La metafora del “naufragio con spettatore” ci accompagna da oltre duemila anni, da quando Lucrezio l’ha formulata nel suo De rerum natura. È un’immagine potente che ha avuto, nelle varie fasi della nostra storia, interpretazioni molto diverse, slittamenti di senso e anche veri e propri rovesciamenti a partire dall’idea che noi spettatori saremmo al sicuro sulla riva del mare ad assistere al disastro là fuori.
Per capirci sul rovesciamento: il naufragio non sarebbe più lontano, e neppure tanto vicino, ma sarebbe il nostro, ci troveremmo dentro al punto che la coppia spettatore/naufragio si rovescerebbe completamente, e allora addio alla sicurezza che Lucrezio, nei suoi versi, ci attribuiva come una condizione importante e decisiva.
Non è qui il caso di ripercorrere le tappe e i travagli di questa perdita, basta pensare a quanta “insicurezza” attraversa e caratterizza oggi le nostre esistenze, perfino quelle che sembrano essere le più rassicuranti. Il lettore mi permetterà tuttavia una piccola parentesi, ricordando che il filosofo tedesco Hans Blumenberg (uno dei personaggi più significativi del pensiero contemporaneo, morto nel 1996) avevo pubblicato nel 1979 il libro Naufragio con spettatore. Paradigma di una metafora dell’esistenza che apparve in italiano nel 1985 con una bella introduzione di Remo Bodei. Questo libro riscosse molto interesse in un dibattito culturale che allora aveva tutt’altra qualità e partecipazione. Ce ne siamo dimenticati e sarebbe utile alle attuali discussioni, alquanto impoverite a mio parere, che tornasse a circolare (dello stesso Bodei, che è mancato solo qualche anno fa, restano poche tracce).
Della “sicurezza” di chi se ne stava con i piedi ben saldi sulle terraferma – così la presenta Lucrezio con una caratteristica virtuosa piuttosto che di scampato pericolo – abbiamo oggi solo alcuni residui poco convincenti: tutti vorremmo essere “al sicuro”, ma ormai quasi nessuno ci crede davvero. Semmai, siamo tutti consapevoli che il mare in tempesta e diventato il nostro habitati, per dirla alla latina. Lì ci troviamo e ciò che possiamo fare si limita (si limiterebbe?) a evitare un naufragio completo. Ci vogliamo “salvare” e sul senso da attribuire a questo gesto, sulla possibilità di realizzarlo, discutiamo molto ma spesso in modo inconcludente.
I migranti che arrivano per mare, magari rischiando la vita, sono un argomento di pressante attualità che fornisce alla metafora di cui sto parlando un drammatico aspetto di realtà. Possiamo viverci come coloro che guardano uno spettacolo socchiudendo gli occhi, oppure possiamo guardare in faccia questa realtà immaginando che in qualche modo ci siamo dentro tutti, ciascuno con la sua parte di naufragio.
Di passaggio osservo che l’immagine della “nave che affonda”, con riferimento alla fine dei manicomi, può apparentarsi a quella complessiva del naufragio con spettatore e credo che lo stesso Basaglia sarebbe d’accordo nell’ammettere che fino a quando non sale davvero su quella nave, tentando di governarla, la psichiatria avrà perso la propria partita.
Potrebbe sembrare, allora, che la metafora – più che rovesciarsi – possa oggi modificarsi in un “naufragio senza spettatore”, proprio considerando che ormai nessuno di noi riesce a chiamarsi fuori o starsene tranquillo sulla riva. È così, nessuno può davvero negarlo, ma è accaduto, nell’ultima fase del nostro percorso storico, che l’immagine dello spettatore abbia subito una profonda trasformazione. Non siamo più gli spettatori che aveva in mente Lucrezio, ma forse non siamo neppure gli spettatori a cui si riferisce Blumenberg.
Nessuno di noi è lì sulla riva, al sicuro. Certo, siamo “spettatori”, ma nel senso che partecipiamo allo spettacolo mediatico: quasi nessuno resta sulla cosiddetta terraferma, quasi tutti (e tendenzialmente tutti) frequentiamo la realtà virtuale e facciamo parte di uno “spettacolo” che ingloba massicciamente quello che continuiamo a chiamare “naufragio”, al punto che i margini che separano realtà e spettacolo sono sempre meno percepibili in una tendenziale indifferenziazione.
Il quadro è diventato più complicato rispetto a quello tradizionale. L’espressione “naufragio con spettatore” potrebbe essere mantenuta, ma adesso il ruolo dello spettatore non è così semplice da definire e da far funzionare. Naufragio e spettatore stanno costituendo un’unità quasi senza residuo, dato che le nostre idee di realtà e di verità stanno diventando talmente invadenti da annullare quasi ogni possibilità di distanziazione. Che ne è e che ne sarà del pensiero critico?