Solidarietà ai cittadini che soffrono di disturbi mentali, alle loro famiglie e a tutti i milanesi; solidarietà agli operatori dei servizi pubblici della salute mentale di Milano.
La posizione del Forum lombardo salute mentale sull’istituzione di un “Tavolo Prevenzione e Sicurezza nell’Area della Salute Mentale”, nell’ambito del Piano di zona del Comune di Milano
Il “cuore” della proposta di lavoro/cooperazione fra forze dell’ordine e dipartimenti di salute mentale e delle dipendenze patologiche è costituito dalla presunzione di pericolosità sociale attribuita come caratteristica delle patologie psichiatriche e/o tossicologiche da sostanze del mercato illegale (e da alcool ?).
L’attribuzione della pericolosità sociale alle persone portatrici di tali disturbi sarebbe operata in primo luogo dai cittadini “normali”, del tutto legittimamente “preoccupati per alcuni aspetti legati alla convivenza con persone che manifesterebbero comportamenti ritenuti pericolosi”, i quali vedono minacciata la propria sicurezza personale.
Nel documento la sicurezza dei cittadini è definita “presupposto per un pieno e sereno sviluppo della persona umana sia nella sua dimensione individuale che sociale”. Ne consegue che, se i buoni cittadini sono in allarme, è dovere del Comune rassicurarli –responsabilizzando i servizi sanitari titolari del lavoro di prevenzione, cura e riabilitazione– con la proposta di:
-rafforzare la collaborazione e la rete delle comunicazioni di tutti i servizi sanitari nei casi noti di “non adesione alle cure”, con la rivisitazione delle procedure del tso perché siano più rapide, efficaci prima che accada il peggio;
– potenziare il lavoro di prevenzione nel senso di riconoscimento e individuazione precoce dei “casi” a rischio e, pare di capire, immediata segnalazione degli stessi alle forze dell’ordine.
Alla fine quindi, sulla base delle segnalazione pervenute dai servizi sanitari, il Comune dovrebbe disporre degli elenchi nominativi tempestivamente aggiornati dei “soggetti pericolosi”.
Da parte loro i servizi di salute mentale e delle dipendenze patologiche dovrebbero incrementare le loro “buone pratiche”, intese come:
-registrare i “persi di vista” e di chi, pare di capire, non assume i farmaci prescritti
-intervenire assiduamente e tempestivamente al domicilio degli stessi.
Pertanto, secondo gli esperti del Comune di Milano, il rispettare gli appuntamenti di visite (che diventano ovviamente “di controllo”) e la regolare assunzione di psicofarmaci sono la principale garanzia contro gesti insani e pericolosi.
Da parte loro le forze dell’ordine (Polizia locale, Polizia di Stato, Carabinieri- manca la guardia di finanza) sono indicate come
“soggetti che, a diverso titolo, concorrono alla promozione e al mantenimento della salute mentale, attraverso la loro funzione primaria di sostegno e di orientamento alla cittadinanza, non solo di repressione del crimine ma anche di prevenzione della pericolosità sociale e della sicurezza del territorio”.
Dopo aver constatato con soddisfazione che
“la percezione della persona affetta da disturbi mentali da parte degli operatori di polizia si è evoluta da quella di devianza a quella di cittadini ammalati cui va assicurato ascolto, accoglienza, valutazione e orientamento al trattamento, (le acquisizioni della legge 180 sono evidentemente note anche a Milano),
si afferma che
“alle Forze dell’ordine è deputato il riconoscimento dei cittadini affetti da disturbi mentali nelle situazioni di emergenza e la scelta del percorso da seguire”.
Le note critiche non riguardano la collaborazione fra dipartimenti di salute mentale e forze dell’ordine nella gestione delle emergenze e la promozione dell’aggiornamento e della verifica delle pratiche, aspetti di grande delicatezza e importanza che vanno adeguatamente monitorati e che devono essere oggetto di periodiche attività di aggiornamento e formazione e di continui scambi di informazioni fra gli operatori sanitari e della sicurezza.
