di Pier Aldo Rovatti
“Ci è sembrato doveroso mettere giù questo diario”, scrive Franco Rotelli nella rapida (ma intrisa di senso) presentazione di L’istituzione inventata/almanacco. Trieste 1971-2010 (collana 180, edizioni Alpha Beta Verlag, Merano). È un “diario” di parole e immagini di quanto è accaduto a Trieste dall’arrivo di Franco Basaglia alla chiusura del manicomio di San Giovanni e alla legge 180, che corona un decennio di lotte e pratiche de-istituzionalizzanti ma al tempo stesso immette nei decenni difficili del dopo, quando non è più solo il momento di “negare” ma soprattutto quello di “inventare” una nuova e diversa istituzione.
Se decisiva era stata la fase gloriosa dell’abbattimento dei muri di un’istituzione infamante e incivile, altrettanto decisiva è la costruzione di “servizi” diffusi che cancellino quell’infamia e restituiscano soggettività e civiltà ai cosiddetti malati di mente. Questa costruzione o “invenzione”, come appunto la chiama Rotelli, è già presente negli anni di Basaglia, accompagna da subito la sua “rivoluzione”, ma solo dopo diventa il compito più importante da svolgere, un lavoro incessante contro un’infinità di resistenze e opposizioni. Un lavoro – dice Rotelli – che “purtroppo è appena cominciato”.
A prima vista, questo insolito almanacco può sconcertare per la sua forma composita, occorre entrarci per capirne la portata e come la novità del ponderoso manufatto vada molto al di là di una ricca documentazione di quanto ci sembrava già di conoscere da un complesso di scritti, storie, sintesi, anche di ottimo livello, che stanno tuttora circolando. Qui il documento, per così dire, si squaderna e si amplifica ben al di fuori delle agiografie basagliane: una volta che l’abbiamo fatto nostro, non è più possibile accontentarsi di un’immagine della vicenda spesso ridotta in pillole, pur attraenti, con effetti ideologici che risultano alla fine alquanto improduttivi, sia per chi li usa per affrettate condanne, sia anche per chi li sbandiera come modelli.
Intanto, un abbassamento di tono. Il “noi” adoperato da Rotelli è l’opposto di un plurale maiestatis, e quei 500 nomi che aprono l’almanacco in ordine alfabetico (con l’avvertenza che si tratta solo di una parte di coloro che potrebbero essere inseriti nell’elenco) sono ben altro che un orpello retorico: danno subito l’idea che qui è entrato in scena un collettivo vasto, un’effettiva comunità di intenti dove troviamo tecnici e intellettuali mescolati a una folla di altre figure provenienti da fuori e dal basso, compresi alcuni di coloro che stavano chiusi nel manicomio e che hanno collaborato poi ad aprirlo e a trasformarlo.
Lo stesso Rotelli, che è evidentemente l’ideatore e il deus ex machina dell’almanacco, abbassa programmaticamente il suo ruolo a quello di uno che si è preso “cura” di mettere insieme i materiali. Rotelli ha lavorato a strettissimo contatto con Basaglia fino alla sua prematura scomparsa, ne ha rilevato il ruolo per molti anni passando in seguito a dirigere l’Azienda sanitaria triestina (mentre Peppe Dell’Acqua gli succedeva al Dipartimento di salute mentale), infine – ed è cronaca recentissima – assumendo una funzione politica nella gestione della sanità regionale.
Come dire: Rotelli sarebbe il più autorizzato a firmare in prima persona una “storia” dell’esperienza triestina, invece preferisce lasciare parole e scena a coloro che coralmente hanno contribuito a dare soggettività a un evento che non cessa di produrre risonanza mondiale. Ciò non toglie che le sue pagine, collocate nei punti strategici dell’almanacco, rappresentino per il lettore un’utilissima continuità di senso, a partire da quelle del 1986, appunto intitolate “L’istituzione inventata”. D’altronde, chi conosce Rotelli sa che questo almanacco lui l’ha messo insieme pazientemente per anni e corrisponde a un suo antico progetto.
Le pagine del 1986 sono un po’ il pivot del singolare diario, e siamo a meno di metà dell’intera documentazione che arriva al 2010. L’obiettivo principale è infatti quello di ampliare e restituire complessità all’esperienza di Trieste: una necessità di superare l’ospedale psichiatrico che appare così come la più profonda verità del lascito di Basaglia, passando al territorio, investendo la politica stessa della salute dei cittadini. Così l’almanacco vuole dar conto di tutte le iniziative che sono state immaginate e costruite per dare realtà a un’impresa che non poteva limitarsi a fare uscire gli internati dal manicomio ma doveva estendere questo progetto di “apertura” all’intera città e a un’estesa pratica territoriale della salute.
Nelle pagine che ho ricordato viene abbozzato tale programma. Secondo Rotelli, l’istituzione inventata è “figlia” dell’istituzione negata, ma l’“oggetto” si è trasformato e ora esso deve essere precisamente indicato come “l’esistenza-sofferenza del paziente nel suo rapporto con il corpo sociale”. Emancipazione, non guarigione; laboratori, non ambulatori. Bisognerà fare in modo che si trasformino i modi di vivere, che “il deserto si ripopoli” attraverso i Centri e i Servizi territoriali. Occorrerebbe affrancarsi dalla subalternità all’autonomia del biologico e anche a quella dello psichico. Tutto ciò per ridare ricchezza all’“oggetto povero” costituito dall’esistenza-sofferenza, ma per farlo – continua Rotelli in questa sua sorta di manifesto – “avremo bisogno di artisti, uomini di cultura, poeti, pittori, uomini di cinema […] di feste, gioco, parole, spazi, risorse, ingegni, di soggetti plurimi e del loro incontro”. Insomma, una politica sociale da inventare che giri attorno a questo “oggetto povero”, che è poi anche la vita di ciascuno di noi, nella banalità del soffrire e dell’essere allegri.
Nella presentazione (datata 2015, cioè a distanza di 30 anni) Rotelli ricorda quanto sia impervia la strada della “banalità del bene” e avverte chi voglia avventurarsi nella lettura del suo almanacco che la parola “soggetto” vi riemerge di continuo per sottrarla alla negazione assoluta (quella del manicomio e delle istituzioni totali ancora esistenti nel mondo), ma anche per cercare di sottrarla ad altre negazioni, più raffinate e altrettanto devastanti, che invadono la quotidianità della società attuale.
L’almanacco di Rotelli – possiamo dire in conclusione – abbassa il tono ma alza la posta in gioco. La battaglia contro tutte le istituzioni della follia, che trova nell’esperienza di Trieste un modello, diventa una battaglia per la costruzione di modi di vivere organizzati, e un appello a inventare assieme una politica per la vita.
[Da: http://autaut.ilsaggiatore.com/
Una versione ridotta di questo testo è stata pubblicata su “la Repubblica” del 19 febbraio 2016 con il titolo Come mantenere viva la rivoluzione di Basaglia]