Di Gennaro Pisano.
A qualche giorno dall’incontro presso il DSM di Trieste tra giovani operatori della salute mentale nella maggioranza under 40, qualche fuori quota e qualche giovane di spirito, anziano solo per l’anagrafe ma animato sempre da indomabile passione civile, occorre fare alcune riflessioni.
Le aspettative che hanno preceduto l’assemblea erano tante e non sono state tutte deluse; è stata realmente emozionante la presenza nella stessa sala di specializzandi in Psichiatria, dottorandi in Filosofia, psichiatri operanti nel SSN, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione, educatori, esperti in management e giovani che stanno compiendo un percorso di riappropriazione della propria soggettività attraverso l’aiuto dei servizi territoriali.
Come tutti gli inizi è stato difficile rompere il ghiaccio ma la lettura delle conclusioni del gruppo “recovery” da parte di Federico Scarpa (vedi il contributo) ha proiettato i presenti nell’atmosfera giusta. L’applauso che è seguito all’ascolto di quel documento-racconto è stato il segnale che ha fatto comprendere ai presenti che forse per la prima volta si poteva parlare con un linguaggio comune.
E così sono emersi gli slanci generosi, gli entusiasmi, le legittime aspirazioni di ogni specialista in formazione a pensare ed agire liberamente, senza i muri di una istituzione universitaria che ha scelto solo la via dell’indottrinamento e dell’omologazione.
E’ esplosa l’urgenza di chi lavora a vario titolo nei nostri dipartimenti di salute mentale di voler condividere le proprie frustrazioni,la propria rabbia e talora l’impotenza di fronte a certe pratiche brutali e affatto terapeutiche; era profondamente sentita la consapevolezza di avere degli interlocutori rispettosi e solidali.
Si è avvertita la necessità di elaborare risposte nuove e culturalmente stimolanti, di far emergere un’eticità non autoritaria nell’agire quotidiano a contatto col disagio psichico; si è espresso il bisogno di confrontarsi, anche duramente ma con impegno serio e di alto rigore critico, con il pensiero unico della Psichiatria attuale.
Da qui è fiorito l’entusiasmo.
Si è parlato della necessità di rendere sempre migliore la comunicazione tra realtà diverse: Regioni, organizzazioni, associazioni, università, C.S.M. ed S.P.D.C. diversi.
L’assemblea di Trieste non era che l’inizio.
Come tutti gli inizi si è voluto dare un’impronta di condivisione delle molteplici esperienze e, alla fine, i temi su cui indirizzare l’impegno politico, diciamolo con chiarezza, perché alla fine è di questo che si tratta, sono stati soltanto elencati.
Non si è potuta in due soli incontri mettere a punto un’agenda con dei punti programmatici fermi. La gioia, quella sì, travolgente di aver trovato dei compagni di strada ha colmato almeno per quei giorni i nostri vuoti.
Tuttavia si sono individuati degli orizzonti entro i quali muoverci.
Il primo è senza dubbio quello dei diritti negati. Si è stabilito che un gruppo organizzerà a Roma un confronto aperto al maggior numero di realtà associative, di operatori della salute mentale, di giuristi, di filosofi, di politici sul tema della contenzione negli S.P.D.C. italiani, sulla legittimità dal punto di vista Costituzionale di alcune pratiche come il trattamento sanitario obbligatorio e sulla permanenza nel nostro ordinamento giuridico di ambiguità tra il concetto di pericolosità sociale e disagio psichico.
In più si è pensato di affrontare proprio dal punto di vista della validità epistemologica l’intero apparato nosografico che cristallizza l’impostazione dei curricula universitari e ingessa la duttilità clinica mortificando la possibilità di pensare la cura al di fuori del solo approccio farmacologico; si è detto che anche l’arte, la letteratura, la bellezza sono terapeutiche.
Ma soprattutto la libertà è terapeutica.
La libertà di poter avere un lavoro, un ruolo nella società che corre sempre più veloce pensando di poter monetizzare la felicità di ognuno.
Si è creata anche una pagina FB. Certo una delle tantissime sulla salute mentale: ma i social network serviranno solo se possono facilitare il confronto e l’incontro reale.
Oggi, dopo alcuni giorni, la domanda è: “A che punto siamo?; Cosa vogliamo farne di questa occasione che ci siamo creati? Possiamo essere una rete davvero tra i giovani , 20enni, 30enni, 40enni … etc. etc. che operano nella salute mentale in tutta Italia, dal nord al sud, da Modena a Caltagirone?”.
Potrà sembrare anche una fatica di Sisifo, un’illusione, retaggio di una cultura obsoleta che vive di nostalgie basagliane ed antipsichiatriche; le critiche a questa operazione sono molte, alcune provengono da ambienti “amici”; i Big tacciono, non ci conoscono, ci regalano il loro silenzio nel migliore dei casi, ci relegano all’isolamento nel peggiore.
A voi amici specializzandi chiedo alla fine: “Pensate che avere una pubblicazione sul circuito giusto, con un impact factor da urlo, possa rendervi degli psichiatri ed uomini e donne migliori e più felici? Pensate che in fondo la psichiatria debba essere una disciplina scientifica e poi chissenefrega? Pensate che non avrete mai un ruolo politico e non vi sarà richiesto di pensare?”.
Alla fine bisogna chiedersi da che parte stare …
E’ una scelta di campo; ma soprattutto è una questione di organizzare le idee perché esse camminano solo sulle nostre gambe; è una questione che richiede impegno, riunioni vecchio stile, progetti e concretezza.
Ripropongo allora con questa lettera l’idea, peraltro già emersa in assemblea, di un gruppo di coordinamento tra coloro più prossimi a Trieste che almeno nelle fasi iniziali, e solo nelle fasi iniziali, raccolga i contributi provenienti da tutta Italia e li concretizzi in iniziative (anche una, ma fatta bene, ci basta..per ora!).
Nel futuro ci aspettiamo un coinvolgimento di tutte le regioni e soprattutto delle Università.
Non perdiamo l’occasione che è nata il 21 febbraio scorso.
Questa frase è attribuita a Basaglia, non ho trovato la fonte esatta ma m’intriga e ve la propongo:
“Continuare ad accettare la psichiatria e la definizione di “ malattia mentale” significa accettare che il mondo disumanato in cui viviamo sia l’unico mondo umano, naturale, immodificabile, contro il quale gli uomini sono disarmati”.
E poi c’è un’altra frase che si leggeva sui muri di Parigi nel ’68, un po’ retorica come le scritte di quei tempi: “Il faut réspirèr”. Bisogna respirare e penso che l’autore si riferisse alla sensazione di soffocamento che si può avere in certe situazioni asfittiche. Ne abbiamo l’opportunità … cogliamola! Non saremo soli.