Pubblichiamo uno degli interventi della giornata del 27 giugno a Vigheffio

Buongiorno, sono Tiziana Tomasoni, rappresento l’AFASOP NoiInsieme, Associazione dei familiari sofferenti  psichici di Trieste. Grazie al Forum Salute Mentale, grazie a Peppe dell’Acqua per l’invito. 

Di Franco Basaglia alla nostra Associazione piace e giova sempre ricordare innanzitutto come risolse il  dilemma: “tra malattia e malato, sceglierò sempre il malato”. Un punto fermo, intramontabile.  

E c’è un altro Franco, Franco Rotelli, che oggi e qui desideriamo ricordare, perché sostenne molto  l’Associazione (a lui dobbiamo la nostra attuale sede) e rese possibile a Trieste una moderna organizzazione  coerente con la 180. 

Abbiamo raccolto alcune riflessioni in una lettera indirizzata proprio a loro. Come se fossero ancora con noi  o meglio, per sentirli ancora con noi. 

Caro Franco Basaglia, caro Franco Rotelli, 

grazie a voi, alla Legge 180, oggi ci è risparmiato di vedere reclusi i nostri cari a causa della  loro situazione di malattia. È una straordinaria fortuna. Grazie a te Franco Rotelli a Trieste abbiamo avuto la possibilità di essere un po’ spettatori, un po’ protagonisti della  realizzazione delle alternative al manicomio e all’avvio di servizi che da anni frequentiamo  ma, ahimè, vediamo depotenziati a causa di scelte irresponsabili di incapaci oppositori di quella straordinaria riforma. Ogni giorno tocchiamo con mano l’impoverimento dei servizi di salute mentale, in termini di cura, di quantità e qualità del personale e delle strutture, di risorse in generale che consentono sia programmi di cura che di riabilitazione, privando i  nostri cari di molte opportunità. Le nostre sofferenze si trasformano così in angoscia, in una  convivenza familiare difficile, in cui si fa fatica a trasmettere loro continua partecipazione,  attenzioni e vicinanza.  

Oggi in molti, compresi noi, si stanno riunendo attorno allo slogan “difendiamo il diritto alla  salute”. Accanto al diritto alla salute noi familiari affermiamo anche i nostri doveri di cura,  che però pretendiamo siano assunti come tali anche dalle istituzioni, senza il cui forte e  continuo sostegno la nostra azione diventa inefficace e insostenibile. Siamo passati  dall’istituzione negata all’istituzione che ci nega, ci abbandona. Non doveva e non deve  finire così. Poco o nulla potremo senza una presenza forte dei servizi e delle Istituzioni, cui  spetta il dovere di offrire cure competenti, di attuare una costante e solida presa in carico,  oggi mancante; una presa in carico a tutto campo, che deve includere anche quella di noi familiari, perché la sofferenza della malattia mentale senza pari per intensità, complessità  e durata, tocca profondamente tutta la famiglia. Per questo occorrono innanzitutto più  operatori, molti più operatori, di tutte le professionalità. È provato che la spesa per il  personale che deve necessariamente avere un’adeguata formazione resterà  inevitabilmente la prima voce di costo in salute mentale, non sostituibile da intelligenze  artificiali, da tecnologie. Questa spesa non sia dunque compressa, ma ampliata. 

Oggi vige lo slogan “la casa primo luogo di cura”, e anche a noi piace, ma facilmente ne  cogliereste l’ipocrisia, la dissociazione rispetto alla realtà. Quanto spesso oggi gli operatori  vanno a casa? Le nostre case e noi familiari possono essere luoghi, opportunità di cura e  guarigione, ma non sempre è così, né è sempre possibile. 

La guarigione è per noi la ripresa di una buona vita, autonoma, fatta di un lavoro, un  reddito, relazioni sociali, di un’abitazione dignitosa. La guarigione è possibile ed è  realizzabile solo se vi sono le condizioni e i presupposti per il lavoro “di squadra”. Infatti, ogni  aspetto da quello farmacologico a quello della terapia della parola e dell’ascolto, dalla  valorizzazione del ruolo dei familiari, all’accompagnamento al lavoro e all’abitare sono gli  strumenti di un lavoro che non può che essere integrato per essere di successo. La guarigione  è possibile con buoni servizi e adeguate risorse economiche che perseguono tutto questo. I  servizi – come da voi indicato, e insegnato – oltre a poter contare su medici e medicine  devono offrire azioni di socialità e socializzazione, di inclusione. Oggi invece tutto ciò è spesso  poco considerato, insufficiente, talora negato o reso impossibile. 

Caro Franco Basaglia caro Franco Rotelli, per noi, a Trieste, c’è un tempo del prima e uno  del dopo: si colloca negli anni della fine del secolo scorso, quando iniziò ad attenuarsi la  spinta del cambiamento e la forza dei servizi di salute mentale. Poco o nulla giovò la riforma  regionale del 2014, verso la desiderata “migliore sanità”; molto invece hanno potuto, in  negativo, “le rivincite” delle riforme sanitarie successive. Per questo non crediamo più tanto  al valore delle riforme formali ma di quelle sostanziali. Riformare la 180? Forse serve, forse  no. Perché le riforme falliscono, pur buone, se poi sono lasciate in mano a cattivi interpreti,  incapaci attuatori, che si spartiscono i demeriti di essere agenti oppositori, resistenti, incapaci; pochi sono i convinti, e pochissimi gli appassionati spiriti riformatori veri come lo eravate voi. 

