di Luigi Benevelli.
Note sulla deliberazione X/1981 del 20.06.2014 della Giunta regionale lombarda “Rimodulazione del programma di utilizzo delle risorse […] per la realizzazione di strutture sanitarie extraospedaliere per il superamento degli OPG”.
La legge 81/2014
Dopo la approvazione nel 1978 della riforma dell’assistenza psichiatrica pubblica, alcune centinaia di uomini e alcune decine di donne hanno continuato a popolare gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani in ragione del Codice Rocco, per quanto modificato dalle sentenze della Corte Costituzionale che si sono susseguite negli ultimi 50 anni.
La denuncia da parte del sen. Ignazio Marino dello”scandalo” degli opg e delle condizioni in cui versavano e versano le persone internate ha prodotto la proposta di costruire, Regione per Regione, spazi dedicati ai pazienti con diagnosi psichiatrica autori di reato e non imputabili, le cosiddette REMS, con un numero di posti letto equivalenti a quelle degli opg da chiudere. Sia l’establishment psichiatrico che quello della Magistratura di sorveglianza hanno condiviso la proposta delle REMS.
Quando la discussione in Parlamento per l’approvazione del Decreto legge 52/2014 di proroga dei termini per la chiusura degli opg ha prodotto modifiche e correttivi al testo uscito dal Governo si sono sollevati grandi allarmi in parte degli operatori dell’assistenza psichiatrica e della giustizia. Appare evidente che la “rivolta” in corso esprime l’accumulo di un groppo di malesseri, risentimenti, “magoni” accumulatisi in 50 anni di storia dell’assistenza psichiatrica pubblica italiana.
Le novità del Decreto 52/2014 convertito nella legge 8/2014 il 28 maggio scorso :
- Verifica e commissariamento. Tra sei mesi ci sarà la verifica (Ministeri Salute e Giustizia e Comitato paritetico interistituzionale OPG) sull’attuazione da parte delle Regioni delle nuove norme. I programmi regionali devono mostrare che entro il 31 marzo 2015 gli OPG saranno effettivamente chiusi. Altrimenti scatterà il commissariamento per le regioni inadempienti.
- Le Regioni rivedono i programmi Rems già adottati a favore dei Servizi di salute mentale. Dati i tempi stretti, è previsto che le Regioni possano rivedere i programmi sulle Rems, riducendo i posti e re-investendo i finanziamenti per potenziare i servizi di salute mentale. Le Rems, se le nuove norme sono applicate correttamente, diventerebbero una soluzione “residuale”, dato che le nuove disposizioni privilegiano le misure alternative all’internamento e quelle relative alla pericolosità sociale. Quindi anche le Regioni devono/possono rivedere i loro programmi.
- Obbligo dei programmi di dimissione. Entro 45 giorni dall’approvazione della legge, le Regioni devono trasmettere a Governo e a Magistratura i programmi di dimissione degli internati in OPG al 1.4.201 motivando le ragioni che dovessero impedirle.
- Di norma si adottano misure alternative all’internamento. Il giudice, anche quello di sorveglianza, adotta misure alternative al ricovero in OPG, salvo eccezion[1], anche per misure provvisorie e per dimissioni. Perciò è utile e importante che Regioni (Asl e loro servizi) e Magistratura stabiliscano protocolli di collaborazione.
- Non è attribuibile la pericolosità sociale alla persona emarginata o lasciata senza cure. Le condizioni economico sociali dell’individuo e la mancanza del progetto terapeutico individuale non possono più motivare la pericolosità sociale e quindi l’internamento, e non giustificano più proroghe della misura di sicurezza. Oggi invece un malato proprio perché è senza cure e abbandonato dai servizi può essere valutato socialmente pericoloso. Lo stesso spesso accade ad un malato povero, emarginato, senza casa che può diventare, per questa ragione, socialmente pericoloso e può finire in OPG. Non dovrà più succedere che l’internamento in OPG e le proroghe della misura di sicurezza si adottino per carenze di assistenza comunitaria o individuale sul territorio o per la condizione di svantaggio sociale della persona.
- Limite alla durata della misura di sicurezza- Stop agli “ergeastoli bianchi”. La durata massima della misura di sicurezza non può essere superiore a quella della pena per il corrispondente reato (massimo edittale). Altro limite alle proroghe e stop ai cosiddetti “ergastoli bianchi”.
- Istituzione del tavolo monitoraggio opg. Entro 30 giorni dall’approvazione della Legge, viene istituito un Tavolo per il superamento degli OPG, che relaziona al Parlamento.
