Il 1 aprile del 2008 un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri trasferisce le funzioni sanitarie degli istituti penitenziari dal ministero di Giustizia a quello della Salute. A prendersi in carico i cittadini internati negli ospedali psichiatrici giudiziari è da questo momento il Servizio sanitario nazionale. Ovvero le Regioni, le Asl, i Dsm. I pazienti psichiatrici imputati o giudicati colpevoli di reato, afferma il decreto, devono essere accolti in spazi dedicati, prima che alla custodia, alla cura e alla riabilitazione: l’obiettivo è riportarli nella società, sostenendoli con progetti terapeutici e accompagnamento fuori dall’Opg. E per raggiungere lo scopo, sottolinea ancora il legislatore, la dimensione più adeguata è quella locale.
Nelle sue linee di indirizzo il decreto chiarisce le tappe da percorrere: dimettere qanti abbiano concluso la misura di sicurezza; territorializzare l’internamento, destinando i pazienti nelle strutture più vicine alle proprie regioni; e infine, entro due anni, riportare i cittadini nelle regioni di residenza.
I due anni sono passati e in questa fine di 2010 cerchiamo capire qual è oggi lo stato dell’arte in Toscana, che a Montelupo Fiorentino ospita uno dei sei Opg italiani. Ne parliamo con Galileo Guidi, responsabile della Commissione regionale per il governo clinico della salute mentale istituita nel 2005, al cui interno è stato affrontato il problema degli Opg. Prima e dopo il decreto del 2008.
“In Toscana la discussione intorno agli Opg viene da lontano, anche se fino al Dpcm del 2008 i poteri di intervento sono stati limitati – ci spiega Guidi. – Negli anni Novanta i consigli regionali della Toscana e dell’Emilia Romagna presentarono una proposta di legge congiunta per il superamento dell’Opg e nel 2005 abbiamo varato una legge regionale per il diritto alla salute negli istituti penitenziari.”
Qual è l’eredità di questa prima fase?
A partire dal 2005 la Toscana si è impegnata a proporre un’alternativa all’Opg. Abbiamo suddiviso la regione in tre Aree vaste e progettato per ognuna di queste una struttura destinata ai cittadini toscani internati negli Opg. Due strutture sono già state realizzate, per la terza siamo in attesa dei finanziamenti. Pur garantendo il regime di sicurezza, sono realtà prettamente sanitarie: all’interno vi operano le figure classiche della riabilitazione psichiatrica, educatori, infermieri… La polizia garantisce solo la sicurezza all’esterno.
E sull’attuazione del Dpcm del 2008 a che punto siete?
Nella prima fase le linee di indirizzo prevedono la dimissione dei pazienti che abbiano terminato la misura di sicurezza. Dal nostro ultimo censimento, i dati sono del 1 novembre 2010, ci risultano 58 cittadini toscani internati a Montelupo e altri 4-5 negli Opg italiani. Di quei 58, riteniamo che almeno 14 potrebbero stare fuori: sono i pazienti la cui pericolosità non è mai stata rivisitata per mancanza di progetti all’esterno o in condizioni cliniche idonee.
Per questi 14 abbiamo messo a punto un progetto finanziato con 300.000 euro di fondi regionali. Attualmente stiamo riabilitando i pazienti all’uscita, ma siamo ancora all’interno dell’Opg, dove abbiamo sviluppato per ognuno un progetto individualizzato, attivando dei laboratori che li preparino a lasciare l’Opg.
Questi pazienti saranno dimessi in una delle tre strutture di Area vasta, ma stiamo pensando anche ad altre soluzioni: appartamenti o residenze di tipo comunitario senza necessità di vigilanza. Giudicheremo caso per caso, a seconda dei risultati raggiunti con la riabilitazione.
Il decreto prevede anche il coordinamento fra regioni vicine…
Sì, siamo impegnati anche in un lavoro di bacino per attuare la “regionalizzazione spinta” prevista dal decreto, ovvero la presa in carico degli internati da parte delle proprie Asl. Insieme a Liguria, Sardegna e Umbria, che compongono il bacino interregionale in cui rientra la Toscana, ci stiamo coordinando per individuare le strutture adatte ai pazienti con esigenze di sicurezza e realizzare una rete di strutture e servizi in ogni regione. Questa attività di confronto è la più interessante: possiamo mettere a frutto l’esperienza toscana, che ci insegna come cinquanta pazienti possano essere gestiti in modo più civile, umano e clinicamente accettabile che non dentro gli attuali Opg.
Prima delle “regionalizzazione spinta”, il decreto prevede di redistribuire i pazienti negli Opg più vicini al luogo di residenza. Questo passaggio in Toscana è avvenuto?
Non del tutto. A Montelupo ci sono circa 180 pazienti, di cui 58 appunto toscani. Gli altri arrivano dalle regioni del bacino, ma anche dal resto d’Italia. Il processo è ancora in corso. Da una parte, infatti, la deportazione è problematica: il trasferimento all’Opg di pertinenza deve essere frutto di un processo, non di un’ordinanza. Dall’altra, rimane aperto il problema di regioni come il Lazio e la Lombardia, con un alto numero di pazienti internati e Opg non adeguati ad accoglierli.
Altre criticità?
Ci sono ancora difficoltà logistiche da risolvere nel passaggio di competenze al Servizio sanitario nazionale. Il decreto attribuisce alla regione le funzioni sanitarie, ma lascia all’interno dell’Opg quelle amministrative e carcerarie. Integrare i due sistemi non è semplice. E poi ci sono i ritardi dovuti al transito del personale da un sistema all’altro. Per esempio, a Montelupo gli psicologi ancora non sono transitati: che in una realtà come un ospedale psichiatrico gli psicologi del sistema carcerario non siano ancora passati al sistema sanitario crea problemi evidenti.
La questione cruciale però sono le risorse: i fondi previsti dalle finanziarie 2008 e 2009 per favorire il dimissionamento degli internati non sono ancora pervenuti alle regioni. Noi abbiamo tirato fuori 300.000 euro dalle casse regionali, ma per poter procedere abbiamo bisogno di risorse. Il problema è ancora più urgente per i piani di bacino: realizzare strutture alternative agli Opg costa. Le regioni che, a differenza della Toscana, non hanno i mezzi per dotarsi di strutture intermedie tengono i pazienti negli Opg: tirarli fuori è necessario ed eticamente doveroso, ma ha dei costi importanti. Sarebbe bene ricordarselo.
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Vorrei conoscere il rapporto tra art. 209 c.p. e licenza finale di esperimento.