Forse basterebbe rendere cogenti i dettati della 180 e della legge 833, e disattivare gran  parte delle controriforme ad essa successive per rispettare davvero i diritti dei malati e dei  loro familiari, ovvero davvero presi in carico. Bisogna rendere le Aziende Sanitarie mezzi e  non fini, aziende di servizi pubblici per il bene pubblico della salute, e non imprese per gli  equilibri di bilancio. Non c’è salute senza salute mentale, ma non c’è salute mentale senza  sistemi di salute globali giusti ed equi. 

Oggi abbiamo visto che non bastano le buone leggi, le buone norme. Servono brave persone  che le realizzino. 

“La speranza è un falso mito” lo hai detto tu Franco Basaglia, aggiungendo “solo nella lotta  possiamo pensare di cambiare qualcosa di reale, la lotta in cui uno possa vedere quello che  è il futuro, ma il futuro reale di una situazione che cambia”. Noi lottiamo ogni giorno per il  benessere dei nostri cari. Ma con chi? E contro cosa? Ai vostri tempi, con voi in prima linea si  ritrovarono molti operatori, alcuni politici, tanti “esterni alla psichiatria” partecipi di movimenti per il vero cambiamento, in un’epoca sicuramente irripetibile, ricca di coraggio  della voglia di cambiare. Oggi dove sta il coraggio per cambiare? Molti operatori lo hanno  perso, sono delusi, demotivati, stremati, vittime zittite, ma talora anche complici di orribili  scelte politiche per cui risorgono persino pratiche manicomiali, impensabili anni fa.  

Il neoliberismo che sta imperversando, visione economica che vuole “meno Stato e più  privato”, più austerità e compressione del welfare, va contrastato perché incompatibile con  i nostri obiettivi. Se accettiamo che l’abbondanza non è per tutti, la penuria resterà per  molti. In primis per i servizi di salute mentale e per chi ne è coinvolto. Questa è la prima  lotta da condurre! La prima riforma da attuare. Torniamo alle culture da voi sostenute per  costruire un nuovo futuro. 

Cari Franchi, in questo sistema che arretra, in cui gli operatori non possono esprimere critiche  costruttive, come fare per riportarli ad una capacità dialettica, oppositiva del conformismo,  verso una realtà che non è utopia perché è già accaduta? Come riorientare dirigenti  disorientati? Licenziare direttori generali incompetenti, servi del potere? Depotenziare  organismi tecnici che non comprendono i nostri bisogni? Noi familiari, per non disperdere le  nostre risorse, per non farle rinsecchire ma rinvigorirle chiediamo di essere ascoltati, accolti  nelle istituzioni per co-progettare e co-gestire i nostri servizi, perché nostri sono; per co valutare i risultati. Ci è dovuto se non altro perché ne siamo i contribuenti: i soldi gestiti da  “loro” sono “nostri”. 

Se foste qui con noi, sarebbe per voi facile accorgervi che oggi la salute mentale e i servizi  correlati non costituiscono ancora una priorità e non lo è nemmeno la sofferenza di chi, come  noi e i nostri cari, vive la malattia mentale grave. Pensiamo che per riposizionare le priorità abbiamo bisogno di una riforma più del fare bene che del dire giusto. La salvezza verrà solo  dalla pratica, ci sembra un vostro insegnamento. 

Oggi, secondo noi, serve un nuovo Piano della Salute Mentale, che prenda in considerazione esplicitamente, senza reticenze questo aspetto della sofferenza, delle difficoltà quotidiane vissute per anni, soprattutto quando la malattia esordisce in età giovane, spezzando vite,  spazzando via irreparabilmente anni di vita. Ci piacerebbe molto parlarne con voi.  

Oltre i programmi di medio-lungo termine, a noi sembra che un rimedio immediato consista  nell’aggiornare i Livelli Essenziali di Assistenza, con definizione di precisi standard di struttura  e processo, impedendo che questi siano condizionati da ridotte (asserite tali) risorse  economiche, e diventino così diritti esigibili e doveri istituzionali incomprimibili dai  “ragionieri”. Vanno introdotte sanzioni automatiche per i responsabili qualora questi LEA  non siano soddisfatti, a garanzia di chi è soggetto debole. Chiediamo che siano da tutti intesi  come diritti inalienabili e diventino LEA=LIVELLI ETICI di AIUTO. Siamo convinti che oggi la  partita sia molto più politica che tecnica. Ci servono quindi politici lungimiranti, insieme a  tecnici leali e non asserviti al potere, alleati “della gente”, non dei potenti di turno. 

Noi familiari chiediamo ciò che è GIUSTO, vogliamo vogare in squadra, come hai detto tu  Franco Basaglia, per fare INSIEME, con tutti, di più e meglio. Per salvaguardare diritti, che  quando rispettati producono vantaggi per tutti, non per pochi.  

Per noi soci di Afasop siete sempre vivi (del resto lo disse Sartre da voi ammirato: “Ci sono  dei morti che, vivono, che condizionano il nostro ancoraggio e si fanno istituire, una volta  scomparsi, come nostro avvenire, come nostro futuro”) e abbiamo ancora bisogno di voi  come certezze per affrontare in maggiore sicurezza vite difficili, per poter continuare a  curare i nostri cari come si deve, non come si può.  

Vi salutiamo con affetto