Molti operatori, persone con l’esperienza, familiari e cittadini interessati chiedono informazioni sulla questione degli OPG, della perizia, della misura di sicurezza, della pericolosità. È un po’ che il dibattito sulla questione si è indebolito. Il forum decide di ricominciare a parlarne riproponendo alcuni brevi testi che siano in grado di rendere più comprensibile un argomento e un dibattito che abbiamo visto quanto mai difficile da sostenere.
La psichiatria criminale italiana, oltre che in netta contraddizione con taluni articoli della nostra Costituzione, risulta oggi completamente estranea alla riforma del 1978. I suoi presupposti giuridici appartengono del resto ancora al codice penale Rocco, stilato nel 1930, in pieno clima fascista. Soffermiamoci brevemente sui passaggi cruciali. Nel nostro paese, chiunque commetta un reato è considerato punibile se al momento del fatto era in possesso delle capacità d’intendere e di volere. Nel caso di persona affetta da disturbo mentale, tale capacità può risultare del tutto assente o scemata in relazione al riconoscimento della cosiddetta ‘infermità mentale’ o totale o parziale al momento del gesto-reato, (articoli 88 e 89 del codice penale). In tali casi, il giudice ordina una perizia psichiatrica con lo scopo di stabilire se il soggetto fosse o meno in grado d’intendere e di volere al momento del fatto. Nell’evenienza in cui venga dichiarato non in possesso di tali capacità, viene automaticamente considerato non imputabile e pertanto prosciolto. Il proscioglimento è una sentenza emessa in fase istruttoria e finalizzata a svincolare il soggetto autore di reato dall’iter processuale. Con un determinismo assai arcaico e infondato, tale proscioglimento per non imputabilità viene immediatamente letto quale ‘pericolosità sociale’ del soggetto, il quale necessita, pertanto, di un internamento in manicomio criminale, a titolo di misura di sicurezza. Quest’ultima può essere più volte rinnovata se una perizia psichiatrica attesti la non cessata pericolosità della persona.
Oggi sempre più intellettuali, giuristi, psichiatri, politici ed opinionisti d’ogni sorta stanno esprimendosi sull’incostituzionalità dell’ospedale psichiatrico giudiziario e delle procedure giuridiche che ne regolano l’internamento. Si contesta il concetto di ‘pericolosità sociale’, come attributo naturale, mai messo in relazione al contesto in cui la persona vive. Si polemizza contro il proscioglimento per infermità mentale che priva la persona di tutti i diritti giuridici minimi previsti (processo, difesa, pena certa). In questo modo infatti è come se il disturbo mentale avesse sovradeterminato e condizionato gli atti della persona, che sono pertanto già considerati in partenza come frutto della malattia, conseguenze di essa. Contrariamente a ciò, si chiede che la persona rea, affetta da disagio mentale o meno, sia portata in giudizio e resa passibile di tutte le procedure previste, in modo tale che la malattia non sia considerata strettamente connessa al reato e viceversa: la psichiatria si occupi della malattia, la giurisprudenza delle azioni criminose!
Su questa linea di pensiero, due sentenze della Corte Costituzionale, la n. 253/2003 e la n. 367/2004, hanno individuato un oneroso fattore d’incostituzionalità nell’automatico legame tra la dichiarazione di pericolosità sociale e il ricovero in OPG. L’illegalità di tale procedura andrebbe riscontrata nella privazione dei diritti giuridici normalmente riservati alla persona e soprattutto nell’assenza di misure alternative e diverse dal ricovero in OPG. Se, come vuole la 180, le cure psichiatriche ai cittadini devono essere erogate in un contesto territoriale, così deve accadere anche per i soggetti autori di reato affetti da disagio psichiatrico. Non è più possibile giustificare l’internamento in OPG e la conseguente privazione di libertà con la maschera della pericolosità sociale. È ormai fin troppo chiaro che il vero problema risulta essere la mancanza di sostitutive risposte territoriali in grado di offrire un percorso terapeutico intensivo, fino ad una presa in carico 24 ore su 24 e un accompagnamento continuativo. È davvero problematica e imbarazzante l’incapacità delle politiche locali di salute mentale di farsi concretamente carico di queste persone.
(tratto da “Una via d’uscita. Per una critica della pericolosità sociale e della misura di sicurezza. L’esperienza dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario nello Stato di Minas Gerais”di Virgílio de Mattos, introduzione di Ernesto Venturini. In uscita per la collana 180 archivio critico della salute mentale, edizioni AB Verlag – vedi scheda)