Salute. Salute Mentale. Matto. Guarigione possibile. Sono parole note, spesso usate, ma altrettanto spesso dimenticate per strada laddove la psichiatria ha coperto le voci e le storie delle persone con l’esperienza del disturbo mentale con il rumore delle chiavi e l’odore delle istituzioni. Parole che oggi più che mai è necessario rimettere in gioco con forza se vogliamo parlare di futuro.
E che cos’è il futuro per Peppe Dell’Acqua, ospite di Màt 2013? “Io potrei dirvi che il futuro è Marco Cavallo, che il 12 novembre parte da Trieste per andare a visitare i sei ospedali psichiatrici giudiziari presenti in Italia, e per aprirli perché è un cavallo che non tollera molto le chiusure”, dice Dell’Acqua. “Il futuro è riflettere sulla storia che abbiamo alle spalle, il futuro inizia più di 40 anni fa nella foto dell’assemblea all’ospedale psichiatrico di Gorizia nel 1968 con la prima faticosissima entrata in punta dei piedi dei soggetti che alzano la mano e dicono che ci sono. Il futuro è nella legge 180 che nel 1978 fa entrare i ‘matti’ a pieno titolo nel diritto costituzionale, finalmente. Il futuro è nei sistemi legislativi che devono restituire i diritti che la psichiatria ha sottratto. E dunque, malgrado tutto, per parlare di futuro non possiamo che ripartire da qui.”
E ‘malgrado tutto’ significa i pregiudizi e lo stigma, gli attacchi che sono stati fatti negli anni alla legge 180, l’usuale ed erronea triangolazione malattia mentale, pericolosità e istituzione, gli ambienti accademici che non hanno cambiato una virgola nei loro percorsi di formazione, le psichiatrie che si sono rigenerate e riprodotte, le scelte di campo che la cultura e la politica avrebbero dovuto fare ma non hanno fatto, l’oppressione e il dominio delle industrie farmaceutiche, le culture dei Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell’American Psychiatric Association (APA) con particolare riferimento al DSM-5 pubblicato lo scorso maggio 2013, e molto altro ancora.
“Il futuro è una porta aperta”, prosegue Dell’Acqua, “dove aprire una porta non significa creare un fuori e negare un dentro, quanto piuttosto posizionarsi sulla soglia. Abitare la soglia, questo è il tema del futuro. È creare possibilità per vivere, per esserci, per farcela.” Ecco, guarire. Una parola quasi vietata fino a qualche tempo fa. La domanda di guarigione si pone ora invece come assolutamente irrinunciabile. “Che la parola guarigione esiste vorrei non ci fossero più dubbi”, per dirla con le parole di Silva Bon, autrice insieme a Izabel Marin del libro Guarire si può della Collana 180. “Non possiamo più neanche lontanamente immaginare il malato di mente come altro da noi”, ribadisce Dell’Acqua, “dobbiamo mettere tra parentesi la malattia, lateralizzare la diagnosi e costruire una dimensione relazionale. È solo così che siamo in grado di scoprire persone, cittadini, storie. Questo è il significato della metafora della porta aperta, in una dimensione che è politica, etica e terapeutica insieme: è nell’incontro con l’altro sulla soglia che nasce la possibilità di cura.”
di Anita Eusebi