di Carla Ferrari Aggradi*
Ho ritrovato nel mio p.c. queste righe che sembrano essere un collage di pensieri, molto probabilmente scritte da tutte/i noi. Mi è parso utile riproporle al nostro piccolo gruppo di lavoro che, giustamente nello sforzo di collegamento fra noi e l’assemblea più allargata, ha deciso di farlo ricomparire nel sito del forum. Perché potessimo ricordarci i motivi per cui ci siamo ritrovate/i, le strade che vogliamo percorrere, gli obiettivi che vogliamo raggiungere, con quali strumenti. Vogliamo provarci: la discussione è aperta.
LA SALUTE MENTALE, LA CULTURA DELLA SALUTE MENTALE, IL FARE SALUTE MENTALE
Parole che fanno fatica a trovare cittadinanza nelle nostre pratiche e nelle nostre organizzazioni. La psichiatria, che non ha mai smesso di essere dominante, è oggi quanto mai presente e intrusiva. La ripresa del Forum dovrà considerare questo stato delle cose, non per dichiarare guerra ma per moltiplicare le presenze, la correttezza delle pratiche, la responsabilità, la dimensione etica e politica della banale quotidianità.
IL RITORNO A UN LINGUAGGIO EXTRA-MEDICO E TECNICO: facendo appello all’incertezza del “nostro sapere”, dobbiamo tornare a costruire un “lessico famigliare”, dove tutti, proprio tutti, abbiano la possibilità di sentirsi sempre a casa propria. Le parole hanno un peso e fa quasi ridere ricordarlo qui parlando del nostro mestiere, dove le parole uccidono; hanno un peso e oggi dopo molti anni troneggiano nuovamente termini come “struttura”, “paziente”, “repartino”, “diagnosi”, “pericolosità”, “aggressività”, “posizione di garanzia”. Vale la pena riflettere sul perché siano nuovamente accettati questi termini, non solo per cominciare a usare criticamente le parole e il linguaggio, ma soprattutto per riprendere contatto con la profondità e la gravità delle questioni che quotidianamente andiamo affrontando, per vivere con il giusto spirito critico e la conseguente capacità di ascolto e di accoglienza le persone che abitano la “soglia”, dentro e fuori il centro di salute mentale, dentro e fuori il disturbo mentale, dentro e fuori la propria famiglia, dentro e fuori le multiple identità che il nostro lavoro deve ricercare, valorizzare, sostenere.
AUTONOMIA E TERRITORIO: come ridurre il potere delle regioni e cominciare a discutere concretamente della esagerata e intollerabile autonomia regionale. Semmai sarebbe opportuno che maggior autonomia avessero Comuni, Enti Locali, politiche dal basso perché il territorio e la comunità possano agire liberamente e riconoscere ciascuno le proprie peculiari risorse e occuparsi in modo puntuale nei micro contesti. Convergendo in una linea che responsabilmente il Ministero dovrà indicare e verificare.
Possiamo forse partire dal cosiddetto D.d.L. DIRINDIN per riparlare di questo? Riparlarne come una sorta di esercitazione che ci aiuta al confronto e a tornare sulle parole chiave. Il D.d.L contiene, di fatto, gli elementi che consentono di discutere sul rapporto tra servizi, territorio e istituzioni, culture e scelte di campo. E su una concreta ipotesi di organizzazioni territoriali e dispositivi di funzionamento. Nell’assemblea scorsa abbiamo incominciato: andiamo avanti, come? con quali soggetti istituzionali e non?
