco), quelle di pazienti morti legati nell’Spdc di Vallo di Lucania e di Cagliari e quelle delle condanne di operatori giudicati responsabili di reati compiuti da pazienti loro affidati (tema della sovrapposizione di cura e di custodia), ci dicono della necessità di argomentare in modo utile, tale da farci intendere, ricercando e costruendo terreni di iniziative comuni con tutte le persone disposte ad ascoltarci, in primis operatori, famiglie, pazienti e amministratori locali;
A me pare che l’aspetto da porre al centro di una riflessione il più possibile comune sia quello della facilitazione, della coltivazione e della promozione della confidenza nelle relazioni fra servizi pubblici e utenti ( e viceversa), vera pre-condizione perché si possa parlare di salute mentale. Anche perché, come ha scritto di recente Eugenio Borgna, una psichiatria che si affida solo agli psicofarmaci è una psichiatria senz’anima e senza speranza nell’uomo
Bisogna fare il possibile per evitare che si vada (ritorni) verso una psichiatria di manicomi, contenzioni, coazioni affidata a medici demiurghi. Devono inoltre avere ben presente tutti, specie gli operatori medici, infermieri, educatori professionali, che se dovesse passare la reintroduzione della pericolosità sociale e dell’obbligo della custodia , nei, si noti bene, soli servizi pubblici, l’assistenza psichiatrica pubblica finirà coll’essere espulsa dalla rete degli altri servizi sanitari e ricacciata nei circuiti marginali e separati da cui proveniva.
Quindi ribadire, in sintonia con quanto affermato di recente dal ministro Fazio che non vi è
nessun bisogno di riforma della legge,
ma di monitorare costantemente la rete dei servizi pubblici e privati accreditati, di perseguire una omogeneità di offerta su tutto il territorio nazionale, di confermare che gli operatori dei Dsm hanno solo responsabilità in ordine a diagnosi, cura e riabilitazione, non alla custodia e nemmeno a svolgere funzioni di “psicopolizia”.
Un obiettivo da proporre dovrebbe essere, per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, un nuovo p.o. nazionale adeguatamente finanziato che abbia come riferimento i LEA e la libertà di scelta, nonché l’organizzazione della Conferenza nazionale per la salute mentale, riprendendo un lavoro avviato la scorsa legislatura.
di Luigi Benevelli
1 Comment
da Orizzonti Venezia: in effetti,fare progetti senza sentire chi i servizi di salute mentale li vive o li ha vissuti, ha poco senso. Ugualmente, avere un meraviglioso progetto obiettivo nazionale, ma inapplicato in alcune zone… il veneto va sempre più verso un modello “psicofarmacocentrico”, con comunità terapeutiche a lunghissima degenza…