Questa è la storia della nascita della prima Associazione italiana creata da e per i figli di
genitori con un disturbo mentale.
Quando ho iniziato a scrivere “La Trappola del Fuorigioco” – un romanzo che racconta il
tormentato rapporto tra un figlio e suo padre che vive l’esperienza del disturbo mentale –
mi è stato subito ben chiaro che quello che volevo non era scrivere la mia storia, un
qualcosa che potesse cioè essere rimandato a un dato autobiografico, esclusivamente
mio. La mia intenzione era piuttosto quella di raccontare una delle tante possibili relazioni
che possono nascere, crescere e trasformarsi all’ombra di una condizione di grande
disagi. Usare la finzione per riuscire a descrivere con maggior precisione la realtà.
Per rendere questa cosa possibile, mi sono reso conto che – arrivato a quasi cinquant'anni
– non avevo mai condiviso la mia esperienza con persone che l’avevano a loro volta
vissuta. Certo, ne avevo parlato con i miei familiari, con mio fratello e mia sorella. E poi,
tante altre volte, nelle mie sedute di psicoterapia e con le partner importanti della mia vita.
Quello che però ignoravo totalmente, erano i racconti di altre persone come me: qualcosa
capace di riportare quell’unicità che sentivo nella mia storia personale all’interno di un
quadro che contemplasse anche il mondo al di fuori della mia famiglia.
In questa attività di ricerca, mi sono accorto che erano tantissimi i gruppi sui social
composti da persone che si radunavano intorno ai temi della salute mentale, tutti più o
meno contraddistinti però da quel clima di facile polemica che su facebook impiega
secondi a trasformarsi in crociata. Finché, con mia ammirata sorpresa, ne ho scoperto uno
rivolto esclusivamente ai figli di pazienti psichiatrici (questa la denominazione all’epoca,
circa sei anni fa) che era amministrato dalla sua organizzatrice con impeccabile e decisa
sensibilità, sempre accogliente ma anche improntata ad un tono pratico ed efficace,
capace di spegnere i contrasti sul nascere e far crescere una serie di discussioni
estremamente sincere, oneste e costruttive intorno a temi che spaziavano dall’ auto-aiuto e
mutuo supporto fino alla gestione di pratiche burocratiche e consigli su strutture e organi
amministrativi di riferimento.
La stesura del mio romanzo è andata avanti di pari passo alla mia frequentazione di
questo gruppo, al punto da meritarsi – il gruppo, la fondatrice e tutti i partecipanti – un
ringraziamento speciale in coda al romanzo.
L’ incipit, ad esempio, che della stesura definitiva è stata l’ultima parte che ho scritto, nasce
dalla scoperta (e dal bisogno di raccontarla) di quanto e come il senso di colpa sia
un’esperienza che contraddistingue il vissuto di tutti noi: una sensazione di inadeguatezza
e costante responsabilità che sembra essere il dato comune nel vissuto di ciascuno di noi.
E che certo io, dalla mia prospettiva, sapevo riconoscere e dovevo raccontare.
Quando poi il libro è uscito – grazie alla fiducia di Peppe Dell’Acqua e di Aldo Mazza,
l’editore che con la sua Alphabeta Verlag ospita e pubblica la Collana 180 – il senso
dell’operazione si è fatto ancora più evidente: nel giro di presentazioni oltre agli inviti di
librerie e Festival arrivavano spesso richieste da DSM e associazioni di parenti, che però
erano sempre formati da genitori e/o mogli e mariti. Dalla prospettiva dei figli, la storia non
era stata mai raccontata. E forse per questo motivo, non c’era nessuno ad ascoltare –
men che meno a rappresentare – i figli: né durante l’infanzia e l’adolescenza, quando la
vulnerabilità è al suo massimo grado, né tanto meno in età adulta, quando molti di noi si
ritrovano a fare i conti con gli strascichi e i contraccolpi del proprio vissuto.
L’associazione COMIP, almeno nella mia personale esperienza, nasce da qui: dall’incontro
– inizialmente solo virtuale – con una realtà fatta di persone reali, tra le quali Stefania
Buoni – la vulcanica ideatrice ed amministratrice del gruppo dedicato ai figli –, Gaia Cusini,
Marco Fiore e tante altre persone accomunate dalla sensibilità verso questa tematica. Ma,
soprattutto, dal’incontro con una pratica di condivisione che si è rivelata la modalità più
efficace nella gestione di quella che è l’eredità del mio passato e le decisioni del mio
presente. Per cui, quando Stefania mi ha chiesto di fare attivamente parte della neonata
associazione come segretario, ho pensato che fosse l’ultimo, necessario, piccolo grande
passo in avanti di un cammino che ho intrapreso cinquant’anni fa, guardando mio padre
distruggere senza motivo il mio giocattolo preferito nel corso del suo esordio psicotico.
Il cammino è ancora lungo, ma il team è quanto di più stimolante si possa immaginare:
persone diverse con età diverse e vissuti diversi, che vivono sparpagliate in tutt’Italia e di
cui – dalla mia prospettiva – si percepiscono energie e capacità di resilienza sufficienti a
sconfiggere qualunque mostro.
Il sito web dell’associazione COMIP:
http://www.comip-italia.org
La Pagina Facebook di COMIP:
https://www.facebook.com/comip.italia/