Nel pubblicare il commento di Luigi Benevelli all’intervista in tema di assistenza psichiatrica rilasciata dal Dott. Stucchi, Direttore dell’ AO del Carlo Poma, sul settimanale “La cronaca di Mantova” del 25.10.13 (vedi pag 1 e pag 2) e l’articolo “Basaglia a Mantova” (vedi) pubblicato su “Il Manifesto” del luglio 2008 a firma di Eleonora Martini inviatoci da Giovanni Rossi, rispondiamo all’appello lanciato dai due psichiatri che vogliono aprire una discussione o, ancor meglio, creare nuove premesse per mettere in atto iniziative concrete e positive per il DSM di Mantova, le cui buone pratiche sono sempre più in pericolo.
Dopo le tristi vicissitudini degli ultimi due anni, tra le quali il mancato rinnovo del primario Dott Baraldi (vedi articoli di Roberto Bo: http://goo.gl/u4oQTH e http://goo.gl/qKXKTP), i tanti tagli subiti e ancora l’acquisto del nuovo sistema di videosorveglianza al Carlo Poma con i soldi dei libretti estinti degli ex ospiti deceduti delle strutture psichiatriche mantovane (Op di Dosso del Corso e Ghisiola di Castiglione delle Stiviere) notizia questa già pubblicata sul Forum (vedi), questa riorganizzazione del DSM prevista dal nuovo programma dell’Azienda appare come un’ulteriore minaccia ad una realtà a cui abbiamo da sempre guardato con ammirazione e affetto per la capacità e il coraggio di avere messo in pratica fin da subito la Legge 180 e le buone pratiche della salute mentale (in una Regione dove, ricordiamolo, si compiono “crimini di pace” quotidiani), coinvolgendo la comunità, tutta, anche attraverso la bellissima esperienza della Rete 180. Adesso, fate sentire la vostra voce.
Dopo le risposte del dr. Stucchi
di Luigi Benevelli.
Il dr. Luca Stucchi,” è una persona importante per i cittadini mantovani perché è il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera “Carlo Poma”; quindi anche le sue idee sono importanti per quello che possono influenzare e condizionare l’assetto dei nostri servizi sanitari.
Egli nella lunga intervista che ha rilasciato, pubblicata su “La Nuova Cronaca di Mantova” del 25 ottobre scorso, ha esplicitato le sue opinioni sull’assistenza psichiatrica in generale e sui problemi del Dipartimento di salute mentale e dell’opg di Castiglione in particolare.
Egli distingue due approcci, due culture scientifico-professionali, una che chiama “psichiatria clinica” ed una che definisce “psichiatria etica”. Che mi risulti, una “psichiatria etica” non esiste come ambito di studio, mentre invece esistono e sono frequentati gli studi di “etica” in psichiatria che si occupano dei diritti ( e delle violazioni dei diritti) dell’uomo nelle pratiche e nei trattamenti psichiatrici, dei problemi del consenso informato, delle contenzioni meccaniche e farmacologiche, dei trattamenti biologici di shock ecc. L’attenzione agli aspetti etici dei trattamenti dovrebbe appartenere al patrimonio di tutti i servizi di assistenza psichiatrica, ovunque. Ma sappiamo che non è così e che questo costituisce un problema drammatico perché causa grandi sofferenze e qualche volta anche la morte delle persone con diagnosi psichiatrica, come dimostrano le recenti vicende del signor Casu e del signor Mastrogiovanni morti legati negli Spdc rispettivamente di Cagliari e Vallo di Lucania.
La psichiatria clinica
La psichiatria clinica, quella fondata sull’approccio “clinico” al “paziente” psichiatrico opera, esiste, viene trasmessa e insegnata nelle Università. Nella psichiatria clinica il medico ha a disposizione la storia, i pensieri , le emozioni, il corpo, la vita del “paziente” per farsi un’idea dei suoi problemi, formulare una diagnosi e una prognosi, prescrivere dei trattamenti. E’ quindi soprattutto il medico a sapere le cose e a saper dare loro il nome; il paziente è a sua disposizione, deve rispettare le prescrizioni, stare dove gli viene detto di stare. Si tratta di un rapporto fortemente asimmetrico che consente rilevanti rischi di prevaricazioni, manipolazioni, violazioni dei diritti umani, come accaduto e accade nei luoghi dell’assistenza psichiatrica pubblica, come nei manicomi che hanno rappresentato il trionfo dell’approccio clinico. E comunque, molto frequentemente, determina il fatto che i pazienti non stiano agli “ordini”, non aderiscano ai trattamenti indicati e prescritti. L’approccio clinico vige anche nel lavoro psicoanalitico e psicoterapico, che si caratterizza però per il forte scambio emotivo, l’intensità della relazione fra terapeuta e “paziente”; ma soprattutto il paziente è un “cliente”, non è obbligato alla cura.
La salute mentale
Nel secondo dopoguerra, in tutto l’Occidente, dopo il processo di Norimberga contro i medici nazisti, si misero a punto i principi dell’etica nei trattamenti sanitari, furono studiate e discusse le culture e le pratiche delle cosiddette “istituzioni totali”, fu messa a fuoco l’importanza dell’adesione ai trattamenti, della libertà di scelta di chi sta male. Sono andati così configurandosi i saperi della “salute mentale”, rispettosi dell’integrità delle persone, delle loro esigenze, attenti a non disperdere le loro competenze, relazioni, abilità. Per questa storia i Dipartimenti attuali, dopo la legge 180/78, si chiamano di salute mentale e non di assistenza psichiatrica, in una visione di trattamenti orientati alla guarigione in cui il lavoro di cura diventa, anche nelle situazioni più difficili, accompagnamento, contrattazione. Il punto di vista della salute mentale valorizza le risorse delle istituzioni pubbliche, della famiglia, delle reti sociali, ma soprattutto quelle della persona con diagnosi psichiatrica, riconosciuta protagonista della propria salute.
Su questi assunti pare che il dr. Stucchi non ci sia. Del resto egli si dichiara ligio alle scelte della Giunta regionale lombarda: “non è possibile inventarsi forme diverse da quelle che la Regione prevede”. Tale sua perentoria affermazione spiega perché nella psichiatria “formigoniana” (siamo ancora qui!) abbia cittadinanza il solo modello clinico tradizionale. E questo spiega perché nel governo della sanità lombarda non contino le comunità locali, le loro rappresentanze istituzionali democratiche, le specificità dei territori. Tutto omologato, tutto deve essere uguale a Milano come come in Valtellina, in Brianza come nell’Oltrepò pavese, nell’Alto, nel Basso mantovano e nella città di Mantova.
Questo spiega anche perché il dr. Stucchi non avverta la necessità di costruire servizi sanitari ( e di salute mentale) meno marginali e frantumati in carcere e sia convinto che il migliore post-opg consiste nel mantenimento sostanziale dell’opg, quasi l’opg (di Castiglione) fosse il migliore dei mondi possibili.
Infine una domanda: il dr. Stucchi lamenta che molti operatori del Dsm non si siano espressi sui progetti da lui presentati. Si è chiesto se ci sia libertà di parola (e di pensiero) nell’Azienda di cui è manager?