Morire a vent’anni in un incendio senza poter scappare dal luogo che dovrebbe curarti non è giusto.
Questo dramma ricorda quello di Antonia Bernardini, morta bruciata nel letto di contenzione del manicomio giudiziario di Pozzuoli. Antonia con un fiammifero voleva attirare l’attenzione perché nessuno le dava un bicchiere d’acqua. Era il 31 dicembre del 1974.
Il 1974 lo si ricorda per il referendum sul divorzio e per la strage del treno Italicus. La legge 180 sarebbe stata approvata quattro anni dopo.
Se terribile fu quella morte, come possiamo definire l’analoga sorte che ha colpito Elena, quarantacinque anni dopo, nell’ospedale di Bergamo, intitolato a papa Giovanni XXIII?
Il papa che disse: «Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del papa». Una carezza per Elena?
Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale si è chiesto se forse è proprio per il fatto di essere contenuta al letto che non si è riusciti a mettere in salvo la giovane.
Nel 1974 l’opinione pubblica ed i mezzi di informazione dettero grande risalto a quella morte disumana. Il manicomio di Pozzuoli venne definito lager e dopo poco fu chiuso.
A nessuno venne in mente di considerare la pratica della contenzione come atto sanitario, esercitato al fine di tutelare l’incolumità della paziente.
Purtroppo oggi, dopo tanti anni, in luoghi che si definiscono ospedale o residenza sanitaria, la pratica della contenzione meccanica, del legare, è routine quotidiana. E purtroppo in tanti resiste la convinzione che non ci sia altro da fare.
Così può accadere che i giornali diano la notizia ma non si pongano e pongano tutti noi di fronte alla evidenza che, come ricorda il Garante, Elena non ha potuto mettersi in salvo perché legata.
Legare è un termine che non si usa. Troppo esplicito. Elena è stata bloccata. Bloccare, fissare, contenere sono termini equivalenti, ma che vorrebbero connotare tecnicamente quello che altrimenti, se fossimo espliciti, ci obbligherebbe a chiederci: «Ma questo non è un sequestro di persona?».
Un infermiere, che vuole rimanere anonimo, dichiara: «Secondo protocollo, per evitare che potesse farsi del male, era stata applicata e prescritta la contenzione, dopo cinque minuti saremmo ritornati di nuovo a controllarla».
In un altro articolo si ricorda che la norma vuole che – nel caso i pazienti della psichiatria vengano sedati e costretti al letto – la vigilanza sulle loro condizioni venga intensificata in modo capillare. Ogni quindici minuti devono essere guardati direttamente dal personale.
Di seguito viene data la parola alla segretaria della UIL FPL che lamenta il blocco del turn over, la mancanza di medici e l’impossibilità di assunzione di personale sanitario.
I tempi sono cambiati.
Una volta si scriveva che la legge 180 era valida,ma inapplicata in tante parti d’Italia, ora si informa l’opinione pubblica che esiste una norma sulla contenzione meccanica.
E che, se qualcosa non ha funzionato, va ricercato in circostanze particolari e non nella norma stessa. E si badi bene che per norma non si intende più una legge dello Stato ma le linee guida che l’Ospedale ha adottato per applicare le fasce di contenzione.
Le circostanze particolari possono individuarsi nel personale ridotto, oppure nella regola del controllo ogni quindici minuti, che va rivista, oppure nei criteri troppo elastici di perquisizione per cui potrebbe essere accaduto che Elena abbia nascosto nelle parti intime un accendino.
Nessuno che sottolinei quello che a me pare ovvio, e cioè che un operatore della salute mentale ha il dovere di stare con una persona in crisi per tutto il tempo che serve, e che se non basta un operatore, altri dello stesso servizio devono poter intervenire con lui o dargli il cambio se i tempi dell’intervento si protraggono. Ve lo immaginate un chirurgo che ogni tanto si assenta dalla sala operatoria mentre è in corso l’intervento?
Nessuno che ricordi che per chi è in crisi è dannoso essere trattato come non/persona, come oggetto che può essere impacchettato, mentre ha proprio bisogno di ritrovarsi, magari anche preso per i capelli, nel suo essere persona.
Una persona è tale se è libera, e non costretta. Perché non esiste persona se non vi è libero arbitrio. La libertà è terapeutica perché consente alla persona di individuarsi come tale e, dunque, come capace di relazione con altre persone. Soggetto degno di rispetto, titolare di diritti ma anche di responsabilità, prima di tutto verso se stesso.
Antonia voleva un bicchier d’acqua e voleva attenzione, per questo accese il fiammifero.
Le persone hanno contemporaneamente necessità di vedere soddisfatti i loro bisogni materiali (l’acqua) e di relazione (l’attenzione), ogni operatore della salute lo sa. Questo è il principio di ogni presa in carico. Non lavora bene quando è costretto a costringere, per questo si appella ad uno stato di necessità, si sente a sua volta vittima.
Tuttavia nessun professionista può essere giustificato se, pur sapendo che potrebbe operare diversamente, continua a ripetere lo stesso errore.
Ci sono dipartimenti di salute mentale e servizi ospedalieri di psichiatria che lavorano da anni senza utilizzare la contenzione meccanica, senza legare.
Ci sono e sono disponibili a socializzare le loro esperienze. Che dimostrano come una adeguata organizzazione e formazione degli operatori unitamente ad un profondo rispetto dei diritti umani delle persone in cura siano i requisiti che consentono loro di essere maggiormente efficaci senza ricorrere ai mezzi di contenzione.
Persino quasi tutte le Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza (REMS) che svolgono la funzione che una volta era dei manicomi giudiziari non usano le fasce di contenzione.
La Regione Lombardia ha annunciato una commissione di indagine.
Se io fossi uno degli esperti incaricati, per prima cosa andrei a verificare se esistono dei protocolli o linee guida o procedure che diano indicazione su come non legare le persone. Andrei a verificare se l’organizzazione e le attività formative siano orientate a questo obiettivo. Se vi siano adeguate attività proattive nel territorio, al domicilio delle persone, o se si privilegi una psichiatria di attesa, arroccata nella torre ospedaliera.
Sempre più spesso vengo interpellato da persone con problemi di salute mentale, da familiari e da avvocati che vorrebbero ricevere un diverso trattamento per sé, o per il loro congiunto o assistito. Credo che una prima risposta nell’immediato potrebbe essere quella di rendere effettivo il diritto di scelta del luogo di cura, che è una delle bandiere del servizio sanitario lombardo. Un cittadino lombardo dovrebbe essere messo nella condizione di scegliere, se lo ritiene, di farsi ricoverare nei servizi che non utilizzano la contenzione meccanica.
A ciò dovrebbe seguire un piano straordinario regionale orientato ad eliminare la contenzione meccanica in tutti i servizi nell’arco di un triennio. Anche chiudendo servizi palesemente inadeguati.
Forse a Elena sarebbe bastata una carezza, ma oggi non credo sia più sufficiente.