BRUSEGANA (PD) – Li avevano dati per spacciati, irrecuperabili, condannati ad essere imbottiti di psicofarmaci per non fare danni, a sé e agli altri. Ed invece gli ospiti del “Centro disabili psichici gravissimi” a Brusegana hanno ripreso in mano le loro vite, con l’aiuto del dottor Paolo Paolucci, chiamato ad occuparsi di questi malati mentali “residuali” una decina di anni fa. Era il 2000. «Conoscevo già la struttura da chirurgo, mi chiamavano quando c’era da ricucire qualche ferita provocata da violenti attacchi di autolesionismo – racconta Paolucci – Concluso il mio mandato di presidente vicario della Quinta commissione regionale, ho chiesto di rimettermi al lavoro nel settore più impegnativo possibile. E ho trovato pane per i miei denti».
Nominato dall’Usl direttore del Centro allestito nell’ex ospedale psichiatrico ai Colli, ha preso in cura una ventina di pazienti: «Erano in condizioni pietose, isolati dal resto del mondo. Nelle loro cartelle cliniche venivano prescritti anche dieci psicofarmaci al giorno, indicati nel corso degli anni da diversi medici e psichiatri senza che nessuno osasse sostituire quanto scelto dal collega che lo aveva preceduto. E così molti farmaci erano in pericoloso contrasto tra loro, oppure l’uno annullava l’effetto dell’altro». Paolucci decise di fare piazza pulita e ripartì da zero con la monoterapia, continuamente monitorata e pronta ad essere sospesa se non funzionava: «Oggi alcuni dei miei ragazzi – così li chiama anche se l’età media va dai 30 ai 50 anni – assume un solo farmaco o addirittura non ne prende: l’obiettivo è quello di capire quanto hanno bisogno di me e di raggiungere un equilibrio psicofisico compatibile con un accettabile programma di vita».
La seconda carta vincente giocata da Paolucci, forte di quasi undici anni di lavoro, è la sostituzione dei farmaci con terapie supplementari. «Qui abbiamo introdotto per primi la pet-therapy. Otteniamo ottimi risultati anche con la musicoterapia, il movimento in acqua, le terapie psicocorporee che possano dare finalmente una sensazione di accettazione di un corpo visto prima come un nemico». Affiancato da un’èquipe di colleghi di psichiatria, neuropsichiatria infantile e medicina di base, più sette infermieri professionali di prim’ordine, Paolucci ha scoperto tra i suoi ragazzi risorse prima insospettabili: c’è chi era dato per muto e ha ricominciato a parlare, chi sa l’inglese, chi scrive poesie.
Approvate dai familiari e sostenute dall’Usl, le attività rivoluzionarie del Centro disabili psichici gravissimi sono le più diverse: alcuni pazienti vanno in vacanza negli ostelli della gioventù in Toscana (dove i centri storici sono chiusi al traffico), altri vengono portati al mercato in piazza, altri ancora affrontano soprattutto problemi di motricità con la pesca sportiva. «È fondamentale che nessuno sia stordito dagli psicofarmaci – conclude Paolucci – e gli operatori devono saper valutare il lavoro svolto mettendosi a confronto con chi si occuperà di questi ragazzi dopo di loro. È il paziente a dover essere al centro della struttura e non viceversa».
CATERINA CISOTTO
da IL GAZZETTINO, Lunedì 18 Aprile 2011.