Così il faticoso processo del superamento degli OPG è fatto rientrare nei binari della legge 180, che chiudendo i manicomi restituì dignità, diritti e speranze a tante persone. E come per la legge 180, ora bisognerà applicare ovunque le nuove norme: perciò il “fronte della mobilitazione” si sposta nelle regioni e nei territori e riguarda il diritto alla salute mentale di tutte e di tutti.
In assenza della riforma del Codice penale, si tratta di un passo importante, ma non ultimo, per mettere la fine al manicomio, di una transizione della quale potranno essere protagonisti psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali, educatori professionali, operatori della cooperazione sociale insieme alle persone con diagnosi psichiatrica autrici di reato, alle loro famiglie e comunità di riferimento. Gli operatori dei Dipartimenti di salute mentale non possono né devono svolgere compiti di custodia nei servizi territoriali, negli Spdc, ma, invece, costruire insieme alle persone loro affidate dalla Magistratura progetti personalizzati di salute. Gli operatori dei Dipartimenti di salute mentale, chiamati ad agire con prudenza, perizia e diligenza, non possono essere caricati della responsabilità di eventuali ulteriori crimini, come avviene per le persone che non soffrono di disturbi mentali. Va detto questo con chiarezza.
La Carta per il superamento delle logiche manicomiali
In queste settimane le maggiori associazioni professionali degli psichiatri italiani, insieme ad alcune associazioni di utenti, famigliari e operatori non-medici, hanno sottoscritto una Carta per il superamento delle logiche manicomiali. Dal titolo si evidenzia l’allarme per lo scivolamento dei servizi di assistenza psichiatrica pubblica italiani verso stili e culture neomanicomiali attribuiti al Decreto legge 52/2014, non tanto nella versione licenziata dal Governo, quanto in quella emendata e approvata dalla Camera in via definitiva il 28 maggio scorso. In particolare, si denuncia che non sarebbe garantita la valutazione multiprofessionale da cui dipende la possibilità di percorsi differenziali, attenti e rispettosi della specificità delle singole situazioni (psicopatologiche?), della declinazione delle stesse nelle vite di soggetti autori di reato, non imputabili in quanto “incapaci di intendere e di volere”. La conseguenza temuta è che sui Dipartimenti di salute mentale (Dsm) si scaricherebbero vite e situazioni psicopatologiche che potrebbero meglio essere gestite da Sert, Noa, servizi che si occupano di persone con deficit cognitivo, con esclusione dei soggetti a forte attitudine criminale non imputabili ex articolo 88 Codice penale.
Chiusi i manicomi pubblici quindici anni fa, le Regioni si sono dati assetti organizzativi, gestionali assai diversi: ad esempio, in Lombardia, Dsm, Sert, Noa, servizi per disabili psichici appartengono ad aziende fra loro diverse; i servizi per la salute mentale dell’infanzia e dell’età evolutiva possono gravitare sulla Pediatria piuttosto che sul Dsm, la psicogeriatria non ha ancora una precisa collocazione fra Geriatria, Neurologia, Dsm. Per dire che nel tempo post-manicomiale, per ragioni varie, spesso meri interessi di bottega, molti steccati sono stati eretti fra squadre di operatori che pure hanno ( o dovrebbero avere) come scopo comune la promozione della “salute mentale” delle persone con problema e della popolazione. La realtà è che la chiusura degli opg come proposta dalla legge 81/2014 ha sconvolto le acque dello stagno dell’assistenza psichiatrica pubblica italiana che non si attendeva di essere chiamata bruscamente in causa e responsabilizzata nella contrattazione e predisposizione di percorsi alternativi all’internamento, nella “presa in carico”, che è qualcosa di diverso dal formulare una diagnosi, sia pure “collegiale”. Ne è controprova che i firmatari dell’appello non si sono altrettanto scandalizzati sulla proposta di rinchiudere nelle Rems tutti gli internati in opg, al posto dell’opg.
In questi 15 anni, a livello mondiale e nazionale, sulla base delle esperienze di superamento del manicomio, la comunità scientifica degli esperti della salute mentale ha lavorato e prodotto molte novità. Fra gli atti e le norme cito l’International Classification of functioning, disability and health (OMS, 2001) che ribaltando le impostazioni della precedente International Classification of Impaairments, Handicap, Diseases (1980), ha integrato il “modello medico” con il “modello sociale” della disabilità fornendo una nuova prospettiva alle dimensioni della salute.
