“Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.” scriveva George Bernard Shaw. E questo Eleonora, ma chiamata da tutti Nori, lo sapeva benissimo.
Nata in una famiglia borghese nel 1902, aveva un fratello, Alberto, e una sorella, Bice, più piccoli con cui aveva un legame straordinario. Straordinario come il rapporto che aveva con l’arte.
Durante il periodo degli studi Nori si accorge di gestire con difficoltà l’emotività, subisce le emozioni, e non riesce a tenerle a freno, perché gli artisti hanno una sensibilità più spiccata degli altri.
E gestiscono le mille emozioni in un modo diverso dagli altri.
Ma Nori sogna una vita dentro l’arte, non pensando che questa sua vocazione diventerà poi il pretesto di un grande scontro con la famiglia. Fu proprio dopo il loro trasferimento a Firenze nel 1924 che qualcosa si ruppe irreversibile.
Nori strinse interessanti legami artistici nel capoluogo toscano, muovendosi all’interno del fermento creativo locale, e iniziò un rapporto con Aniceto del Massa, figura magnetica ed ingestibile per la fragile Nori.
Ma siamo in periodo fascista e le donne non possono fare le artiste ma devono fare le donne di case, questo contrasto inizia a distruggere giorno dopo giorno i sogni e i desideri di Nori, trovando anche in suo padre una figura avversa alla propria aspirazione.
Ma gli ultimi pezzi si rompono quando nel 1933, a causa di una broncopolmonite, morirà il suo amato fratello Alberto.
La realtà era incontrollabile e Nori sprofondò in una spirala di dolore e delusione che non vedrà mai fine. Schizofrenia verrà poi definita quell’insieme di dolori dati dal lutto e dal dover intraprendere una vita decisa da altri che non vogliamo proprio fare.
Nel 1935, a soli 33, i suoi genitori la mandano in cura a Villa Igea a Modena.
Esattamente a metà della sua vita, perché dentro vivrà esattamente per altri 33 anni.
In un luogo dal tempo ovattato tipico dell’ospedale psichiatrico, Nori gradualmente decise di chiudere i rapporti con la famiglia: a partire dalla sorella per finire al padre, Nori scegli di rimanere in silenzio nel proprio disagio, senza aver più niente a che fare con quella parte di vita che aveva lasciato fuori dalla porta di ingresso dell’ospedale psichiatrico.
Ed è proprio durante la solitudine che Nori abbandona “l’Eleonora che doveva essere” per diventare la “Nori che aveva sempre desiderato”: prende un pennello e comincia di nuovo a dipingere, definendo il suo ciclo artistico più importante.
L’insieme di dolori che aveva Nori nell’animo avevano un volto, che dipingerà senza paura, guidata dal genio dell’arte: un serie corposa di autoritratti racconteranno poi al mondo la visione di un’artista che non sono riusciti ad uniformare allo stereotipo di donna dell’epoca.
Durante la sua “seconda vita” in manicomio, il personale medico non interferirà mai nelle sue opere e la lasceranno totalmente libera di creare. Ogni supporto era così una potenziale tela vergine su cui riversare un suo dettaglio di identità; dai coperchi delle scatole alle lastre mediche, tutto era comunicazione, tutto era spazio narrativo dove uno spicchio di Nori si depositava.
E man mano che il tempo passava e la salute di Nori diveniva più fragile, i dettagli del volto iniziavano a scomparire. Il suo ultimo lavoro risale al 1967 e ritrae Nori senza volto che vola in cielo, dipinto su una sua lastra radiografica, il titolo è emblematico e racconta come la malattia stesse prendendo ormai il sopravvento su di lei: “L’anima di Nori che sale in cielo”.
Nori morirà nel 1968, anno in cui le donne lotteranno per avere quella vita che Nori non è riuscita a vedersi riconosciuta.
Ma la sua arte ha mandato un messaggio fortissimo: qua non si parla di malattia ma di identità, di violenza su una donna che non è riuscita a seguire i suoi sogni perché la società non lo poteva permettere, si parla di espressione e di come la nostra vena creativa non possa essere domata.
Si parla di essere umani e di come il dolore sia una componente naturale della nostra vita, che non può essere evitato ma può essere esorcizzato.
E si parla di sogni, della missione che ognuno di noi si porta dentro l’anima: Nori è arte pura e la sua pittura non è scomparsa con la sua morte ma ha trovato casa dentro il Museo Nori de Nobili, uno dei pochi Musei interamente dedicati ad una figura femminile, che è anche un Centro Studi sulla Donna nelle Arti Visive Contemporanee.
Un riscatto per chi voleva disegnarle addosso una vita che non era la sua.
Perché i sogni, anche se provi a seppellirli, troveranno sempre il modo per bussare alla tua porta: se ce li hai, vuol dire che sei l’unico che può realizzarli.