jenny“Noi Jenny …” di Aniello De Martino e dell’Associazione “Jenny è tornata”,

Extremathule edizioni, 56 pag, 8 euro. Tutti i proventi verranno devoluti all’associazione.

Tutto comincia con Jenny che torna e non vuole più dormire…”Jenny è pazza“ è la famosa canzone di Vasco Rossi ma anche l’inno di ragazzi e ragazze che, sulle prime, appaiono spaesati ed increduli ma poi, attraverso la condivisione di sentimenti e di esperienze, creano un gruppo forte e coeso che punta sulla tolleranza, sulla gioia, sul riconoscimento dell’altro e con la voglia di mettersi in gioco ben sapendo che nulla è precluso e tutto “si può fare”. Da qui il nome dell’associazione che gioca con abile maestria con il testo della canzone di Vasco rivendicando con forza che quella Jenny che era stata “etichettata” come pazza perchè “diversa” e ritenuta perciò una minaccia, non vuole più dormire ma è tornata alla vita ed ha voglia di avventurarsi tra gli ostacoli della vita con determinazione e dignità.

L’associazione “Jenny è tornata“ è composta da tanti ragazzi, tante anime dal passato turbolento, difficile e a volte anche traumatico, ma vogliose di riscatto, di rimettersi in gioco (proprio come “Jenny”) e di intraprendere la strada della “riabilitazione” attraverso l’unione delle forze, delle idee e della forza di volontà.

“Jenny è tornata“ nasce nell’ottobre 2010 (anche se il gruppo si e’ formato almeno 2 anni prima) ed è impegnata in diversi campi della promozione sociale e molteplici sono le sue attività volte alla promozione nel campo dell’arte e della creatività come, per esempio, la pubblicazione di questo importante testo ma anche la creazione di un laboratorio dove vengono realizzate magliette, lavori con il cernit e con il feltro ed ancora dipinti su pareti e pianificazione di un musical (ispirato al testo stesso). Ma l’associazione e’ anche impegnata nella promozione dell’ambiente gestendo e curando un orto sociale nel rispetto e salvaguardia della natura. Tanto è stato fatto ma si tratta “solo dell’inizio” e sono già tanti i progetti futuri da realizzare con la determinazione di sempre. Il testo “Noi Jenny” rappresenta la sintesi tra cuore ed emozione, passione musicale e voglia di raccontare e di raccontarsi. Una miscela armonica di testi, storie personali ed icone del nostro tempo che spaziano liberamente tra l’immaginario collettivo ed il dolore e la speranza.

(Per informazioni e acquisti: extremathule@gmail.com,  jennyetornata.aps@gmail.com)

La Prefazione di Peppe Dell’Acqua

La storia di Jenny che torna e apre il Centro di salute mentale

Questo libro racconta un’esperienza esemplare.

Tutto comincia con Jenny che torna e non vuole più dormire. Jenny è la canzone e l’inno di questa storia. Ma anche tutte le altre canzoni di Vasco Rossi, quasi come un breviario tra le mani di padre Ralph (che vedremo nel fumetto), guidano le giornate di un laboratorio e di un gruppo di ragazzi che, sulle prime, appaiono  spaesati e increduli. I ragazzi, come li chiama Nello, cominciano ad ascoltare le canzoni e non nascondono il loro stupore nel vedersi al centro di un gioco che li vuole protagonisti. Sono increduli nel vedersi giocare proprio in quel luogo che è il Centro di salute mentale. Mai a pensare che tutto potesse accadere proprio lì, dove fino al giorno prima andavano, impauriti e diffidenti, per prendere le pillole, per fare la siringa (come dicono nel Centro), per parlare col dottore.

Il gruppo nasce con l’intenzione di conoscersi e raccontarsi. Il farsi dei racconti e la costruzione della propria storia travolge in un attimo griglie, schemi, pregiudizi. Le esperienze dell’adolescenza, il racconto della famiglia, delle relazioni, del rione, della scuola, dei successi, dei fallimenti, dei ricoveri nelle cliniche, delle pesanti terapie farmacologiche; e ancora dei desideri non ancora annientati e delle possibilità che con la parola si scoprono, della conoscenza dell’altro che finisce per essere consapevolezza di sé e della propria condizione, creano nell’immediatezza, nello stesso momento in cui le parole costruiscono i racconti, un altro mondo. Alludono a possibilità fino ad allora mai immaginate. Come se si fossero detti, gli operatori e i ragazzi, che bisognava provarci.

Hanno sentito dire, hanno letto, hanno capito che è delle persone che bisogna occuparsi e non della malattia. Delle loro storie e dei loro bisogni e non di diagnosi e di farmaci. E hanno scoperto che a impedire che la storia delle persone emerga e fluisca per riconoscersi e riconoscere gli altri, non c’è niente, nessun ostacolo a prima vista. Si accorgono subito, però, delle pesanti barriere delle psichiatrie, delle diagnosi, delle cronicità che discriminano, delle strutture che non ci sono e negano possibilità, delle strutture che ci sono e ancora di più sono di impedimento. Delle devastanti politiche regionali contro la salute mentale. Barriere altissime che appaiono invalicabili e tolgono il respiro e la voglia di lottare.

E tuttavia capiscono che si può fare. Capiscono che si può essere protagonisti. Che le strade della rimonta sono alla portata di ognuno e ognuno, e solo lui, può percorrere quella strada. Che non vogliono più dormire. Il piacere e l’entusiasmo delle storie ascoltate e narrate fa scoprire risorse e possibilità che sono in ognuno.