LA FORMAZIONE: è uno dei punti cardine da cui partire. C’è bisogno di dare prospettiva ai giovani che si formano oggi. Una prospettiva STORICA, che non faccia crescere quanti si apprestano al “mestiere della cura” in un ambiente senza radici, esclusivamente biomedico; una formazione che dia visione, che apra a nuove competenze e le metta in gioco in ambito sociale, antropologico, filosofico, politico; un approccio formativo che ponga l’accento sull’importanza dell’ambiente di vita, del contesto, del ruolo della famiglia, della rete sociale, della collettività, delle politiche; che elimini la violenza dall’armamentario terapeutico. Va tenuto presente che è un momento molto delicato per la vita delle comunità e dei servizi, percorsi di crescita e di formazione vanno ideati, prendendo in considerazione tutte le variabili e le circostanze attuali dei servizi e del contesto sociale in cui essi operano. E nella disunita realtà attuale, come possiamo costruire alleanze e basi solide per una “scuola” che non sia solamente basata su lezioni ex cathedra, ma che attivi possibilità di esperienze e di confronti nelle realtà che meglio possano rappresentare bisogni, conflitti, diseguaglianze?
CONTRO LA SOLITUDINE E L’ISOLAMENTO: oggi molti (in particolare gli operatori) hanno paura di parlare, di proporre, di prendere posizione, perché non si sentono sorretti da un pensiero condiviso e perché spesso temono ritorsioni e ricatti ( ché a volte avvengono davvero) da un ambiente che non è in grado di considerare l’ascolto e la crescita professionale; un ambiente frammentato, discontinuo, poco attento al confronto. Il Forum potrebbe essere uno scudo contro questo isolamento coatto, potrebbe creare una comunità che dà forza al pensare e alla sua espressione e al confronto serrato che restituisce capacità critica e autonomia. Avere la possibilità di incontrarsi e discutere non è una perdita di tempo, come taluni affermano, è il nucleo più prezioso di qualsiasi percorso formativo.
Vogliamo ricostruire un movimento che potrebbe essere un ritorno a quella “minoranza egemone” che ha caratterizzato il lavoro di cambiamento per più di mezzo secolo. Ritornare a essere la minoranza culturale egemone è tra le poche possibilità per tentare di rimuovere la freddezza e la rigidità delle relazioni tra i differenti gruppi in tutto il campo psi.
L’IMPORTANZA DI UN’ORGANIZZAZIONE SOLIDA, CONTINUATIVA, VISIBILE, APERTA: perché il Forum abbia un buon futuro è importante posare alcuni punti fermi: un gruppo redazionale che si occupi dei contenuti dando anima al sito e un piccolo gruppo che si occupi del coordinamento, della programmazione, degli impegni politici, culturali e formativi che di volta in volta il forum potrebbe essere chiamato a sostenere.
La riunione del 7 dicembre ha riportato all’attenzione la necessità di creare un agile strumento associativo, uno status giuridico: un soggetto sociale che ci permetta di relazionarci con istituzioni, con aziende, con progetti di collaborazione.
Vogliamo dare concretezza alla costituzione di un’associazione e farvi una proposta, vogliamo provare a tornare presenti e visibili nel mondo che è tanta parte di noi.
CONCLUDO: addolorata ma anche stupefatta annoto che nell’ultimo convegno nazionale del 10 giugno, come troppo spesso accade, non fosse stato per il breve intervento di Mario Colucci, non è comparso alcun riferimento all’esperienza basagliana, a tutto ciò che ha rappresentato e rappresenta nel mondo il DSM di Trieste. I riferimenti sono sempre altri. Come se dovessimo scoprire sempre altrove ciò che in Italia è già stato sperimentato, vissuto… e non solo a Trieste. Come se “quarantaquattro anni dalla legge 180”, quarantaquattro anni di psichiatria antimanicomiale, di riscoperta di donne e uomini nascoste dietro la sofferenza mentale, di diritti riconsegnati ai “pazienti dei servizi psichiatrici “, di rispetto per la loro sofferenza, per la loro vita….. come se non fossero esistiti.
Partigianeria la mia? Può darsi. Ma la Storia è la Storia. Vogliamo riprendere la tessitura?
* da Brescia, Carla Presidente dell’Associazione MarcoCavallo