Nella psichiatria manicomiale non era necessario un lavoro comune fra staff curante e persona con diagnosi psichiatrica in ragione delle presunte “pericolosità sociale” e “incapacità di intendere e di volere” di quest’ultima, e perché la diagnosi di malattia mentale assegnava automaticamente a un destino di vita senza libertà e diritti. Che termini come “incapacità di intendere e di volere” tornino, senza critiche, nella Carta per il superamento delle logiche manicomiali in un documento che si vuole “antimanicomiale” è preoccupante perché mostra l’ignoranza , comunque la sottovalutazione, delle nuove e diverse declinazioni sperimentate nelle relazioni di cura, aiuto, accompagnamento e codificate ad esempio nella Legge 9 gennaio 2004 n. 6 per l’Amministratore di sostegno, che ha modificato il Codice Civile, consentendo di superare le figure del tutore e del curatore.
Ancora il Progetto obiettivo nazionale tutela della salute mentale 1998-2000 (Dpr 10 novembre 1999) affermava che era necessario “ dare, nell’arco del triennio, priorità ad interventi di prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi mentali gravi, da cui possono derivare disabilità tali da compromettere l’autonomia e l’esercizio dei diritti di cittadinanza, con alto rischio di cronicizzazione e di emarginazione sociale”. A questo fine occorreva:
- assicurare la presa in carico e la risposta ai bisogni di tutte le persone malate o comunque portatrici di una domanda di intervento;
- attuare, tramite specifici protocolli di collaborazione fra i servizi per l’età evolutiva e per l’età adulta, interventi di prevenzione mirati alla individuazione nella popolazione giovanile, soprattutto adolescenziale, dei soggetti, delle colture e dei contesti a rischio, con lo scopo di contenere e ridurre evoluzioni più gravemente disabilitanti.
Tutto questo in collaborazione con le associazioni dei familiari e di volontariato, con i medici di medicina generale e con gli altri servizi sanitari e sociali; con la formulazione di piani terapeutico-preventivi o terapeutico-riabilitativi personalizzati, con assegnazione di responsabilità precise e di precise scadenze di verifica; l’integrazione in tali piani dell’apporto di altri servizi sanitari, dei medici di medicina generale, dei servizi socio assistenziali e di altre risorse del territorio, in particolare per quanto riguarda le attività lavorative, l’abitare e i cosiddetti beni relazionali (produzione di relazioni affettive e sociali); il coinvolgimento delle famiglie nella formulazione e nella attuazione del piano terapeutico; il sostegno alla nascita e al funzionamento di gruppi di mutuo-aiuto di familiari e di pazienti e di cooperative sociali, specie di quelle con finalità di inserimento lavorativo; l’effettuazione di iniziative di informazione, rivolte alla popolazione generale, sui disturbi mentali gravi, con lo scopo di diminuire i pregiudizi e diffondere atteggiamenti di maggiore solidarietà.
Ho citato leggi e norme di programmazione in vigore e che dovrebbero essere ben note ai professionisti della salute mentale e che costituiscono i riferimenti della legge 81/2014. Vi è quindi un evidente problema di trasmissione della storia dell’assistenza psichiatrica pubblica e dell’evolversi delle norme relative. Vi è quindi un evidente problema di trasmissione della storia dell’assistenza psichiatrica pubblica e dell’evolversi delle norme relative.
Che si tratti di una questione dura, che le indicazioni e le norme innovative siano difficili da applicare lo mostra quanto dichiarato dal dr. Sebastiano Ardita nell’audizione presso la XII Commissione Sanità del Senato ancora il 18 gennaio 2006:
Nella realtà complessiva dei sei ospedali, che conta all’incirca 1.500 presenze, vi e` il problema di come gestire il dopo. Il progetto individuale di trattamento, che nel caso specifico e` volto non soltanto a fronteggiare le problematiche di natura psichiatrica, ma anche a trovare una collocazione nel contesto di ritorno alla vita normale e alla vita sociale, risente di un problema rilevante: in certe circostanze per l’oggettiva situazione di disagio e abbandono in cui si trovano queste persone e` difficile trovare una collocazione sul territorio.
Questa circostanza, al di fuori di possibili diverse letture, comporta una replica della «condizione contenitiva» del luogo di cura psichiatrico, sia pure intendendo questo luogo come posto in cui si viene rinchiusi per scontare una misura di sicurezza. Di fatto, un soggetto che si trova in un ospedale psichiatrico giudiziario e ivi sottoposto a misure di sicurezza – che come sapete sono un provvedimento a termine – nel momento in cui viene dimesso deve fare i conti con la disponibilità nel territorio di un eventuale nucleo familiare o sociale in grado di accoglierlo.