Le note critiche riguardano il fatto che:
– assegnando loro compiti di segnalazione e controllo, i servizi sanitari sono intesi (e ci si propone di usarli) come “braccio sanitario” delle istituzioni deputate alla pubblica sicurezza;
-non si parla dei dipartimenti di salute mentale di sanità pubblica come di una risorsa utile, importante per la comunità, ma come di servizi che al massimo si occupano dei pazienti che stanno alle prescrizioni e rispettano gli appuntamenti, mentre abbandonano a sé quelli “riottosi e ribelli”;
-in nome della presunzione di pericolosità gli operatori delle Forze dell’ordine sono fatti diventare i reali curanti, mentre gli operatori psichiatrici dovrebbero solo segnalare i “riottosi” e “custodire” i soggetti presunti pericolosi;
-i criteri indicati per definire le persone da segnalare sono riferiti non a severi e condivisi parametri clinici, ma all’arbitrio delle opinioni soggettive degli operatori e di singoli cittadini, con il risultato che la pericolosità sociale è fatta diventare un costrutto del senso comune;
– tali assunti, oltre violare la libertà di scelta, il consenso informato e il diritto alla privacy, che sono alla base dell’organizzazione della sanità lombarda, e a negare autonomia e responsabilità al cittadino con diagnosi psichiatrica, disconoscono il valore della relazione terapeutica che non è solo medico → paziente, ma anche il suo rovescio, e nella psichiatria di comunità, anche molto di più (famiglia, reti sociali). Ne escono danneggiati, lacerati, sviliti i rapporti di fiducia reciproci che alimentano il percorso del miglioramento e della guarigione. Va aggiunto che i servizi pubblici di assistenza psichiatrica assumerebbero una configurazione e un’immagine tali da allontanare proprio quelle persone utenti che maggiormente potrebbero trarne beneficio;
-l’enfasi è posta sullo psicofarmaco inteso come il presidio più importante da assumere “per sempre” per controllare con efficacia la pericolosità sociale, quasi un “manganello chimico”, banalizzando in tal modo il valore dell’uso del farmaco nei trattamenti bio-psico-sociali e la ricchezza dei rapporti interpersonali, ma anche affermando una concezione pessimistica, cupa, del disturbo mentale, quella che sta alla base di tutti gli stigmi. Appare quindi paradossale l’operazione condotta dal Comune di Milano, secondo cui la lotta allo stigma si realizzerebbe col far sparire i “matti” dalle strade e dalle case;
– altra enfasi è posta sul tso, proposto come lo strumento più sbrigativo ed efficace della prevenzione dei comportamenti pericolosi. Pare di capire che gli amministratori del Comune di Milano e i loro esperti o non conoscono o non condividono le “Raccomandazioni in merito all’applicazione di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale” elaborate e approvate in sede di Conferenza delle regioni e delle province autonome nell’aprile dello scorso anno, sottoscritte e fatte proprie anche dalla regione Lombardia che non se ne è, almeno ufficialmente, sinora dissociata;
-va considerato che se si adottassero le regole proposte, gli Spdc milanesi scoppierebbero rapidamente e non a caso, perché pensati in funzione di servizi di psichiatria comunità. Infatti, per riuscire a contenere tutti i soggetti presunti pericolosi , secondo i criteri del Comune di Milano, perché affetti da disturbi mentali, bisognerebbe pensare a riaprire spazi più grandi, dove trattenere i pazienti anche per tempi lunghi, quindi a gestione manicomiale. E non a caso, perché gli assunti da cui parte la proposta del Comune di Milano, vale a dire la presunzione di pericolosità e l’incapacità civile a carico dei folli, sono quelli su cui si basava la legge manicomiale del 1904, che, giustamente, indicava il manicomio come il presidio più importante dell’assistenza psichiatrica pubblica. Ma nel 1904 erano più seri perché sapevano trarre conseguenze coerenti con tali premesse.
In conclusione, nel quadro di una politica securitaria sempre più accanita contro nemici sempre meno esistenti, l’assessorato alla salute del Comune di Milano ha rispolverato il progetto di un tavolo contro la pericolosità sociale delle persone con sofferenza psichica, travestito da tavolo prevenzione e sicurezza nell’area della salute mentale e da incardinare nel piano di zona.
Quello della pericolosità dei cittadini con diagnosi psichiatrica è un mero pregiudizio, essendo il loro indice di delinquenza inferiore a quello della popolazione intera, come dimostrato da tutte le statistiche raccolte in proposito in Italia e nel mondo. Semmai sono proprio i sofferenti -in particolare le donne- a soffrire di un ampio ventaglio di variegate violenze nel corso della loro vita. Sarebbe come se su tutti gli abitanti del nostro paese venisse condotta un’indagine preventiva per prevenire il loro ipotetico delinquere.
Il Forum lombardo salute mentale rivolge un caldo appello a tutte le Autorità coinvolte, tra le quali i rappresentanti delle Forze dell’ordine, perché tale progetto venga ritirato e cestinato in quanto inutile in sé e dannoso per la salute mentale di tutta la popolazione. Creare sospetto e pregiudizio, anziché inclusione, nei confronti delle persone che soffrono, è un cattivo servizio reso al benessere di tutti, oltre che una crudele ricerca di capri espiatori.
Per queste ragioni esprimiamo solidarietà ai cittadini che soffrono di disturbi mentali, alle loro famiglie e a tutti i milanesi, diamo solidarietà agli operatori dei servizi pubblici della salute mentale di Milano, la cui funzione sociale è così pesantemente svilita dalla proposta in esame, e chiediamo a tutte le persone sensibili ai sentimenti di solidarietà, che dovrebbero improntare la relazione con le persone deboli, fragili che fanno fatica a vivere per problemi di salute mentale, di esprimere un consapevole rifiuto verso l’istituzione di uno strumento di discriminazione e segregazione sociale.
Milano, 15 febbraio 2010
2 Comments
Mio Dio… sono arrivati i nordisti “col siringon”.
Sventolano le bandiere salvifiche contro i sofferenti mentali. Un modo per moltiplicare sofferenti e spostare risorse umane ed economiche dalla cura alla cosiddetta “sicurezza” sic. Così saranno assicurate “pratiche terapeutiche” con ausilii, ambulanze, terapeuti-corridori a beccarsi il matto assenteista dei servizi, che se non garantiranno la cura della persona daranno una parvenza di efficenza. Polizia e Carabinieri.. se non basteranno mobiliteranno finanzieri, guardie forestali, protezione civile, militari? saranno spostati dal crimine in atto alla supposizione del crimine? non si sa mai.. poveri ladri, poveri picchiatori di mogli, d’ora in poi non ci sarà più chi li ferma.
Sarà una inevitabile spinta in più per terapeuti in panciolle col siringon in mano, una bella immagine assurda per ispirare un’inevitabile tragica comicità.
fra gli articoli correlati ci starebbe bene anche l’articolo dell’IP di Vicenza Edoardo Berton sull’aggressività nei luoghi di cura, scritto per la rivista del Collegio Infermieri.