Intervista a Marco Bertoli, responsabile del Centro di Salute Mentale di Palmanova, dopo la decisione del governo di affidare i detenuti non sani di mente ad apposite strutture organizzate direttamente dalle Regioni: «Giusto chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari. Ma davvero crediamo che la cura possa essere fatta attraverso una struttura? Non è così». Di Chiara Sirianni

in Interni

10 Feb 2012Gli ospedali psichiatrici giudiziari chiuderanno entro marzo dell’anno prossimo. Lo stabilisce un emendamento al decreto Severino sul sovraffollamento delle carceri: i detenuti dovranno essere affidati ad apposite strutture organizzate direttamente dalle Regioni. Si tratta di una svolta epocale, oltre che di un gesto di civiltà: dovrebbero essere strutture di cura e recupero, ma sono di fatto carceri in cui i malati sono costretti a situazioni assolutamente degradanti, come ha dimostrato la Commissione parlamentare d’inchiesta del Servizio Sanitario Nazionale, che è entrata telecamera alla mano e senza preavviso in tutte le sei strutture attualmente in uso: ad Aversa, Napoli, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Grotto, in Sicilia.

Dopo trent’anni dalla legge Basaglia (che ha chiuso i manicomi) gli internati negli Opg restano 1.400. Già nel 2008 è arrivato il primo decreto legge che prevedeva un primo superamento degli Opg: da allora le Regioni, assieme al Ministero, si sono organizzate per creare percorsi di recupero. Da oggi nel decreto (che deve ancora passare all’esame della Camera per la conversione in legge) si stabilisce che in ciascuna Regione si concludano accordi con l’amministrazione penitenziaria di turno per individuare strutture sanitarie da usare in sostituzione. Attorno al perimetro delle strutture saranno posti presidi di sicurezza. Da un lato, si cerca di recuperare i malati che si trovano ancora in Opg, dall’altro, si sollecita la creazione di comunità in tutte le regioni.

C’è qualche perplessità sul metodo: basterà un anno per individuare o creare strutture alternative? Non si rischia di creare disparità tra regione e regione? Marco Bertoli, responsabile del Centro di Salute Mentale di Palmanova, nella bassa friuliana (dove l’insegnamento di Basaglia ha lasciato il segno) è piuttosto drastico con tempi.it: «Sono assolutamente favorevole alla chiusura dei manicomi giudiziari. Quest’emendamento, però, mi pare generi una proliferazione dei manicomi». A non convincere è l’idea delle guardie sul perimetro esterno: «Mi sembra un pasticcio tremendo». Ogni situazione è diversa: «Qui in Friuli abbiamo attualmente 9 persone, ed è molto probabile che entro un anno riusciremo a farli uscire tutti: abbiamo impostato, da anni, tutta una serie di percorsi riabilitativi anche per chi ha commesso reato. Non ci servono strutture particolari».

Certo, il problema andava affrontato, e la situazione è drammatica. Ma «è l’ottica ad essere sbagliata.Davvero crediamo che la cura possa essere fatta attraverso una struttura? Non è così». Cosa fare quindi, per migliorare il sistema? «Affrontando una questione che è puramente giuridica, quella legata all’incapacità di intendere e di volere. Basta con queste discriminazioni. Se un malato di mente commette un reato, finisca in carcere. Sconti la sua pena. Verrà anche curato. Compiono reati esattamente come il resto della popolazione: per il 70 per cento si tratta di reati minori, come il furto di una bicicletta. E ovviamente si devono avviare progetti di recupero e di reinserimento, che consenta a chi ha commesso piccoli reati di ricominciare, in condizioni eventualmente edulcorate». Il punto, secondo Bertoli, è proprio questo: la non imputabilità di chi viene considerato incapace di intendere e di volere ha creato un vulnus nel sistema. Ed è qui che bisogna andare a mettere mano: «Non serve costruire altre strutture, ma cambiare mentalità».

(da Tempi.it)

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