Il papà di uno di loro ha un pezzo di terra e lo mette a disposizione. Un campo che si può coltivare. Quella volta sento Nello al telefono che mi parla di cavoli di Natale, di cime di rapa e di possibili evoluzioni produttive di un progetto che sta prendendo forma. Quando mi telefona vuole confrontarsi con quello che succede qui, a Trieste con le cooperative sociali, e pur avvertendo forte la consapevolezza di quanti passi bisognerebbe fare per costruire una cooperativa, per entrare nel mercato,  non si scoraggia.

Anche quando gli dicono che è naif, che sta fuori dai canoni della riabilitazione psichiatrica, che il suo lavoro è poco scientifico (ma non dicevano queste stesse cose anche a Basaglia, quando cominciò ad aprire le porte a Gorizia?).

Intanto le speranze di un grande cambiamento in Campania si vanno spegnendo lasciando soltanto la certezza che si può fare. Là dove le cose si sono fatte, si può continuare e, sebbene con fatica e tra molte resistenze, le buone pratiche riescono a mettere radici.

Jenny era arrivata sulle ali di questa speranza. Un po’ strana e un po’ bizzarra, era entrata nel Centro di salute mentale di Pontecagnano e, malgrado le difficoltà di sempre, era riuscita a trovare una stanza. Una stanza è poca cosa ma, in quella stanza, le persone cominciano a raccontarsi e a progettare. Con le parole e le suggestioni di Vasco Rossi dipingono le prime magliette. Sono belle? Sono naif? Sono il frutto di un inutile intrattenimento? Sono commerciabili?

Ai ragazzi e alle ragazze piacerebbe fosse vero almeno l’ultimo punto.

I cavoli di Natale, le magliette e qualche cosa d’altro fanno immaginare un lavoro, un impiego, un qualcosa di vero che verrà se saranno capaci di continuare a far vivere la stanza delle persone.

Le magliette, intanto, diventano il segno del cambiamento, della svolta.

Le magliette stese ad asciugare nei corridoi che finalmente si animano e sorridono ai visitatori stupiti. Le magliette che arrivano anche sulle poltrone negli studi dei dottori che, ora, sono aperti e a disposizione. Senza che nessuno lo abbia stabilito, gli spazi del Centro diventano attraversabili da tutti e il Centro stesso comincia a diventare un luogo di attraversamento. Un luogo dove si può stare anche senza pillole, siringhe e flebo.

Lo studio del Direttore, Giulio Corrivetti, ospita riunioni e passivi stazionamenti. Quando proprio deve, Giulio chiede gentilmente ai ragazzi di andare da un’altra parte, chè deve fare una visita.

Noi triestini abbiamo sempre pensato a un Centro di salute mentale “mercato di Marrakech”: mercato di sguardi, di parole, di incontri, di relazioni e di sperimentazione di sé nel rapporto con l’altro. Jenny e i ragazzi, a modo loro, fanno mercato. Verrebbe da dire mercato nel Tempio, Vivaddio!

Un giorno, tra riunioni, magliette e progetti di agricolture ritrovate, si fa tardi e bisogna lasciarsi per il pranzo. La mattinata è stata lunga, l’ora di pranzo a Salerno è intorno alle due, tutti stanno bene insieme e nessuno vuole andare. Che fare? Qualcuno vada a comprare un po’ di pizze – dice uno. Qualcun altro: ma possiamo ordinarle che ce le portino, siamo il Centro di salute mentale! Nello: vado io, ho la macchina. Fu come fu, quel giorno arrivarono 20 pizze con la coca cola. La tavola fu apparecchiata nella stanza delle riunioni, sul grande tavolo. Da allora è quasi una consuetudine: nel Centro di salute mentale si può anche mangiare. Tutti intorno a quel tavolo, operatori e ragazzi, come continua a dire Nello.

Tempo dopo, in una mia visita a Pontecagnano, anch’io ho mangiato intorno a quel tavolo e, per l’occasione, mi è stata offerta la mozzarella di bufala. Con la gentilezza di Giulio, l’entusiasmo di Nello e di tutti gli altri colleghi che mi accolsero con tanta amicizia. Eppoi, mangiando mangiando, è venuta l’idea del teatro, del musical con le canzoni di Vasco.

Qui lascio il mio racconto di questa esperienza. E’ il libro che entra in gioco.

Le prove e le coreografie sono in corso. Credo che il musical avrà successo.

Questi ragazzi, con le magliette, con i cavoli di Natale, con le canzoni di Vasco, con le coreografie, con il pulmino sgangherato, stanno scoprendo che è possibile farcela, è possibile guarire, è possibile vivere la propria vita, anche malgrado la malattia. Hanno trovato il modo e le strade per opporsi alle psichiatrie prepotenti che ritornano, alle stupide e violente pianificazioni regionali. Cominciano a dirci che, a Trieste come a Pontecagnano, sanno ormai bene che cosa si deve fare per guarire. Che i Centri di salute mentale siano aperti 24 ore al giorno, che siano luoghi possibili da vivere e da attraversare, che ci siano persone che accolgono,  che ti ascoltano e ti vedono per quello che sei. Che le identità, invece di annullarsi e appiattirsi nella malattia mentale si moltiplichino. Che qualcuno ti aiuti a risolvere i piccoli/grandi problemi del quotidiano che rischiano di farti affogare. Che i farmaci, le regole e le diagnosi vengano dopo la persona. Che la cultura, la scuola, la formazione siano il pane quotidiano. Che le mamme, i papà, le famiglie trovino posto e ascolto in questi luoghi. Che, come a Pontecagnano, le stanze siano di tutti e che si possa mangiare insieme la pizza e, quando si può, una bella mozzarella di bufala!

E io comincio a capire che, ascoltando Vasco, si può anche fare a meno di leggere le conferenze brasiliane!

(dicembre 2010)

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