In più circostanze e` accaduto – fatto da noi più volte denunciato – che soggetti che non erano in condizione di essere accolti all’esterno abbiano finito per vedersi prorogare le misure di sicurezza. Infatti, rispetto alla condizione di «pericolosità sociale», il fatto di non avere un luogo di accoglienza all’esterno dell’istituto o un nucleo sociale stabile di riferimento ha comportato una diagnosi negativa da parte del medico chiamato a svolgere la valutazione sulla pericolosità del soggetto. La conseguenza e`che lo Stato si vede costretto a trattenere un soggetto per il solo fatto che non ha un luogo di ricovero all’esterno.
In questo contesto la deliberazione n. X/1981 della Giunta Regionale lombarda (seduta del 20 giugno scorso) è purtroppo davvero solo una “rimodulazione del programma” di costruzione delle REMS, dopo che l’entrata in vigore della legge 8/2014 per la chiusura degli opg ha indicato percorsi diversi dal semplice allestimento di altri luoghi di internamento nelle REMS:
- I posti letto nelle REMS passano da 240 a 160, 120 dei quali concentrati nell’area dell’attuale opg di Castiglione delle Stiviere e 40 nell’ex manicomio di Limbiate Mombello. La scelta è argomentata con l’affermazione che l’opg di Castiglione sarebbe già in grado di fornire la miglior assistenza possibile alle persone internate, tanto che i suoi operatori transiterebbero tutti, con qualche integrazione, nelle 6 REMS da allestire:
Data la competenza e l’esperienza del personale sanitario attivo attualmente presso la struttura dell’OPG, si ricorrerà allo stesso personale per la gestione delle REMS ( p. 3, Allegato A).
Appare superficiale e sbrigativo l’assunto della giunta regionale, perché non si preoccupa ( e quindi non si occuperà?) di migliorare la qualità del lavoro e delle competenze degli stessi operatori dell’opg di Castiglione che, va ricordato, hanno maturato pratiche e mentalità dentro una struttura comunque manicomiale. Una domanda: nelle REMS lombarde si potranno (continuare a ) legare i pazienti?
- Pare che secondo la giunta regionale, occuparsi di una persona internata in opg non sia cosa diversa dall’occuparsi di una persona “ospite” in una REMS. Mentre sarebbe ancora problematico per i DSM lombardi occuparsi di propri pazienti se autori di reato:
La creazione di percorsi di cura specifici per queste tipologie di utenti comporta una modificazione dell’attività tradizionale dei DSM (pag.5, Allegato A)
E a pagina 6, parlando dell’altro investimento, quello delle microequipes funzionali, si afferma che le stesse dovrebbero sperimentare “modelli di intervento non esclusivamente centrati sul contenimento delle situazioni complesse come sono quelle dei pazienti autori di reato”. In Lombardia forse, nella giunta regionale certamente, aleggia insomma uno stigma fortissimo nei confronti dei matti “pericolosi” e della pericolosità dei matti. Fa quindi sorridere l’indicazione circa le finalità delle microequipes funzionali in ordine alla
promozione di iniziative di formazione in grado di […] contrastare pregiudizi e stigma in modo da favorire opportunità di reintegro e inclusione piena dei soggetti nella comunità sociale[…]. (p. 6 Allegato A),
perché il primo contesto su cui occorrerebbe intervenire è proprio la giunta lombarda.
- È violato palesemente il criterio della territorializzazione dei trattamenti “istituzionali” concentrati nel Sud Est della Regione.
- Anche la questione “salute mentale in carcere” rimane scollegata, separata, ma più in generale la deliberazione si muove dentro una logica di “assistenza psichiatrica” più che di “salute mentale”. Ne sono esempio la sottovalutazione dei fattori extraclinici nei percorsi di salute mentale, il silenzio intorno alla sperimentazione/introduzione dei budget di salute , la marginalità delle relazioni con i Sindaci.
- Nella gestione della delibera vanno introdotti elementi di trasparenza, non solo per gli aspetti legati agli appalti dei lavori, a partire dalla costituzione di un Ufficio che ne sia responsabile e ne risponda.
- E la Valle d’Aosta?
[1] Articolo 1, comma 1 “Il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale”