Quando Peppe è venuto a dirmi che mi avevate invitato a Treviso per una festa, si era dimenticato di dirmi che si trattava di questa cosa qui, questa cosa di Alzheimer. Ho capito subito che mi avete invitato perché sono vecchio. In effetti, ho più di 45 anni e, per un cavallo, 45 anni è un’età biblica!
Va beh, di questa cosa come potete immaginare so abbastanza. Pensate che quando io cominciavo a muovere i primi passi, nel manicomio di San Giovanni, e il mio azzurro diventava sempre più intenso e abbagliante, accadeva che, nei reparti di accettazione, specie quelli delle donne, arrivavano ogni notte fra le tre e le sei vecchie signore. Venivano mandate via dall’ospedale generale perché disturbavano, perché rifiutavano le medicine, perché non trovavano la porta del bagno, insomma venivano mandate in manicomio.
I posti letto presto si esaurivano. Una giovane infermiera, un giorno, è venuta a trovarmi e con le lacrime agli occhi mi ha detto: «Ma ti sembra giusto, Marco Cavallo, che la caposala, come una vecchia strega, ci dice di lasciare aperte le finestre di notte proprio negli stanzoni dove ci sono tutte le vecchie? Tu capisci perché vero?». Insomma questo succedeva.
Intanto era arrivato il nuovo direttore e si diceva di lui che era più interessato al malato che alla malattia. Capivo poco. Che viene a fare, mi dicevo, in un ospedale dove ci sono le malattie, le diagnosi, i farmaci, le camice di forza proprio per curare le malattie più pericolose? Ho capito tutto dopo ed è cominciata tutta un’altra storia. Ho conosciuto anche una signora, francese, era molto bella, ha scritto tanti romanzi adesso non ricordo il suo nome cioè potrei anche ricordarlo, si chiamavaa… ma no no non me lo ricordo. La signora era la moglie, o la compagna non me lo ricordo, di uno che dicevano essere un grandissimo filosofo. Era amico del Direttore che si chiamavaa… boh, non me lo ricordo. Forse Gianpaolo. Ma lui che pure ho visto era piccolo, brutto, con gli occhiali, fumava continuamente e anche beveva. Anche lui aveva scritto delle cose molto belle, per esempio aveva scritto qualcosa ma non ricordo bene ma che diceva che si può sempre migliorare la biografia della persona. Ma non mi ricordo altro.
Sua moglie invece, quella bella signora francese, aveva scritto, questa sì che ricordo bene: «La vecchiaia è ciò che capita alle persone che diventano vecchie». Sì forse era proprio questa la frase. Bene, questo per dire… Ma cosa posso dirvi?
Allora Alzheimer. Alois Alzheimer. Era uno scienziato tedesco, neuropatologo mi hanno detto, che guardando nel cervello delle persone che invecchiano, aveva trovato che il cervello diventava più piccolo o no, lo diceva in un altro modo che proprio non ho mai capito «che le cisterne della base diventavano più grandi» mah…, poi più avanti hanno trovato che le cellule del cervello erano gonfie e non funzionavano più.
Questa difficoltà a stare nelle relazioni, a ricordare i nomi, a orientarsi bene che era quella dei cervelli che il neuropatologo aveva analizzato venne da allora chiamata la malattia di Alzheimer. Da allora, e sempre di più ai giorni nostri, la vecchiaia ha smesso di essere una condizione, della mia vita per esempio, per diventare una malattia. Il morbo di Alzheimer! Un cervello con delle grandi cisterne.
Ma ormai è chiaro, io l’ho capito da tempo: la vecchiaia non è affatto una malattia. Pensate che, proprio in questi ultimi decenni, quelli che si chiamano i neuro-scienziati hanno fotografato, hanno analizzato, hanno visto tante cose nuove nel cervello degli uomini, e anche dei cavalli, e hanno spiegato molte cose. Insomma, mi dicono che i risultati sono impressionanti. Eppure, le cure per le persone che dicono con l’Alzheimer, ma anche per “i malati di mente”, non hanno subito alcun miglioramento. Ricordo bene a Trieste, un po’ di anni fa, lavoravano a un progetto che si chiamava Cronos… Cronos! Si trattava di sperimentare i farmaci delle grandi aziende, hanno fatto spendere miliardi, miliardi in tutto il mondo!, solo a Trieste spendevano decine di milioni per fare esami, risonanze, che non ho mai capito cosa sono ma mi dicono che costano, per acquistare farmaci, decine di milioni. Finalmente, con un pizzico di onestà gli psichiatri e per necessità le grandi aziende hanno dichiarato fallimento. Non ci sono farmaci!
Mi verrebbe da dire, ma non ci capisco niente, che è come se volessero trovare l’elisir di lunga vita. Al contrario, le cure lì dove quelle decine di miliardi vengono spese altrimenti sono state profondamente trasformate, ma migliorate alla grande!, dal riconoscimento – che a noi cavalli sembra veramente banale – che le persone stanno meglio in relazione a come vivono: se il fieno è buono, se le stalle sono accoglienti e magari ci sono stallieri, cavalline e puledri che ti stanno vicini e che, quando non ce la fai più a tirare il carro, ti fanno stare sempre insieme agli altri cavalli. È quello che è successo a me!
Pensate che, addirittura, quando ho smesso di lavorare, per non farmi mandare al macello si sono mobilitati in tanti e così sono riuscito ad andare in una bella stalla, una bella campagna con tanto buon fieno, stallieri e cavallini che ancora stanno con me e hanno piacere ad ascoltare i miei racconti.
La vecchiaia non è una malattia. Con questa storia di Alzheimer tu non sei più tu e non si sa più che cosa sei, tant’è che questo neuropatologo ha dato il suo nome a centinaia e centinaia di vecchi in giro per il mondo che lo avevano perduto. Vi è mai capitato di entrare in uno di questi terribili reparti, delle case che chiamano di riposo che non sono affatto come la stalla dove io sto vivendo la mia vecchiaia in Friuli? Arrivi e qualcuno ti dice «sì sì, qua abbiamo dieci Alzheimer», e tutto finisce lì: il catetere, la pressione, gli esami del sangue, la padella, le bandine perché la signora Alzheimer può anche cadere dal letto ma anche le fasce, mani e piedi legati perché il signor Alzheimer può diventare perfino violento. Io a questi li prenderei a calci – come ho dovuto tante volte fare nei manicomi in giro per il mondo, nei manicomi criminali, negli istituti per bambini, nelle carceri.
Voi capite, il rispetto di tutti non va mai alla vecchiaia ma proprio al suo contrario: cioè al fatto che qualcuno, nonostante i suoi anni, si mostra ancora attento, giovanile. Per esempio, fa il Presidente di un partito, gestisce capitali e televisioni, e magari – questa è la cosa che più colpisce – continua ad avere attenzioni per le belle ragazze. Questo per dire, che quando si diventa vecchi ci azzecca eccome se sei ricco o se sei povero, se hai accumulato ricchezze o hai sempre lavorato e alla fine devi vivere con una misera pensione, se sei solo o hai una bella compagnia, di famigliari, di amici, di figli magari che ti vogliono bene. E che tutto intorno a te si sforzi di essere accogliente.
Venendo da Trieste, per incontrare te e l’ippogrifo, ho pensato che a questo mio amico che ha la fortuna di avere le ali, volevo chiedere di andare sì, sulla Luna, ma per riportare un po’ di saggezza nella testa di tutti gli uomini e le donne, e riportare tra noi un po’ di parole che si vanno perdendo: che la persona è sempre la sua storia, che un cittadino esprime sempre i suoi bisogni e che ognuno di noi, anche quando scambia un orologio per una macchinetta del caffè, una penna per una forchetta, una saponetta per un bignè ha sempre il desiderio di continuare a vivere. Insomma, di esserci. Voi tutti capite che esserci significa noi che stiamo insieme, tutti, nessuno escluso. La vecchiaia chiede sempre di essere ascoltata, in tutte le sue forme: quando racconto sempre la stessa storia, quando per mezza giornata cerco gli occhiali e non li trovo perché li avevo addosso, quando in tanti momenti penso che di lì a poco mi verrà a trovare mia madre alla quale volevo tanto bene, o quando non trovo la strada per tornare a casa e mi perdo e ho paura. Tanta paura.
Io, nel manicomio di Trieste e poi fuori in giro per il mondo, ho capito che ormai e per fortuna i vecchi, un numero esorbitante, e tante persone che vivono una loro faticosa diversità chiedono di restare nelle relazioni, di non essere avviate alle periferie della nostra anima.
E invece, sempre più, essere vecchi finisce per essere un’etichetta: anziano, demente, Alzheimer. Un’etichetta che non prevede più che ci sia vita nella tua vita ma che tragicamente la tua vita è finita proprio in quel momento, con una diagnosi.
Tante volte, al mattino, quando posso andare a trotterellare sui prati, penso, ma sono diventato davvero un po’ matto!, che mi piacerebbe diventare ministro della Salute. Pensate, un cavallo azzurro ministro della Salute! Un cavallo che ha fatto saltare i muri dei manicomi, che porta dovunque i desideri, le passioni, gli amori, delle persone che fanno fatica a stare con gli altri. Da ministro della Salute chiederei al mio collega, Frisone, cavallo da guerra e ministro della guerra, di prestarmi per qualche giorno gli aeroplani più moderni muniti di quelle bombe che dicono intelligenti (certo che gli uomini sono proprio strani a chiamare intelligenti le bombe) e farei evacuare tutte le case di riposo, ma tutte proprio tutte, e con precisione guerresca le distruggerei tutte ma proprio tutte.
Amici di Treviso, ve lo devo proprio dire: è giunta l’ora di liberare i vecchi e la vecchiaia da Alzheimer e tutti i suoi colleghi.
Marco Cavallo, conversando con Peppe Dell’Acqua